Le lotte per l’emancipazione delle donne

La nascita nel corpo della Rivoluzione francese, segnala che il femminismo è nato e rinato ogni volta a fianco di correnti rivoluzionaria, riformiste o democratiche, che hanno rielaborato i concetti di uguaglianza vs disuguaglianza, liberazione vs oppressione, libertà vs schiavitù, autodeterminazione vs assimilazione.


Le lotte per l’emancipazione delle donne

Nel presente articolo intendiamo affrontare la questione dei diritti delle donne, delle lotte delle donne per i diritti e della situazione attuale ed è proprio da quest’ultima che prenderemo le mosse. Dopo i grandi movimenti che si sono sviluppati negli ultimi anni, le donne hanno modificato a proprio vantaggio i rapporti di forza, si sono conquistate maggiori spazi di libertà, ma proprio per questo sono ancora di più sotto attacco da parte delle forze che si battono per la disemancipazione femminile. L’attacco in particolare concerne: la femminilizzazione del lavoro (che implica il ghettizzare le donne in attività lavorative considerate dalla società patriarcale prettamente femminili), la crescente precarizzazione dell’occupazione, la discriminazione per cui le donne vengono pagate meno e sono più sfruttate dei lavoratori maschi e godono di minori diritti, a partire dai licenziamenti in caso di gravidanza. Inoltre le donne sono vittime di violenza fra le mura domestiche e sui luoghi di lavoro, sono vittime di violenza verbale e sessuale, di una violenza che giunge fino al femminicidio.

D’altra parte le donne sono divenute più forti grazie alla diffusione dei concetti connessi all’emancipazione della donna nella cultura e nel senso comune, ma soprattutto le donne si sono mobilitate e si continuano a mobilitare in questi ultimi anni, a partire dalla grande manifestazione internazionale del 26 novembre 2016 contro la violenza sulle donne che ha fatto nascere un imponente movimento globale nel quale sono state e sono protagoniste donne giovani e giovanissime.

D’altra parte la gioventù dei corpi non produce immediatamente un rinnovamento delle idee. Il nuovo non può sorgere e affermarsi se non trova le pratiche di lotta e i discorsi per realizzarsi. Una rinnovata lotta per l’emancipazione della donna dovrebbe recuperare le cose migliori delle lotte del passato. Una mobilitazione che ha bussato alle porte, ha raccolto firme, ha fermato altre donne per discutere con loro, ha organizzato scioperi e prodotto forme di conflittualità più o meno violente. Diverse pratiche di lotta del passato sono andate perdute ed è anche giusto, ma per far nascere nuove idee e forme materiali del cambiamento è necessario dialogare con il passato. E allora partiamo dalla storia, fondamento di ogni lotta per l’emancipazione e di ogni scienza.

La lotta per l’emancipazione della donna è stata un movimento sociale, politico e culturale con cui, in tempi diversi e in contesti diversi, delle donne hanno tentato di svincolarsi da una relazione di potere che non può essere del tutto assimilata ad altre forme. È vero che sono esistiti ed esistono uomini per così dire “femminilizzati” da una condizione di subalternità, ma è anche vero che spesso al fianco di un subalterno c’è una due volte subalterna. Come spiegava Engels, citando Flora Tristan: nella famiglia lui è il borghese, lei la proletaria.

Le donne hanno costituito un soggetto politico collettivo solo in alcune circostanze, ovvero quando l’appartenenza al sesso femminile è apparsa chiaramente la ragione della discriminazione, come nel caso della questione dei diritti politici o della liberazione sessuale. Finché anche altri erano esclusi dal voto, l’essere donna non era apparsa una discriminante sufficiente per dare avvio alle lotte. Quando l’evoluzione della cultura e dei costumi ha consentito che l’attenzione si concentrasse sulla sessualità, l’essere di sesso femminile ha costituito un elemento di identificazione.

