L’emancipazione politica aveva risolto, come evidenzia acutamente Karl Marx, la contraddizione ingeneratasi nel modo di produzione feudale fra le forze produttive – la moderna società civile – e i rapporti di proprietà (il sistema feudale) nel suo fondamento reale: l’individuo borghese. L’apparente contraddizione che scindeva l’uomo sin dalla prima “Dichiarazione dei diritti dell’uomo” in borghese e in cittadino si risolve in un uomo particolare: il borghese, al cui diritto inalienabile ogni altro diritto cede il passo. Gli interessi particolari della borghesia rivoluzionaria giunta al potere si impongono quali condizioni comuni di vita di una società resasi indipendente dalla politica che, anzi, sempre più conforma sulla base dei propri scopi. Come denunciano già i giovani Marx e Friedrich Engels, nel modo capitalistico di produzione il cittadino resta un’astrazione priva di vita, “un’essenza irrelata, autosufficiente, priva di bisogni, assolutamente piena, beata”, che tuttavia non è altro che il prodotto della rappresentazione, del “gonfiarsi” [1] dell’individuo privato della società borghese. Perciò “i diritti dell’uomo non si contraddicono articolandosi nei diritti dell’uomo e nei diritti del cittadino, ma il senso della loro profonda unità, che è di essere i diritti del borghese, suscita la contraddizione assoluta fra tali diritti dell’uomo e l’uomo” [2].
Tuttavia tale fondamento borghese dei diritti umani cela in sé una nuova differenza, destinata a svolgersi in opposizione e, divenuta cosciente, in contraddizione: quella fra l’uomo borghese e la forza lavoro, che il primo tende a ridurre a “macchina bipede”. L’ideale vita comune nell’iperuranio alienato dello Stato si rovescia nella differenza reale della società civile, in tutta una serie di esclusioni concrete che riproduce la sovra ricordata contrapposizione originaria posta alla sua base. In tal modo, “ciò che viene escluso nel momento costitutivo della società borghese, la «vita generica», farà ritorno, ma in forma «alienata» di (proiezione rovesciata, dominando in modo immaginario sui suoi creatori) nell’«idealismo» della comunità dei cittadini, che riporterà in vita la separazione originaria nella forma di una molteplicità di esclusioni «concrete»” [3].
Il reale, tuttavia, ha necessariamente la meglio sull’ideale astratto, per cui non solo diverse categorie di individui, dalle donne, ai bambini, dai servi e schiavi, ai lavoratori manuali, dagli uomini extra-europei agli immigrati, non godono realmente dei diritti dell’uomo, ma sono esclusi anche, naturalmente, dal godimento dei diritti formali di cittadinanza. Peraltro, il loro tendenziale universalizzato godimento è il prodotto di lungue e sanguinose guerre civili e conflitti delle idee contro le esclusioni reali delle società liberali e i loro fondamenti teorici nei padri del liberalismo. Come ha a ragione ricordato Kouvélakis, richiamandosi alla lezione di Domenico Losurdo, “Il dominio del liberalismo dei proprietari (ad eccezione del breve intermezzo della Repubblica giacobina) non equivale a una semplice «resistenza» all’emancipazione politica, più o meno residuale o di retroguardia, ma allo scatenarsi di un formidabile movimento di «disemancipazione» (D. Losurdo), con l’imposizione della «cittadinanza passiva» ai non proprietari e alle donne, e con la sfrenata continuazione della barbarie colonialista e schiavista” [4]. Al punto che Marx denuncia come la libertà dell’uomo del paese colonizzatore si afferma solo mediante l’asservimento del colonizzato [5]. Dunque, ne conclude a ragione Kouvélakis: “se gli uomini nascono e restano liberi ed eguali di diritto, e se il cittadino non può essere altro che quell’uomo, la questione della cittadinanza e dell’accesso ad essa si sposta ormai sul fatto di sapere chi è, o piuttosto che cosa è un uomo. Un non-propietario è un «uomo» nel senso pieno del termine? Una donna, è un «uomo»? Uno schiavo, un colonizzato, sono «uomini»? A queste domande, noi sappiamo che i padri fondatori del liberalismo rispondono con bella unanimità in senso negativo” [6].
