la natura classista dello Stato – II parte

Lo Stato imperialista ha la necessità di perpetrare se stesso, il blocco sociale e i rapporti di produzione su cui si fonda, i suoi apparati repressivi e le alleanze militari interimperialiste che garantiscono i profitti, i privilegi e il potere di una esigua minoranza di sfruttatori.


la natura classista dello Stato – II parte Credits: http://www.inkorsivo.com/agora/bombe-massoni-dal-golpe-bianco-alle-stragi-mafia/

Segue da La natura classista dello Stato.

Che il colpo di Stato dell’Immacolata fosse una cosa seria e non certo un “golpe da operetta” – come pretesero i poteri forti per autoassolversi – era del resto convinzione dello stesso ambasciatore statunitense a Roma che scriveva al suo paese: “discutere della necessità di un colpo di Stato è stato endemico in Italia sin dalla guerra. La serie prolungata di crisi nell’ultimo anno, insieme al crescente livello di disordini sindacali, ha riportato la questione in primo piano. Sarei propenso a respingerlo di nuovo se non fosse per fattori aggiuntivi che mi sembrano rendere una tale minaccia più credibile ora di prima”. [1] A dimostrazione di ciò, scrive ancora l’ambasciatore, vi era la convinzione dello stesso gruppo dirigente del Partito Comunista italiano, “poiché il 25 maggio, quando emerse un’altra voce del genere, non un solo dirigente comunista dormì nel suo letto quella notte”. Per altro, secondo le rivelazioni del golpista Adriano Monti, a dare il via libera al colpo di Stato era stato uno dei diversi ufficiali nazisti reclutato dagli statunitensi, O. Skorzeny, che “mi comunicò che gli Stati Uniti erano favorevoli al golpe, ma solo a una condizione: che il capo del nuovo governo fosse Giulio Andreotti”. [2] In altri termini, chiarisce ancora Monti, “l'indicazione che arrivava dagli Stati Uniti era che Andreotti diventasse il garante democratico del nuovo corso, perché il governo, anche se militare, avrebbe dovuto indire le elezioni, in un nuovo clima, entro due anni”, [3] tagliando certamente fuori il Partito Comunista e, se necessario, lo stesso Partito Socialista Italiano.

L’esecutore più conosciuto del golpe dell'Immacolata fu Valerio Borghese che, dopo aver rotto con il Movimento Sociale Italiano, aveva fondato il Fronte Nazionale, ossia l’organizzazione nazifascista “che nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 tentò un vero e proprio colpo di Stato militare con la complicità di settori delle forze armate, dei carabinieri e della guardia forestale e che venne fermato all’ultimo momento da un contrordine dell'amministrazione Usa”. [4] Nel golpe Borghese emerge, inoltre, “il ruolo della P2, i contatti tra ambienti Usa, la Cia, e il Fronte Nazionale, la conoscenza del piano eversivo da parte del Sid”. [5]

La commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi nel suo rapporto, approvato nel 2001, ha così descritto un momento topico del golpe: “due gruppi scelti di fascisti di Avanguardia Nazionale (…) erano appostati vicino al Viminale. Questi ultimi penetrerebbero, grazie al capitano di pubblica sicurezza Enzo Capanna (l’iniziale coinvolgimento anche del questore Umberto Federico D’Amato fatto in un appunto Sid del 2 aprile 1971 verrà omesso nel rapporto Maletti del 1974) nell’armeria del Reparto Autonomo di pubblica sicurezza del ministero dell’Interno (palazzo del Viminale). Qui, dopo aver caricato 200 mitra su un camion per distribuirli ai congiurati, si predisporrebbero ad occupare la centrale radiotelefonica del ministero. In ora imprecisata, forse poco prima delle 24, Borghese impartisce il contrordine”. [6]

