La fenomenologia dello spirito

Introduciamo i temi fondamentali della Fenomenologia dello spirito, al contempo prima parte e introduzione al sistema hegeliano.


La fenomenologia dello spirito Credits: http://www.lachiavedisophia.com/blog/appunti-sul-concetto-hegeliano-di-liberta/

Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su concetti analoghi

Segue da I concetti fondamentali della filosofia di Hegel (ultima parte)

Introduzione alla Fenomenologia dello spirito

A Jena, principale centro culturale del tempo, Hegel divenuto insegnante precario all’università si dedica anima e corpo alla composizione delle sue lezioni di Logica e metafisica, abbozzando il suo futuro sistema delle scienze filosofiche, sia per quanto concerne la logica, che per quanto riguarda la filosofia della natura e la filosofia dello spirito, occupandosi in particolare di filosofia pratica, nell’abbozzato Sistema dell’eticità, e di storia della filosofia.

Hegel ritiene la sua filosofia necessariamente fondata sulla storia della filosofia precedente, nella cui definizione come scienza filosofica ha svolto una funzione essenziale, e considera la ricerca teorica necessariamente e indissolubilmente connessa alla prassi e così, a differenza di Schelling – che prediligeva la filosofia della natura – da sempre privilegia la filosofia dello spirito umano e, in particolare, la sua determinazione etica, politica e storica.

L’epoca storica maggiormente adatta a iniziare la stesura del sistema filosofico

Dopo aver definito, in funzione delle sue lezioni, i lineamenti fondamentali del suo futuro sistema delle scienze filosofiche in tutte le sue principali determinazioni, Hegel si sente ormai pronto a passare alla stesura definitiva, cominciando a scrivere la prima parte, ovvero l’introduzione allo studio delle scienze filosofiche costituita dalla Fenomenologia dello spirito. Hegel ultima tale scritto nel 1807, proprio nei giorni in cui Napoleone entra da trionfatore a Jena, dopo aver sgominato l’esercito prussiano nell’omonima battaglia ed estende il dominio della Francia, profondamente rinnovata dalla Rivoluzione francese, sulla Germania dove ancora era sostanzialmente dominante l’ancien régime.

Tale evento, di portata storica universale, ossia l’affermazione anche nell’Europa centrale delle istituzioni moderne borghesi, affermatesi in Francia nel corso della Rivoluzione, è per Hegel un’ulteriore conferma di vivere in un periodo in cui si sta chiudendo un’era della storia del mondo, l’epoca cristiano-feudale, e se ne sta aprendo un’altra, ovvero quella del mondo borghese-moderno. Si tratta, perciò, dell’epoca più adatta all’elaborazione di un nuovo sistema filosofico in grado di ricomprendere in sé concettualmente l’intera epoca precedente, dal momento che la nottola di Minerva, simbolo della filosofia, si leva sempre in volo unicamente sul far della sera, quando una grande azione storica si è compiuta e una civiltà è ormai giunta al suo tramonto, dalle cui ceneri sorgerà una nuova e superiore epoca della storia universale.

Il carattere contraddittorio della figura storica di Napoleone, da incarnazione dello spirito del mondo a ostacolo all’affermazione delle moderne nazioni europee, il cui spirito ha per la prima volta evocato

Per quanto riguarda Napoleone, che nel momento in cui estende le istituzioni borghesi moderne nell’Europa centrale rappresenta agli occhi di Hegel il concentrarsi in un solo punto dello spirito del nuovo mondo, il giudizio che ne dà il filosofo è necessariamente complesso, articolato e capace di ricomprenderne gli aspetti anche fortemente contraddittori che lo contraddistinguono, come del resto l’intera nuova epoca borghese-moderna che in tal modo si afferma nell’Europa centro-occidentale. Napoleone – il “grande maestro del diritto pubblico di Parigi” – da una parte rappresenta l’esportazione al di fuori della Francia rivoluzionaria dei fondamenti giuridici dello Stato borghese moderno, che spazza via i residui feudali, dall’altra maschera con ciò la propria volontà di dominio e quella della sua borghesia nazionale, a discapito del diritto di autodeterminazione degli altri popoli nazionali che, proprio la Rivoluzione francese, ha evocato.

