Le prospettive dei Brics - La Cina (seconda parte)

Parte V.2 – Il modello cinese tra successi e contraddizioni. Siamo in un mondo globalizzato. L'attuale divisione internazionale del lavoro non permette più alla dimensione nazionale di svilupparsi sufficientemente.


Le prospettive dei Brics - La Cina (seconda parte)

Parte V.2 – Il modello cinese tra successi e contraddizioni. Siamo in un mondo globalizzato. L'attuale divisione internazionale del lavoro non permette più alla dimensione nazionale di svilupparsi sufficientemente. 

Un excursus nell’economia e nella società dei cinque paesi in via di sviluppo per ragionare sulle loro prospettive 

di Ascanio Bernardeschi 

Se la Cina è la fabbrica del mondo, l’India è il suo ufficio,
la Russia la stazione di rifornimento e il Brasile la fattoria
(Paul Krugman, premio Nobel per l’economia

Parte V.2 – Il modello cinese tra successi e contraddizioni. 

Siamo in un mondo globalizzato. L'attuale divisione internazionale del lavoro non permette più alla dimensione nazionale di svilupparsi sufficientemente. Occorrono imprese e sistemi economici a scala continentale, anche se poi, tra queste macro realtà permangono le tensioni e le competizioni imperialistiche che una volta erano tipiche dei rapporti tra complessi a dimensione nazionale. Anche le nazioni che da sole possiedono la massa critica delle economie continentali, quali gli Usa, la Cina e la Russia, non possono fare a meno di scambi con il mondo circostante.
L'esito della guerra fredda, la sconfitta e la scomparsa di un vasto campo socialista, ha obbligato la Cina a misurarsi con questa realtà e a introdurre elementi mercantili, affiancando all'economia pianificata quella di mercato. Senza questa scelta pragmatica, un singolo, povero paese, sia pure di grandissime dimensioni, non avrebbe potuto resistere nello spietato mercato internazionale. La legge del profitto che così inizia ad affermarsi, tende però a frenare la maturazione dei requisiti sia oggettivi che soggettivi per sviluppare rapporti socialisti. Le contraddizioni del cosiddetto “socialismo di mercato” sono quindi destinate a perdurare finché non si realizzeranno condizioni su scala internazionale per il suo superamento. 

Il modello cinese odierno vede convivere il ruolo di guida del Partito Comunista (Pcc) con il riconoscimento dell'impresa privata. Il comparto pubblico prevale ancora nei settori strategici e ha costituito fin qui la spina dorsale dello sviluppo. I piani quinquennali stabiliscono ancora gli obiettivi, le condizioni degli investimenti e le principali variabili macroeconomiche (tasso di cambio, massa monetaria, politica fiscale). Anche il sistema dei prezzi è in gran parte condizionato dalla pianificazione, lasciando al mercato uno spazio ridotto.
Ma la supremazia del comparto pubblico si va attenuando nel tempo, mentre il crescente peso della classe capitalista, anche all'interno del partito guida, comporta il rischio di una perdita di egemonia delle classi lavoratrici e quindi di un affievolimento irreversibile del carattere socialista del paese.
Sarà cruciale quindi l’esito di una lotta di classe che potrà investire anche lo stesso partito.
Come si è già visto nel precedente articolo, il grado di apertura dell’economia al mercato mondiale è notevole tanto che l'Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto), cui la Cina è stata ammessa dal 2001, ne ha manifestato apprezzamento, nonostante giudichi ancora insufficienti le misure di “liberalizzazione”. Questa apertura ha significato mettere a disposizione del mercato mondiale alcuni pezzi del suo territorio (le zone economiche speciali) e la sua manodopera abbondante e a buon mercato. La globalizzazione presuppone la possibilità di decentrare e segmentare su tutto il pianeta la fabbrica fordista, grazie alla riduzione dei costi di trasporto, alle trasformazioni della logistica, alle nuove tecnologie della comunicazione, ma anche in virtù dell’apertura al mercato dei paesi emergenti, il principale dei quali è appunto la Cina. 