“«L’operazione scrisse la questura di Roma avrebbe dovuto essere una prova generale per un colpo di Stato, un’azione di commandos (…)». Essa si proponeva «di creare panico e disorientamento al fine di rendere necessario l’instaurazione di un governo forte». Degli avvenimenti scrive il Sid «non sarebbero stati all’oscuro l’Ammiraglio Birindelli (comandante navale Nato Sud-Europa), il capo di Stato maggiore della marina e dell’esercito, il comandante della III Armata e delle fanterie del Sud-Europa e alcune personalità del Quirinale»”. [7] “Il ruolo della P2 di Licio Gelli (che avrebbe dovuto rapire il presidente della Repubblica); l’interlocuzione tra ambienti Usa e Fn con gli incontri tra l’agente Cia Hugh Fendwich e Remo Orlandini, braccio destro di Borghese; la conoscenza diretta del piano eversivo da parte del Sid; la mancata consegna alla magistratura (responsabili il generale Maletti e il ministro della Difesa Andreotti) di una dettagliata documentazione che indicava i nomi di partecipanti al golpe come l’ammiraglio Giuseppe Torrisi (poi asceso alla carica di Capo di stato maggiore della Difesa) e Licio Gelli. La strategia dell’operazione, da parte degli apparati Usa coinvolti, non fu quella di un colpo di Stato come in Grecia ma il rafforzamento dei partiti di governo su base emergenziale”. [8]

Il golpista Monti, punto di riferimento degli Stati Uniti, “conferma che il golpe fu fermato da una telefonata mentre tutte le pedine si erano mosse (dalla Guardia Forestale ai carabinieri …). Secondo Monti a bloccare tutto, prima di mezzanotte, furono i due uomini che facevano da tramite fra il Comandante Junio Valerio Borghese e i servizi segreti statunitensi cioè il generale Vito Miceli, capo del Sid  (servizio segreto dell'Esercito), e l’Ammiraglio Gino Birindelli, comandante delle truppe Nato nel Mediterraneo, con base a Napoli. La tesi esposta da Monti è che a chiedere di fermare il golpe nel 1970 furono gli israeliani perché non volevano Andreotti a capo del governo che sarebbe nato dal colpo di stato. Altre fonti, affermano che gli apparati di intelligence statunitensi consigliarono l'amministrazione Usa a fermare tutto perché non erano sicuri che il golpe sarebbe riuscito e che la reazione avrebbe rafforzato i comunisti”. [9]

A ulteriore conferma che non si trattò affatto di un colpo di Stato da operetta, vi è la significativa testimonianza di Gaetano Lunetta, responsabile del Fronte nazionale in Liguria: “Il golpe Borghese c’è stato davvero, siamo stati padroni assoluti del Viminale, è anche sbagliato definirlo golpe tentato e poi rientrato. Il risultato politico che voleva è stato raggiunto: congelamento della politica di Aldo Moro, allontanamento del Pci dall’area di governo, garanzie di una totale fedeltà filoatlantica e filoamericana. La verità è che il golpe c’è stato ed è riuscito”. 

Appena “quattro giorni dopo il tentato golpe dell'Immacolata, a Milano i carabinieri uccidevano in piazza il compagno Saverio Saltarelli nella manifestazione per il primo anniversario della strage di Piazza Fontana”.  [10] Negli anni successivi “la guerra di bassa intensità contro i comunisti e il movimento operaio è continuata con altrettanta ferocia con le stragi di Stato di Brescia, Italicus, Bologna, Treno 204, con i morti nelle piazze e la repressione”. [11]

Per quanto riguarda l’inchiesta sul colpo di Stato, essa “fu affidata ad un magistrato «di fiducia» strettamente legato ad Andreotti”. [12] Così tra il 1972 e il 1973 gli esecutori fascisti vennero scarcerati e le accuse nei loro riguardi archiviate. Nel 1974 altri elementi emersero che coinvolgevano lo stesso ex direttore del Sid Miceli. Venivano così “rinviate a giudizio 78 persone tra fascisti e uomini degli apparati dello Stato. (…) Gli imputati dovettero rispondere dei crimini di insurrezione armata, cospirazione politica mediante associazione, tentativo di sequestro di persona, furto, detenzione e porto abusivo di armi ed esplosivi. Il processo si concluse il 29 novembre 1984 quando la Corte d'Assise assolse con formula piena gli imputati di cospirazione parlando del tentativo di golpe come un «conciliabolo» di vecchi nostalgici fascisti. La Cassazione confermò tutto il 24 marzo 1986 mettendoci una lapide sopra”. [13] 

D’altra parte, nonostante i consueti depistaggi e l’assoluzione degli imputati, come sottolinea lo storico Davide Conti alcuni elementi storici sono ormai consolidati. Nel frattempo “il parlamento, con voto quasi unanime, scelse di bocciare la mozione che proponeva il 12 dicembre come giornata in ricordo delle vittime del terrorismo e di votare al suo posto il 9 maggio (giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani a Roma). Una preferenza tanto politicamente «logica» per lo Stato quanto storicamente discutibile.