Con la Fenomenologia dello spirito Hegel dimostra di aver elaborato una concezione della filosofia autonoma rispetto anche a quella di Schelling e in grado di superarla dialetticamente

La Fenomenologia dello spirito è la prima grande opera della maturità di Hegel, con cui si afferma come filosofo autonomo, indipendente e in grado di superare dialetticamente lo stesso Schelling, di cui era stato considerato sino a quel momento semplicemente il primo collaboratore e che costituiva colui che aveva sviluppato la filosofia fino al suo punto più avanzato, prima dello sviluppo del sistema filosofico hegeliano.

Genealogia storica del concetto di “fenomenologia”

Il termine fenomenologia è un neologismo coniato dal filosofo illuminista svizzero J. H. Lambert che deriva dal greco ϕαινόμενον [fainòmenon] che significa ciò che si manifesta, e logos che significa discorso e più in generale dottrina, scienza. Lambert definisce fenomenologia la sezione della sua opera Nuovo Organo o pensieri sulla ricerca e definizione del vero del 1764 dedicata allo studio delle fonti di errore insite nelle diverse forme dell’apparenza. Per cui la fenomenologia era considerata la dottrina dell’apparenza, quale studio scientifico delle apparenze illusorie, ossia delle fonti d'errore.

Il concetto è ripreso e sviluppato in ambito idealistico da Fichte, che lo utilizza per indicare la dottrina dell’esperienza contrapposta alla dottrina della verità, seguendo ancora l’impostazione, da questo punto di vista dualistico, di Leibniz e della sua scuola. A radicalizzare ulteriormente tale contrapposizione interviene Schelling che rifiuta l’idea stessa di una introduzione alla scienza. La fenomenologia, ovvero la dottrina dell’apparenza, che dovrebbe fungere da introduzione sarebbe il prodotto della posizione limitata dell’intelletto che rimane nel suo spirito analitico prigioniero del dualismo fra soggetto e oggetto e, in tal modo, non sarebbe in grado di cogliere mediante l’intuizione intellettuale l’assoluto quale identità di entrambi.

Dunque il dualismo proprio della conoscenza intellettualistica e fenomenologica della realtà sarebbe, secondo Schelling, da abbandonare – proprio perché si limita ad analizzare le parvenze – per poter accedere direttamente alla scienza mediante l’intuizione trascendentale, quale facoltà sintetica che il filosofo gli contrappone. Del resto per Schelling tale capacità di intuire sinteticamente la verità, ambito in cui si sviluppa la scienza, quale identità di soggetto e oggetto è possibile solo per quelli che definisce Sonntagskinder, i figli della domenica, ovvero i necessariamente pochi geniali eletti ai quali il filosofo apparteneva sin dalla più giovane età, essendo stato appunto un ragazzo prodigio. In Schelling vi è, dunque, ancora una concezione sostanzialmente aristocratica della scienza, in quanto essa sarebbe inevitabilmente patrimonio di pochi eletti o individui dotati di una sorta di genio naturale.

Al contrario, Hegel viene sviluppando una visione essenzialmente democratica della scienza, in quanto la ritiene accessibile a tutti gli uomini di buona volontà, ossia a coloro che accetteranno di seguire con perseveranza l’impervio percorso che, attraverso la fenomenologia quale progressiva comprensione scientifica dell’apparenza, renderà accessibile il sapere propriamente scientifico, a compimento di un percorso che è appunto illustrato nella Fenomenologia dello spirito.

