Colpendo Trotsky Netflix attacca la Rivoluzione di Ottobre

Non è sufficiente calunniare la Rivoluzione di Ottobre, bisogna trasformare una delle sue maggiori figure in oggetto di consumo giovanile, come è già avvenuto al Che.


Colpendo Trotsky Netflix attacca la Rivoluzione di Ottobre

Tra i vari gruppi comunisti nel mondo serpeggia l’idea di tentare di ricostruire un fronte comune, la cui basi – a mio modesto parere – non possono che essere la riflessione articolata e approfondita sulla nostra drammatica e dolorosa storia, punteggiata da sconfitte disastrose, da effimere vittorie, che hanno fortemente danneggiato la nostra immagine e la nostra stessa possibilità di dialogare con le masse. Tale riflessione deve assolutamente basarsi sull’abbandono di consunti stereotipi e luoghi comuni e implica riprendere veramente in mano lo studio della nostra storia e delle nostre laceranti controversie. Oltreché ovviamente il problema sempre aperto della dissoluzione dell’Unione Sovietica e dei paesi ad essa connessi.

Riflettendo con preoccupazione su questo tema, ho pensato fosse utile scrivere un articolo su una vicenda, di cui in Italia hanno parlato a fondo le voci alternative e per lo più vicine al trotskismo, mentre a livello internazionale essa ha coinvolto organizzazioni e pensatori marxisti ma non tutti strettamente legati al rivoluzionario fatto assassinare da Stalin a Coyocán nel 1940. Mi limito a citare Fredric Jameson, Michel Löwy, Srecko Horvat, Florian Wilde, sottolineando la massiccia presenza di autori latinoamericani e quella di italiani come Antonio Moscato e Dario Giacchetti. In particolare, anche se si è fatto riferimento al cyberpunk Trotsky, [1] vestito di lucida pelle nera e con una vita sessuale “bollente”, non mi pare si sia dedicato spazio alla reazione internazionale che tale falsa e obbrobriosa immagine ha generato. D’altra parte, lo stesso treno blindato, che sbuffa fumo nero e da cui l’organizzatore dell’Armata rossa impartisce i suoi ordini spietati contro i controrivoluzionari e non solo, appare un simbolo fallico che solca la sterminata campagna russa.

In breve, ecco la vicenda che ha spinto il nipote di León Trotsky, Esteban Volkov e il Centro di studi, ricerche e pubblicazioni dell’Argentina e del Messico a prendere una vigorosa posizione di protesta.

L’azienda statunitense Netflix ha dedicato al suo illustre avo una serie di 8 episodi piena di falsità, mandata in onda per la prima volta sul primo canale della TV di Stato russa nel novembre del 2017, evidentemente con l’assenso di Putin [2]. Significativa coincidenza! Autori del programma, che non ha potuto prendere di mira né Lenin né Stalin, per la buona reputazione che mantengono tra la popolazione russa, sono Alexander Kott e Konstantin Statsky, i quali certo avevano lo scopo di demonizzare non solo uno dei protagonisti della gloriosa Rivoluzione di Ottobre. Riprenderò qui brevemente i punti falsi e discutibili del programma evidenziati dalla dichiarazione di Volkov.

La serie, prodotta senza badare a spese e con perizia tecnica, è presentata come un documentario, quindi fedele ai fatti, ma in realtà la figura di Trotsky è completamente distorta: una persona autoritaria, disumana, criminale, affetta da messianismo, anche per le sue origini ebraiche. Lo stesso messianismo che affliggeva l’utopista Marx.

Secondo lo stile statunitense la trama si sviluppa solo secondo desideri e brame individualistiche di protagonismo e di potere; è del tutto assente la lotta di classe e quindi la necessaria contestualizzazione storica; operai, soldati e contadini sono dominati da capi senza scrupoli (Lenin e Trotsky) che li indirizzano verso finalità puramente personalistiche per di più spinti da ansia di vendetta; i soviet sono descritti semplicemente come scenari teatrali in cui capi psicopatici arringano la folla. La Rivoluzione sarebbe solo il frutto di un complotto, di un golpe, che misconosce la funzione agglutinante svolta dal Partito bolscevico nell’organizzare le masse contro l’autocrazia zarista e il nascente capitalismo finanziato dalle potenze occidentali. Non è neppure scartata la falsità, formulata da Nicola II, che i bolscevichi fossero degli agenti lautamente pagati dai tedeschi grazie alla mediazione del socialdemocratico Alexander Parvus, che avrebbe dato loro 10 milioni di marchi.

I rapporti tra Lenin e Trotsky sono narrati come una continua disputa tra due personaggi conflittuali, in cui ad un certo punto il primo penserebbe addirittura di spingere fuori da un balcone il secondo. Si tralascia il fatto che Lenin, di cui Stalin sarebbe stato il segretario, già dal settembre 1917, d’accordo con Trotsky, lottava contro il Comitato centrale del partito bolscevico per prendere la strada dell’insurrezione con la quale si sarebbe dovuta instaurare la dittatura del proletariato, ossia della maggioranza sulla minoranza.