Del resto la struttura economica, cioè la società civile capitalista, è alla base non solo storicamente, ma anche concettualmente della sfera politico-giuridica dello Stato. Anche lo Stato borghese – come la religione e il lavoro alienato – contrappone all’uomo la sua essenza generica come se si trattasse di un altro, che assume la forma di un destino ostile. L’uomo si libera, si pone quale ente sociale solo quale cittadino dello Stato, non in quanto membro della società; allo stesso modo nella concezione cristiana l’uomo è libero solo in quanto cittadino della città celeste, mentre nella città terrestre permangono rapporti basati sul dominio, sul rapporto ineguale di signoria e servitù. Nello Stato, come nella città celeste, l’uomo è posto come fine, mentre è nella realtà sociale degradato a strumento nelle mani di forze estranee e ostili, arriva a considerarsi mero mezzo all’interno della moderna società civile, che corrisponde alla città terrestre, in cui tutti i presupposti morali vengono regolarmente rovesciati. In tal modo, anche il principio morale essenziale della filosofia marxiana, “la vita che produce la vita” [7] è reso del tutto strumentale alla sfera del bisogno e dell’intelletto.
Mediante il progressivo approfondimento dello studio critico dell’economia politica Marx sarà in grado anche di recuperare gli elementi maggiormente significativi della filosofia hegeliana del diritto pubblico. Il superamento del sistema hegeliano non poteva avvenire forzandone lo spirito assoluto in senso soggettivo. In tal modo i giovani hegeliani o avevano creduto di superare Hegel, ma erano tornati al dover essere kantiano-fichtiano o ne avevano forzato l’idealismo in senso soggettivo fino a perdere ogni contatto con il reale, con la dialettica del concreto, fornendone una caricatura che avrebbe portato a considerare lo stesso Hegel un cane morto. Marx interpreta il processo rivoluzionario che va dal 1789 al 1848 come uno svolgersi in contraddizione dell’opposizione hegeliana fra società civile e Stato. Perciò Marx osserverà: “noi siamo i contemporanei filosofi del presente, senza esserne i contemporanei storici. [..] La filosofia tedesca del diritto e dello Stato è l’unica storia tedesca che stia al pari col moderno presente ufficiale” [8].
Marx potrà così, approfondendo la concezione hegeliana della società civile, contrastare la rappresentazione che ne dava l’economia politica borghese, che si limitava a riprodurre il piano fenomenico. La società civile non si fonda su diverse monadi isolate, i pescatori e cacciatori isolati di cui favoleggiano gli Smith e i Ricardo, ma è uno stato d’interdipendenza generalizzato, seppur vissuto inconsapevolmente dal singolo, strutturato sulla base di una divisione del lavoro e di un sistema dei bisogni volto alla riproduzione su base allargata del modo di produzione capitalistico, traduzione in termini scientifici della rappresentazione borghese della mano invisibile del mercato che opererebbe alle spalle dei singoli agenti, facendo dei loro fini meramente utilitaristici l’utile sociale, secondo la teodicea dell’insocievole socievolezza. “Solo nel XVIII secolo, nella «società borghese», le diverse forme dei nessi sociali si presentano al singolo come un puro strumento per i suoi fini privati, come una necessità esteriore. Ma l’epoca che genera questo modo di vedere, il modo di vedere dell’individuo isolato, è proprio l’epoca dei rapporti sociali (generali da questo punto di vista) finora più sviluppati. L’uomo è nel senso più letterale uno zoon politikon, non soltanto un animale sociale, ma un animale che solo nella società riesce a isolarsi” [9]. Il capitalismo sembra portatore della reale emancipazione degli individui, la libertà privilegio di sfere particolari nei precedenti assetti sociali pare universalizzarsi. Tuttavia tale universalità mistifica il fondamento sociale, il particolarismo su cui si fonda. Ognuno appare libero di espandere la propria intangibile proprietà su cui si fonda la libertà personale e, dunque, pensata in forma antagonistica all’universalità della cittadinanza. In tal modo, la maggioranza degli individui resta proprietaria unicamente delle funzioni meramente riproduttive, mentre ogni attività sociale è alienata al capitale. “Perciò il lavoratore salariato solo fuori del lavoro si sente presso di sé; e si sente fuori di sé nel lavoro. È a casa propria se non lavora; e se lavora non è a casa propria. Il suo lavoro quindi non è volontario, ma costretto, è un lavoro forzato. Non è quindi il soddisfacimento di un bisogno, ma soltanto un mezzo per soddisfare bisogni estranei” [10]. Il lavoratore non può riconoscersi né nel proprio corpo, che ha alienato al capitalista come una merce, né nella propria essenza spirituale, dal momento che l’attività sociale gli è estranea, né può riconoscersi negli altri, la cui attività gli è altrettanto estranea. Al punto che il lavoratore salariato si sente libero “soltanto nelle sue funzioni animali, (…) e invece si sente nulla più che una bestia nelle sue funzioni umane” [11]. La sua componente universale è presente soltanto nella rappresentanza priva di esserci e, dunque, solo astratta della cittadinanza. I valori etici e civili sono sottoposti al diritto formale, al legalismo del diritto privato in cui l’individuo in quanto ente sociale non può riconoscersi. La piena affermazione dei rapporti di produzione capitalistici è inversamente proporzionale alla scomparsa di ogni residuo di eticità “naturale”. Giunta al potere la borghesia “ha lacerato senza pietà i variopinti legami che nella società feudale avvincevano l’uomo ai suoi superiori naturali, e non ha lasciato tra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, lo spietato «pagamento in contanti». Essa ha affogato nell’acqua gelida del calcolo egoistico i santi fremiti dell’esaltazione religiosa, dell’entusiasmo cavalleresco, della sentimentalità piccolo-borghese” [12]. La perdita di valore di tutto ciò che è pertinente all’essenza sociale dell’uomo “cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose” [13]. Mirando a garantire l’arbitrio dell’individuo, le sue libertà-privilegi particolari, libera l’uomo, la sua forza lavoro da ogni considerazione morale o metafisica sino a ridurla a una merce come le altre. Il dominio del capitale come quello della rendita fondiaria si emancipa da ogni connotazione politica, di modo che “il rapporto tra proprietario e lavoratore si riduca al rapporto economico tra sfruttatore e sfruttato” [14].