La sua impetuosa crescita economica negli ultimi decenni era quasi totalmente trainata dalle esportazioni. Oggi la strategia dichiarata dal nuovo governo dà maggiore rilievo al potenziamento della domanda interna. Se il precedente piano di crescita economica poneva l’accento su energia e infrastrutture, e non sulla lotta alle disparità, nell’ultima pianificazione si dichiara un maggiore orientamento verso il sociale, relazioni sindacali armoniose, crescita globale coordinata e sostenibile, progressiva diminuzione dei divari nella distribuzione della ricchezza. Tale piano si pone anche gli obiettivi di raddoppiare il PIL entro il 2020, di accrescere il ruolo del mercato, di sburocratizzare (presumibilmente ridurre!) il settore pubblico.
Le sfide che attendono questo paese sono lo sradicamento della povertà, la diminuzione delle diseguaglianze, la soluzione dei notevoli problemi ambientali indotti dalla accelerata industrializzazione. C'è da chiedersi però se sia possibile vincerle se non viene invertita la tendenza a potenziare il comparto privato e il ruolo della nuova borghesia e a fare arretrare quello della classe lavoratrice. Per ora, al di là delle dichiarazioni ufficiali e dei programmi, non si scorgono i segni di questa inversione. 

Le riforme socio-economiche, formalmente orientate alla razionalizzazione, hanno nella sostanza aperto la strada al modello capitalista cinese, generando corruzione, divario della ricchezza, inquinamento ambientale. L'arricchimento individuale è pian piano diventato un movente trainante; diverse imprese pubbliche sono state privatizzate, pur tra episodi di resistenza popolare; lo sfruttamento del lavoro è stato intensificato; le protezioni sociali dei nuovi lavoratori delle imprese private sono inferiori a quelle degli addetti al settore pubblico che godono di vantaggi quali la casa, i servizi sanitari, i bonus per l'educazione dei bambini e per gli alimenti, la pensione. Ma il peso relativo di questi dipendenti va riducendosi[1].
In un paese in cui si è affacciata la presenza di capitali privati, assumono un certo rilevo anche i problemi monetari e finanziari e la borsa, sia pure, come vedremo, con connotazioni particolari. 

In un paese in cui si è affacciata la presenza di capitali privati, assumono un certo rilevo anche i problemi monetari e finanziari e la borsa, sia pure, come vedremo, con connotazioni particolari.
Le ingenti esportazioni hanno determinato un surplus della bilancia commerciale con l'estero che è stata impiegata prevalentemente nell'acquisto di titoli Usa. In questo modo si è finanziato l'indebitamento degli Stati Uniti consentendo loro di continuare a importare prodotti cinesi, finché, con la crisi del 2007, questo castello di carte è crollato. Il riorientamento cinese verso il mercato interno era quindi indispensabile. Ma, diversamente dagli annunci, a fronte di una netta diminuzione delle esportazioni, l'aumento della domanda interna è stato insufficiente e non ha impedito un rallentamento della crescita, cui le autorità cinesi paiono rispondere con nuovi stimoli alle esportazioni, quali per esempio la svalutazione della Renminbi (la moneta cinese, più nota col suo nome di conto yuan).

