Segue da La grande crisi economica del 1929
Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su questo argomento
Gli Usa hanno saputo trarre grandi vantaggi economici dalla Prima guerra (imperialistica) mondiale, tanto da assumere alla sua conclusione una posizione per la prima volta dominante nell’economia mondiale. Gli Stati Uniti avevano atteso il momento opportuno per entrare nel conflitto, dopo aver sfruttato per diversi anni la propria posizione neutrale per lucrare extra-profitti vendendo materiale bellico e altre merci ai paesi impegnati nella guerra, in particolare all’Impero britannico e francese. Inoltre durante questi anni le grandi potenze internazionali imperialiste concorrenti degli Stati Uniti si erano distrutte a vicenda, in una spaventosa guerra di logoramento. In tal modo le enormi riserve auree delle altre grandi potenze imperialiste erano andate in buona misura a riempire i forzieri delle banche degli Stati Uniti. Poteva così iniziare ad affermarsi a livello internazionale quel signoraggio del dollaro che andrà compiendosi pochi anni dopo nel corso del secondo conflitto (imperialista) mondiale.
Il democratico Wilson era riuscito a ottenere un secondo mandato come presidente assicurando le masse popolari statunitensi, assolutamente contrarie ad andarsi a farsi uccidere in una guerra fra potenze imperialiste europee, che gli Usa sarebbero rimasti neutrali. Del resto la politica di neutralità attiva aveva consentito un grande rilancio dell’economia statunitense che aveva lucrato ingenti extra-profitti, essendo in buona parte venuta meno, a causa della guerra, la concorrenza straniera su quanto restava del mercato mondiale e trovando amplissimi sbocchi nei mercati paganti costretti dalle esigenze belliche ad acquistare in tempi brevi a prezzi superiori a quelli di mercato. Inoltre, le spaventose distruzioni belliche avevano spazzato via la precedente prima grande crisi di sovrapproduzione che era stata fra le principali ragioni strutturali, ovvero socio-economiche, del conflitto.
Wilson si era deciso a entrare in guerra, rompendo la promessa elettorale cui doveva la rielezione, dopo la Rivoluzione russa e l’uscita dalla guerra del paese dei soviet. La fine della guerra con la Russia aveva permesso alle forze degli imperi centrali di dislocare il grosso delle proprie truppe sul fronte occidentale, rompendo l’equilibrio che si era creato negli anni precedenti con le truppe anglo-francesi, che tanto aveva favorito l’arricchimento degli Stati Uniti. Ora, invece, la guerra rischiava di durare poco, anche per l’eccezionale successo della propaganda bolscevica contro la guerra imperialista e, inoltre, gli Usa rischiavano di non poter essere rimborsati dei propri enormi prestiti all’impero britannico e francese se essi fossero stati costretti alla resa e a ripagare le spese belliche dagli Imperi centrali.
Inoltre l’uscita dalla guerra dell’ultrareazionario Impero russo, consentiva alla propaganda democratica statunitense di spacciare l’entrata nel conflitto degli Usa come una crociata per la democrazia e la pace contro i guerrafondai imperi centrali. In tal modo gli Stati Uniti non solo avrebbero favorito una relativamente rapida sconfitta degli imperi asburgico, guglielmino e turco-ottomano, ma avrebbero potuto fronteggiare il successo della propaganda bolscevica nella sua lotta contro la guerra imperialista. Tanto più che Wilson aveva introdotto nei propri quattordici punti, un vero e proprio manifesto dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, oltre alla parola d’ordine già bolscevica del diritto dei popoli all’autodeterminazione, che così grandi consensi mieteva a livello internazionale, la creazione per la prima volta nella storia di una Società delle nazioni, che avrebbe dovuto permettere la realizzazione dell’utopia della pace perpetua, tagliando l’erba sotto i piedi ai comunisti, che miravano a trasformare la guerra imperialista in una guerra civile rivoluzionaria volta a eliminare con l’imperialismo la principale causa dei conflitti.
D’altra parte, nonostante tutti questi sofisticati strumenti ideologici, Wilson non aveva tenuto nel debito conto che la volontà collettiva nazional-popolare che gli aveva consentito l’elezione per il suo impegno a mantenere la pace nel paese, si sarebbe dissolta al momento delle elezioni, visto il clamoroso tradimento delle proposte elettorali da parte del Partito democratico. Tanto più che proprio il presidente democratico aveva reintrodotto lo stato di segregazione razziale a livello federale nei confronti della popolazione afro-americana che aveva abolito il repubblicano Lincoln. Inoltre, alla faccia del principio di autodeterminazione, Wilson aveva continuato a considerare l’America latina come il proprio cortile di casa, dando vita a una escalation degli interventi imperialisti, in particolare nei paesi dell’America centrale, per impedire che i governi democraticamente eletti potessero portare avanti una politica contraria agli interessi degli Stati Uniti.