Note:
[1] Marx, Karl e Engels, Friedrich, La sacra famiglia [1845], traduzione italiana di Zanardo, A., Editori riuniti, Roma 1967, p. 157.
[2] Bourgeois, Bernard, Philosophie et droits de l'homme: de Kant à Marx, éditions PUF, Parigi 1990, p. 110.
[3] “Kouvélakis, Eustache, Critica della cittadinanza; Marx e la “Questione ebraica”, tr. it. di Augeri, N., in «Marxismo Oggi» 1, Milano 2005, pp. 65-6.
[4] Ivi, pp. 67-68.
[5] Così Marx denuncia come la classe dominante inglese pretende di conquistare “le colonie solo per educarle ai princìpi della pubblica libertà; ma se vogliamo attenerci ai fatti, dovremo dire che le isole Ionie, come l’India e l’Irlanda, provano solo che, per essere libero in patria, John Bull [personificazione del Regno Unito] deve praticare la schiavitù all’estero. Così, proprio in questo momento, mentre sfoga la sua virtuosa indignazione contro il sistema poliziesco di Bonaparte a Parigi, egli stesso lo introduce a Dublino” Marx, Karl, “La questione delle isole Ionie”, in Id. - Engels, Friedrich, Opere complete, agosto 1858- febbraio 1860, tr. it. Formigari, L., vol. XVI, Editori Riuniti, Roma 1983, p. 135.
[6] Kouvélakis, Eustache, Critica…, op. cit., p. 66.
[7] Marx, Karl, Manoscritti economico-filosofici del 1844, tr. it. di Bobbio, Norberto, Einaudi, Torino 1968, p. 77.
[8] Id., Engels, Friedrich, Opere …, op. cit., vol. III, p. 195. Nella corretta valutazione della Filosofia del diritto, occorre considerare quanto di dover essere vi sia nella posizione hegeliana. Ne va dello statuto stesso del reale. O esso diviene, nell’interpretazione dei suoi critici, una giustificazione ideologica dell’esistente, prodotto di un razionale apparentemente formale, ma che sussume acriticamente il reale, oppure si tratta di un dover essere reale che si dovrebbe realizzare sulla base delle linee di sviluppo emerse con lo Stato rivoluzionario francese e poi napoleonico. Qui, comunque, cade l’idealista hegeliano in quanto “non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza” Id., L’ideologia tedesca, tr. it di Codino, F., Editori Riuniti, Roma 1967, p. 13.
[9] Marx, Karl, Introduzione a “Per la critica dell’economia politica” [1857], in Marx-Engels, Le opere, Editori Riuniti, Roma 1971, p. 714.
[10] Id., Manoscritti economico …, op. cit., p. 75.
[11] Ibidem.
[12] Id., Engels, F., Manifesto del partito comunista [1848], in Id., Opere complete 1845-1848, vol. VI, tr. it. di Togliatti, P., Ed. Riuniti, Roma 1978, p. 488.
[13] Marx, K., Manoscritti economico …, op. cit., p. 71. “Le nazioni cominciarono a vantarsi cinicamente di ogni infamia che fosse un mezzo per accumulare capitale”, anche in aperta violazione non solo dei diritti del cittadino, ma anche di quelli del bourgeois, come dimostra una delle prime misure prese dalla borghesia inglese che giunta al potere strappò alla Spagna il monopolio della tratta di schiavi, con cui coprì le sue attività di contrabbando, cfr. Id., Il capitale, vol. I, tr. it. di Cantimori, D., Editori Riuniti, Roma 1989, pp. 822.
[14] Id., Manoscritti economico …, op. cit., p. 64.