La Repubblica ha scelto di rappresentare quegli anni attraverso una narrazione autoassolutoria che racconta l’azione di un agente esterno alle istituzioni, le Brigate Rosse, che porta l’attacco al cuore dello Stato, omettendo al Paese il fatto che il fenomeno del terrorismo in Italia sia nato, molti anni prima, proprio da quel cuore” [14] con la strategia della tensione e la strage di Piazza Fontana. 

Peraltro anche sul caso Pinelli “per la giustizia si è trattato di «malore attivo» durante un interrogatorio che andava avanti da 48 ore. Anche la versione ufficiale sulla bomba che il 12 dicembre uccise 17 persone nella sede di piazza Fontana della Banca dell’Agricoltura è un contorsionismo non da poco: l’ultima sentenza, del 2005, identifica la matrice neofascista attraverso delle assoluzioni, con l’esecuzione materiale che ancora oggi rimane ignota. Al di là delle sentenze, diverse inchieste hanno portato alla luce dei fatti decisivi”. [15]

In tal modo, una parte essenziale della storia del nostro paese è stata occultata “e i criminali impuniti, perché lo Stato borghese ha la necessità di salvare se stesso, il blocco di potere a «doppio livello e doppia fedeltà» su cui si regge, i suoi apparati speciali (es. Gladio), i suoi più fedeli servitori, le potenze internazionali e le alleanze militari – come la Nato – che garantiscono i profitti, i privilegi e il potere di una minoranza di sfruttatori e oppressori, controllando e gestendo la vita politica italiana”. [16]

Tutto ciò non poteva che produrre una memoria divisa e contrapposta, come appare ancora oggi a piazza Fontana, dove si trova incisa la versione ufficiale “anche sulla targa collocata dal Comune di Milano (…) che ricorda, con pudore omissivo, che Pinelli è «morto tragicamente». Accanto ad essa una stele rappresenta, invece, una memoria storica «altra» e reale della Milano democratica e antifascista. Lì si ricorda che Pinelli è stato «ucciso innocente»”. [17]

Note:

[1] Dal telegramma che il 7 agosto del 1970 l’ambasciatore a Roma, Graham Martin, spedisce a Washington allo scopo di informare dei piani eversivi dell’organizzazione nazi-fascista Fronte Nazionale (Fn) di Valerio Borghese.

[2] Intervista a Adriano Monti in “Il Giornale”.

[3] Ibidem.

[4] Ruocco, F., Italia. Cinquanta anni fa il fallito golpe dell'Immacolata, in contropiano.org
del 08/12/2020.

[5] Conti, D., Il vero “Golpe Borghese”, tutt’altro che sfumato, in “Il manifesto” del 08.12.2020

[6] Commissione parlamentare d'inchiesta sulle stragi. Da pag. 104 a p. 111 ci sono i capitoli dedicati al Golpe dell'Immacolata

[7] Conti, D., op. cit.

[8] Ibidem.

[9] Ruocco, F., op. cit.

[10] Ibidem.

[11] Ibidem.

[12] Conti, D., op. cit.

[13] Ruocco, F., op. cit.

[14] Conti, D., L’ultima azione di resistenza di un partigiano in “Il manifesto” del 12.12.2020.

[15] Di Vito, M., Ancora sospesa la verità sulla morte di Giuseppe Pinelli, in “Il manifesto” del 12.12.2020

[16] Teoria & Prassi, 12 dicembre ‘69: strage di Stato o Stato delle stragi, 12.12.2020.

[17] Conti, D., L’ultima…, op. cit.

26/12/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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