Così, mentre il tradizionale elettorato popolare democratico fortemente deluso disertò in masse le urne, la destra repubblicana riuscì con parole d’ordine populiste a motivare i propri elettori e a conquistare nuovi elettori nei ceti subalterni con la proposta demagogica di assumere nel dopoguerra una posizione isolazionista, che avrebbe portato gli Stati Uniti a non spendersi più per la pace fra le popolazioni imperialiste europee, in nome della parola d’ordine: prima gli americani!
Le prime elezioni presidenziale del dopoguerra furono anche le prime elezioni a suffragio universale, dal momento che per contrastare la capacità di attrazione della Russia rivoluzionaria il governo statunitense era stato costretto a riconoscere il diritto di voto alle donne, dal momento che già con le rivoluzioni russe del 1917 le donne avevano conquistato per la prima volta nella storia in un grande paese gli stessi diritti degli uomini. Le elezioni videro la netta affermazione del candidato presidente repubblicano Warren Gamaliel Harding. Ripreso il controllo del governo i repubblicani impedirono agli Stati Uniti di far parte della Società delle Nazioni, nonostante quest’ultima fosse stata proposta e sostenuta proprio dagli Usa.
Durante il suo mandato (1921-1924), il presidente repubblicano attuò all’interno del paese la tradizionale politica ultraliberista, ma populisticamente abbandonò il dogma del libero mercato, alzando barriere doganali volte a colpire la concorrenza delle merci straniere nel mercato statunitense, che dopo la vittoria nella guerra si era notevolmente espanso, senza contare che i capitali sovraprodotti negli Stati Uniti potevano essere investiti con profitto nella ricostruzione post-bellica, in primo luogo delle stremate grandi potenze europee. I repubblicani si affermano ideologicamente mediante lo sciovinismo e il conformismo. Inoltre, sfruttando il fantasma del comunismo che, per la prima volta, turbava in modo significativo i sonni dei proprietari statunitensi, il governo repubblicano si distinse nella persecuzione, con i metodi più drastici e spietati, del sindacato di classe.
L’IWW (Industrial Workers of the World), l’organizzazione sindacale più radicale, è di fatto spazzata via e, più in generale, tutto il sindacalismo conflittuale è fortemente indebolito a tutto vantaggio dei sindacati gialli e neocorporativi, sempre più controllati dalla malavita organizzata. In questo periodo si sviluppa la caccia dei fascisti ai sindacalisti radicali, diversi esponenti vengono trucidati e linciati e, anche in questo caso anticipando le politiche repressive dei fascismi europei, molti militanti sono internati. In un arco di tempo brevissimo, nel gennaio 1920, vengono arrestate oltre 10.000 persone senza aver commesso nessun reato, prima i dirigenti comunisti, poi uomini politici radicali e infine semplici immigrati; talvolta torturati, sono in larga parte deportati in quanto spesso recentemente immigrati. Ciò permette ai repubblicani di attuare la politica populista di destra del blocco dell’immigrazione non clandestina giustificata con la fobia del comunismo. In tal modo, necessariamente aumentò considerevolmente l’immigrazione clandestina, ancora più strumentale a ricattare i lavoratori impiegati e a rompere la solidarietà all’interno della classe operaia. In tal modo per impedire lo sviluppo della coscienza di classe, si mirava a sviluppare una coscienza nazionalista, sciovinista e razzista.
I governi repubblicani e la crescita del capitalismo monopolistico
Sulla stessa linea si muove il successore di Harding, morto nel corso del suo primo mandato, Calvin Coolidge. Grazie alla illusoria ripresa economica, dovuta al boom degli investimenti improduttivi nelle speculazioni borsistiche, dal 1922 fino allo scoppio della bolla speculativa del 1929, Coolidge sarà rieletto presidente, per essere sostituito nelle successive presidenziali del 1928, da un nuovo candidato repubblicano orientato a destra: Herbert Hoover. Creditori di 10 miliardi di dollari dagli europei, in particolare Francia e Inghilterra, i creditori statunitensi ne ottennero in interessi circa un terzo, grazie agli investimenti dei capitali Usa sovraprodotti in Germania, favorendo la ripresa economica che gli consentì di onorare gli spaventosi interessi sul debito contratto a causa dei punitivi trattati di pace nei confronti dell’impero britannico e francese. In questi anni vi è, in particolare negli Stati Uniti, un’enorme crescita del capitale monopolistico, che va di pari passo con lo sviluppo di sempre più spaventose differenze socio-economiche fra una sempre più ristretta minoranza di proprietari dei grandi mezzi di produzione e la grande maggioranza del genere umano sempre più costretta a vendere come merce del più infimo valore la propria forza di lavoro e, all’occorrenza, quella delle proprie mogli e figli.
Segue nel numero 264 de La Città Futura on-line dal 4 gennaio 2020.