La sorpresa e l'allarmismo per i ripetuti, paurosi crolli di Shanghai, che hanno fatto seguito a un periodo di iper valutazione dei titoli, cresciuti di oltre il 150 per cento solo negli ultimi 12 mesi, palesa i limiti del pensiero economico mainstream. Intanto, come per tutte le bolle, l'esito ineluttabile e del tutto prevedibile è lo sgonfiamento più o meno fragoroso. In secondo luogo sarebbe bastato conoscere un po' meglio Marx per capire che i crolli di borsa e i disordini finanziari non sono che il sintomo della malattia, le cui cause sono da ricercare nell'economia reale e, nel caso specifico, negli squilibri internazionali non compensati con un'adeguata politica economica.
Certamente anche molti piccoli risparmiatori, sedotti dai facili guadagni che prometteva l'eccezionale andamento dei titoli degli ultimi anni, ci avranno lasciato un po' di penne. Vediamo quale altra ricaduta sull'economia reale è possibile. 
La borsa di Shanghai venne istituita nel 1990. Il compito statutario non è di agevolare la ricerca del profitto. Lo scambio dei titoli e l'ammissione delle società alla capitalizzazione sono considerevolmente regolamentati. Negli anni 90, tramite la borsa, le aziende pubbliche hanno reperito i finanziamenti necessari per la loro ristrutturazione. Con l'ingresso delle società private si è dilatato il suo ruolo a scapito della stabilità degli indici. Come per altri elementi del capitalismo, l'approccio alla borsa è stato pragmatico: è stata introdotta nella speranza che possa contribuire al progresso economico, dichiarando nel contempo che si poteva tornare indietro o regolamentarla diversamente se la sua presenza avesse comportato problemi. 

La dimensione del settore finanziario non è così rilevante come in occidente: nei paesi sviluppati pesa circa il 100 per cento dell'economia reale, in Cina solo il 30. E' da ritenere, quindi, che le ripercussioni nell'economia reale delle fluttuazioni borsistiche siano assai inferiori di quelle che si registrano da noi. Inoltre i titoli del debito pubblico, e quindi le politiche pubbliche, non risentono direttamente delle fluttuazioni del mercato azionario.
L'economista marxista inglese Alan Freeman, in proposito interpellato, ha dichiarato addirittura di ritenere che la crisi delle borse cinesi sia “una sconfitta dei capitalisti cinesi”, ma non “un problema importante per la Cina”. Questa crisi, ostacolando “la crescita della classe capitalista, favorisce le altre classi. Naturalmente ciò che ne consegue dipende dalla politica del governo”. Sempre secondo Freeman è di importanza fondamentale “che i flussi di capitale finanziario privati coprano una parte relativamente piccola del finanziamento degli investimenti in Cina, quindi il danno arrecato all'economia è probabile che sia molto inferiore a quello che avviene generalmente nei paesi neoliberisti, i cui mercati dei capitali sono oltremodo esposti alle tendenze speculative, e quindi sono molto vulnerabili a tali shock”. Questa dichiarazione è del 12 agosto, antecedente agli ultimi, violenti crolli di questi giorni che si sono propagati sulle borse di tutto il mondo, ma il succo di fondo resta probabilmente da sottoscrivere. Il che non elimina altri tipi di preoccupazione. 

Non l'impressione che qualcosa sia sfuggito di mano ai dirigenti cinesi e che provvedimenti importanti dovranno essere presi per conferire maggiore stabilità alla borsa.
Non il timore che lo scivolone delle Borse sia un sintomo, anche se non la causa, della debolezza del socialismo con caratteristiche cinesi.
Non il dubbio che il gruppo dirigente del Pcc stia incontrando notevoli difficoltà e resistenze a riorientare l'economia e a realizzare i cambiamenti in direzione di una maggiore equità promessi nei documenti di pianificazione.
Non l'inquietudine che la svalutazione dello yuan inneschi reazioni delle nazioni concorrenti, inasprendo la guerra commerciale in atto, che potrebbe causare un ulteriore impoverimento delle classi lavoratrici di tutto il mondo.
Insomma dovremo seguire con grande attenzione e preoccupazione l'evoluzione del sistema-Cina. 

Note:

[1] Per ulteriori considerazioni sul crescente rilievo del capitalismo in Cina e per gli aspetti finanziari si rimanda all'articolo di Alessandro Bartoloni del 14 agosto Dalla Cina con clamore

Riferimenti:

http://contropiano.org/documenti/item/32225-cina-il-socialismo-di-mercato-nel-confronto-tra-tre- economisti

http://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/marxismo/24281-quale-corso-prendera-il-socialismo- mondiale-del-xxi-secolo.html#sthash.fF27Fohp.dpuf

http://contropiano.org/internazionale/item/32175-cina-1-il-caso-shanghai

 

 

06/09/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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