Questo per dire che le donne non sono un soggetto politico permanente e la sorellanza universale è un mito. Già prima che nascesse il concetto di intersezionalità coniato da Kimberlè Crenshaw, le militanti socialiste del Novecento erano solidali con i loro compagni di lotta e non con il femminismo liberale e/o borghese. E lo stesso vale per le femministe afroamericane o per le appartenenti al movimento di emancipazione Lgbt. Ma ciò non ha impedito che in circostanze particolari ci siano state grandi alleanze trasversali femminili. Infine non bisogna dimenticare che vi sono stati uomini che si sono battuti per l’emancipazione della donna più della grande maggioranza delle stesse donne come Condorcet, Fourier, Saint-Simon, Enfantin, Stuart Mill, Engels e Bebel.

  1. L’importanza di sentirsi uguali

la data di nascita del femminismo è oggetto di discussione. L’attacco più utile è iniziare il racconto dalla Rivoluzione francese del 1789. La borghesia dirige e ha elaborato le idee che accompagnano la Rivoluzione, ma la borghesia non è omogenea e c’è una parte di essa che si rende conto che non può vincere senza il popolo. Quindi deve cedere alle sue rivendicazioni e radicalizzare il proprio linguaggio. Dunque la Rivoluzione, oltre a contenere l’embrione del futuro movimento operaio, contiene anche in potenza il femminismo che non è ancora un movimento, ma sono donne in movimento. Ci sono femministe come Olympe de Gouges e Mary Wollestoncraft, ma c’è anche la sanculotteria femminile che nasce prima di quella maschile. Le donne sono le prime a marciare su Versailles, ma non hanno strutture organizzative e non sono autorizzate a decidere.

La nascita nel corpo della Rivoluzione, segnala che il femminismo è nato e rinato ogni volta a fianco di correnti rivoluzionarie, riformiste o democratiche, che hanno rielaborato i concetti di uguaglianza vs disuguaglianza, liberazione vs oppressione, libertà vs schiavitù, autodeterminazione vs assimilazione. Il femminismo si è identificato ora con il terzo stato rivoluzionario, ora con gli afroamericani, ora con il proletariato, ora con il mondo transgender. Ne ha ripreso le idee per costruire un discorso proprio.

Il primo femminismo si è concentrato sul tema dell’uguaglianza. Una scuola di pensiero femminista ha criticato l’adesione di altri femminismi al principio di uguaglianza con due argomenti: 1) rivendicare l’egalitè significherebbe aspirare a un’inclusione acritica e rinunciare alla propria alterità. Le è stato risposto che l’opposto di uguaglianza non è differenza, ma disuguaglianza e l’opposto di differenza non è uguaglianza, ma assimilazione. L’uguaglianza è il denominatore comune presente in ogni essere umano, a cui va resa giustizia; la differenza è un principio esistenziale che riguarda i modi dell’essere umano e la peculiarità delle sue esperienze. La differenza si afferma allora nel suo significato di identità altra rispetto a coloro che ambiscono alla conquista. Il nazionalismo europeo della prima metà del XIX secolo si costituisce quindi come un atto di differenziazione, una presa di distanza in nome di un’identità diversa, non assimilabile e non disposta a lasciarsi assimilare. 2) l’uguaglianza viene considerata qualcosa di astratto. In realtà le rivendicazioni del primo femminismo in nome del principio di uguaglianza sono destinate a cambiare radicalmente l’esistenza della donna e sono, dunque, tutt’altro che astratte. La prova che l’uguaglianza non sia una trappola del potere funzionale all’assimilazione si ha con il fatto che tra il momento storico in cui viene rivendicata e quello in cui verrà realizzata passerà, nella migliore delle ipotesi, un secolo e nella peggiore quasi due.

Quando acquisteranno la cittadinanza anche gli uomini subalterni le donne saranno ancora escluse. Ma di cosa hanno paura? Gli uomini temono di perdere il controllo sulla sessualità, la capacità di riproduzione, i servizi e le cure delle donne. Per la grandissima maggioranza degli uomini quello su una donna è l’unico potere che possano esercitare, e la sua perdita può comportare il rischio del venir meno dell’autostima e della propria identità maschile.