Un certo spazio è dedicato alle donne di Trotsky (le due mogli e Larissa Reisner commissaria dell’Armata rossa famosa per la sua bellezza), delle quali è del tutto offuscato il ruolo attivo e combattivo avuto nella Rivoluzione e negli anni seguenti, vedendosi ridotte al rango di amanti, brave massaie, affettuose guardiane dei figli trascurati dal padre e probabilmente morti con la complicità di Stalin (responsabilità attribuita invece al padre). Lunghe e particolareggiate sono le scene degli amplessi sessuali, che mostrano un Trotsky supervirile e appassionato e si soffermano maliziosamente sulle nudità delle sue amanti.

Ovviamente queste donne, la cui vita intima non è certo possibile ricostruire e nulla toglie al loro ruolo politico, furono tutte delle coraggiose combattenti, dotate di una loro autonomia politica e culturale; tra i figli il più vicino politicamente gli fu Léon Sedov, cui Trotsky dedica il breve saggio La loro morale e la nostra, scritto nel 1938 a Coyoacán, mentre questi stava morendo in una clinica parigina perché malcurato. A ciò si aggiunga la trasformazione dell’amicizia per Frida Kahlo – i cui noti difetti fisici sono naturalmente cancellati – in una travolgente passione per seguire sempre il grossolano cliché del cacciatore di donne.

Quanto alla decisione che portò alla pace di Brest-Litovsk gli episodi della serie televisiva non chiariscono che la fine della guerra fu stabilita dal Congresso dei Soviet e che essa rispondeva ad una richiesta primaria delle masse popolari e dell’esercito ribelle agli ordini degli ufficiali (spesso fatti fuori). Inoltre, tale non facile decisione fu presa anche perché, a differenza di quello che ci si poteva aspettare, in Germania la socialdemocrazia aveva dato il suo sostegno alla sanguinosa politica imperialistica del Kaiser Guglielmo II.

A Lenin e Trotsky viene anche attribuita la risoluzione di far fucilare lo zar e la sua famiglia, mentre è noto che fu il Soviet degli Urali a decretare la morte della famiglia reale agli arresti nella città di Ekaterinburg, che rischiava di essere conquistata dall’esercito controrivoluzionario; evento che avrebbe significato certamente la liberazione dell’ex monarca con conseguenze nefaste per la rivoluzione.

Naturalmente c’è chi, soffermandosi sugli ultimi giorni dei Romanov e sulla loro tragica fine, dimentica la quantità di sofferenze umane, di vite, di stenti (è quantificabile?) che il potere secolare di questi ultimi aveva causato alle popolazioni dello sterminato impero russo, con le sue guerre, le sue rapine, le sue esazioni. E giunge ovviamente alla conclusione che la rivoluzione in tutte le sue forme è un atto crudele e brutale, che non ha senso perseguire, mantenendo lo status quo che – come si diceva – non è certo immune da atrocità e stermini. Basterebbe guardare agli episodi più significativi degli ultimi decenni, che hanno avuto come protagonisti gli Stati Uniti e i loro talvolta recalcitranti sudditi.

Nel programma si realizza addirittura un incontro tra Trotsky e Freud, che certo non parteggiava per i bolscevichi, al quale il primo rivolge queste parole in tono beffardo frutto di pura invenzione e contenenti non a caso una metafora sessuale: “Le masse hanno una psicologia femminile… la Rivoluzione deve essere inseminata”.

Ma l’episodio veramente incredibile è quello della morte di Trotsky, profondamente travisato, forse perché Putin vuole recuperare Stalin, il suo importante ruolo nella Guerra Patriottica e la sua capacità di aver fatto dell’Unione Sovietica una potenza mondiale, aspirando a seguire le sue orme. In questa vicenda i ruoli sono rovesciati ed è la vittima ad attaccare il suo assalitore, Ramón Mercader, che non avrebbe affatto avuto rapporti solidi con l’esule russo; solo per difendersi Mercader (alias Jackson) avrebbe preso una piccozza da ghiaccio dal muro (?) e avrebbe colpito a morte Trotsky. Con i mezzi tecnici e col potere si può fare tutto; direbbe il Belli riferendosi ai monarchi dei suoi tempi: “io fo dritto lo storto e storto il dritto”.


Note

[1] Per il Manifesto una rock roll star.

[2] Da notare che il 51% di tale canale televisivo è detenuto da governo russo, mentre il restante 49% era nelle mani del noto miliardario Roman Abramovich, proprietario del Chelsea, “uomo fatto da solo”, che fu costretto a vendere la sua cospicua parte per aver acquisito la cittadinanza israeliana. E ciò perché la legge russa proibisce che i cittadini stranieri possano godere di più del 20% di una società mediatica. Ora la sua parte è della Banca Rossiya dell’altro miliardario vicino a Puntin Yury Kovalchuk. Abramovich ha cominciato a “fare i soldi” quando negli anni ’80 M. Gorbaciov dette spazio alle piccole imprese, percorso che hanno intrapreso altri paesi che si richiamavano e si richiamano tuttora al socialismo.

02/06/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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