La storia dei gradi di formazione della coscienza umana dalle origini sino allo sviluppo della visione scientifica del mondo

Nella Fenomenologia dello spirito Hegel traccia la storia dei gradi attraversati dalla coscienza umana nel corso del suo processo storico-filosofico di formazione che gli consente di passare dalla posizione ancora non scientifica del senso comune, (presente all’inizio del percorso fenomenologico con la certezza sensibile), sino al punto di vista della moderna comprensione scientifica del mondo, da cui sarà possibile iniziare a conoscere e analizzare le diverse scienze filosofiche ricomprese all’interno del sistema della filosofia hegeliana. La verità per Hegel non è più, come per Fichte e Schelling, da rinvenire unicamente nel risultato del processo di formazione della coscienza, ossia nel cominciamento del sistema, nella impostazione scientifica, ma la verità si afferma via via già nel corso del processo, nel percorso tracciato nella Fenomenologia, necessario a tutti e, in particolare, ai giovani che devono essere introdotti alla scienza, ovvero alla comprensione scientifica del mondo.

La storia del processo di graduale formazione della coscienza

La Fenomenologia dello spirito ha, quindi, per Hegel uno scopo introduttivo al sistema delle scienze filosofiche e una funzione pedagogica, in quanto introduce alla moderna concezione scientifica del mondo. La Fenomenologia ha perciò una struttura sostanzialmente analoga a quella dei grandi romanzi che sono, a parere di Hegel, sempre grandi romanzi di formazione. In particolare, fra le grandi opere dell’epoca, Hegel si ispira al grande romanzo filosofico-pedagogico di RousseauEmilio o dell’educazione e a quello che considera il massimo prodotto dello sviluppo del genere del romanzo, ovvero al grande romanzo di formazione di Goethe Wilhelm Meister.

Più nello specifico Hegel intende tracciare una storia esemplare del percorso che deve compiere la coscienza individuale – ovvero ogni singola coscienza che intenda essere iniziata alla scienza – superando attraverso varie tappe la sua prospettiva individualistica, naturalmente soggettivistica per assumere il punto di vista universalistico della ragione scientifica. Il che implica il travaglio e la sofferenza – Hegel parla di un vero e proprio calvario – in quanto la coscienza singolare dovrà necessariamente fare la dolorosa esperienza dei limiti di ciò che in ogni stadio del suo sviluppo prende per vero, ovvero considera vero. Per essere iniziati alla visione scientifica del mondo, come sapeva già Socrate nel mondo antico, occorre innanzitutto fare la dolorosa esperienza di sapere di non sapere, sino ad arrivare di volta in volta alla consapevolezza dei limiti del proprio sapere e della propria concezione del mondo.

Il neofita, in funzione del quale è pensato questo percorso, deve acquisire nel più breve tempo necessario le conquiste spirituali decisive acquisite dall’umanità nel corso del suo sviluppo storico

Occorre, dunque, far ripercorrere al neofita le tappe fondamentali e imprescindibili della storia dello sviluppo dello spirito umano, della civiltà umana, su cui si fonda l’attuale speculazione filosofica, ossia l’attuale punto di vista scientifico sul mondo. Così il giovane e, più in generale, il neofita è gradualmente condotto a far sue le conquiste spirituali dell’umanità nel corso dello sviluppo storico della sua civiltà.

Le cinque tappe che conducono al sapere assoluto

La coscienza dovrà, dunque, necessariamente attraversare le cinque stazioni principali dello sviluppo della civiltà umana sino alla moderna visione del mondo scientifica che sono: la coscienza, l’autocoscienza, la ragione, lo spirito e la religione per poter, così, raggiungere la sesta e definitiva tappa: il sapere assoluto, ovvero un sapere del tutto privo di legami con l’altro da sé, ossia il sapere puramente scientifico. In ognuna di tali tappe il neofita dovrà fare i conti con le diverse figure che assume la coscienza del singolo e poi di una civiltà storica nel corso del suo necessario sviluppo.

23/03/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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