Per il primo femminismo la ragione è la misura dell’egalitè. Non basta l’appartenenza al comune genere umano senza la specificazione che le donne dispongono come gli uomini della ragione. Per Mary Wollstonecraft le donne hanno diritto all’uguaglianza perché sono essere razionali non meno degli uomini, e se spesso la loro razionalità viene messa in dubbio è perché non possono fruire di un’istruzione adeguata. Ecco perché la posta in gioco è l’istruzione, e attenzione: l’accesso senza discriminazioni alla cultura coincide con tutta la storia del femminismo e sbaglierebbe chi credesse oggi che il problema è risolto per il maggior numero di donne che oggi studia rispetto agli uomini.

Molti attribuiscono al primo femminismo l’errore di aver chiesto le stesse cose che chiedevano gli uomini e cos’altro potevano chiedere se non quello che chiesero? Chiedevano di non essere condannate a rimanere bambine e diventare maggiorenni alla stessa età degli uomini, di avere un’istruzione, di poter disporre dei soldi guadagnati o ereditati, di avere come madri la stessa possibilità di decisione dei padri, di essere cittadine, di poter disporre del proprio corpo così come ne disponevano gli uomini.

Olympe e Mary erano per i loro contemporanei delle prostitute, questo per aver preferito gli amanti ai mariti, per essersi esposte in pubblico per le proprie idee, per aver viaggiato sole o con uomini con cui non avevano vincoli matrimoniali. Con il femminismo dell’uguaglianza comincia la lotta contro la doppia morale sessuale e la famiglia patriarcale, per il diritto a decidere del proprio corpo, la lotta per l’autodeterminazione.

  1. Il socialismo utopistico

I socialisti non ignorano le donne. Fourier, considerato l’inventore della parola femminismo, è l’erede legittimo delle rivendicazioni più radicali del movimento per l’emancipazione delle donne del 1789. Scrisse contro famiglia e matrimonio, affermò che la libertà delle donne è la misura di ogni progresso sociale, teorizzò la liberazione dai lavori domestici attraverso servizi collettivi, contro il mito della verginità scrisse che le ragazze dovevano fare esperienze sessuali prima del matrimonio, che bisognava introdurre l’educazione sessuale nelle scuole e che l’omosessualità è una delle espressioni della fondamentale libertà del nostro corpo.

Le sansimoniane, appellativo con cui si definiva il movimento per l’emancipazione della donna ispirato al socialismo (utopista), si dedicarono ai problemi concreti delle donne reali. In particolare Flora Tristan considerava il corporativismo un’assurdità e si batté per migliorare le condizioni di vita del lavoratore salariato e, in particolare, della lavoratrice, puntando a unificare la classe. A lei si deve l’affermazione, ripresa da Engels, secondo cui la donna è la proletaria dell’uomo. Le sansimoniane si batterono anche nel 1848, erano proletarie o si schierarono dalla parte del proletariato e, perciò, diedero grande importanza al salario – rivendicando la parità con quello percepito dai maschi – e all’indipendenza economica. Al contempo, però, come le femministe dell’89 rivendicano i diritti, in particolare all’istruzione e a uscire dallo stato di minorità in cui erano tenute, i diritti politici di cittadinanza e di autodeterminazione della propria vita affettiva e sessuale.

Le sansimoniane preferirono battersi per la riforma dell’istituzione matrimoniale, per il riconoscimento dei figli illegittimi, per la libera scelta del partner e il cognome della madre da dare alla prole, piuttosto che per il libero amore. In tal modo, non assunsero una posizione avanguardista dinanzi alle masse, ma portarono avanti delle fondamentali rivendicazioni con quasi un secolo e mezzo di anticipo dal momento in cui cominciarono a divenire senso comune.

 

06/05/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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