Divisi siamo perduti

La Lega nel 2013 era al minimo storico dal ‘94. Hanno stravolto tutto e cambiato politica, ora sono il primo partito. Che insegnamento danno alle sinistre queste elezioni?


Divisi siamo perduti

Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto,
bisogna rimettersi tranquillamente  all’opera,
ricominciando dall’inizio.

Antonio Gramsci

Il movimento operaio italiano ha dato prova di grande coraggio nel corso della storia: dall’occupazione delle fabbriche durante il biennio rosso, alla lotta partigiana, dal glorioso ’68-‘69 fino alle storiche mobilitazioni degli anni 70. L’Italia era conosciuta come il Paese occidentale a capitalismo avanzato dove le forze comuniste competevano per la presa del potere alla pari contro le forze reazionarie. Ben consapevoli che quel livello di unità, ormai perso, non si possa ricostituire in pochi mesi né tantomeno ai soli fini elettoralistici, è giunto il momento di porci seriamente il problema della disorganizzazione e del come invertire la rotta valorizzando le nostre esperienze e le nostre organizzazioni.

Nel 1924 dopo la sconfitta del biennio rosso e l’affermazione del fascismo in Italia, Gramsci fonda un giornale dal titolo l’Unità. Infatti già allora questa parola d’ordine era ben chiara ai militanti del partito comunista per organizzare la resistenza al fascismo che li aveva, inoltre, ridotti ad operare in clandestinità.

Ben consapevoli che la massima unità possibile si faccia nelle piazze e nelle lotte sociali, qualsiasi iniziativa unitaria possibile tra gli sfruttati va accolta come lodevole e positivamente in controtendenza rispetto alla moda dell’isolazionismo settario che ci rende, invece, divisi e inevitabilmente deboli nei confronti del nemico, il quale ha in tal modo gioco facile ad opprimerci. Riteniamo utile citare un passo dell’analisi del voto di Fronte Popolare [2] : “di fronte a questa situazione gravissima, rilanciamo l’appello alla convergenza di tutte le forze anticapitaliste e disposte alla lotta contro l’UE del grande capitale. Occorre unirsi in un’alleanza per la trasformazione sociale aperta, inclusiva, fondata sul mutuo riconoscimento delle sue componenti e in grado di formulare obiettivi di lotta chiari e un chiaro progetto di radicamento sociale.”

Il voto del 26 maggio è allarmante per tutte le forze sinceramente democratiche del paese non soltanto per lo scarso risultato percentuale ottenuto ma per la diminuzione ulteriore in termini relativi di sostenitori e simpatizzanti.

Coscienti che le elezioni rappresentino un termometro della fase politica, è necessario notare che la bassa affluenza alle urne non è accompagnata dalla lotta di classe degli oppressi. Tale lotta di classe è invece condotta unilateralmente dalle classi dominanti e trova solo qualche minima resistenza di alcune sacche di compagni e qualche ostacolo giuridico (quanto previsto dalla Costituzione ottenuta dalla Resistenza potrebbe, ad esempio, bloccare la flat tax).

Mentre noi ci arrovelliamo su ininfluenti dibattiti di “area”, le contraddizioni capitalistiche a livello mondiale si fanno sempre più profonde e minacciose: la classe dominante, impegnata a gestire la crisi capitalistica irrisolvibile senza il ricorso alla distruzione dei capitali in eccesso, trova il modo di serrare le fila come dimostra il fatto che il neo insediato imperatore giapponese incontri come primo leader internazionale proprio Trump, presidente del Paese che a guerra ormai finita soggiogava e asserviva il popolo giapponese attraverso lo sgancio delle bombe atomiche. La guerra in previsione contro Venezuela, Russia, Cina e Iran è solo momentaneamente commerciale.

A una settimana dal voto abbiamo già sentito e letto diverse analisi o commenti che, ci pare, si siano assestate, più o meno (ci si perdoni la schematizzazione, propedeutica alla chiarezza), sui seguenti toni:

  1. Il risultato da semi-prefisso telefonico era prevedibile, il percorso è sbagliato sin dal principio, ora bisogna procedere all’unità delle lotte;

  2. Non siamo stati capiti ma dobbiamo ripartire (acriticamente n.d.r) da dove abbiamo lasciato;

  3. Le destre avanzano e i comunisti spariscono perché intraprendono processi settari e non condivisi oppure perché non lanciano un chiaro messaggio alternativo alla classe dominante sull’Europa;

Tutte e tre queste analisi possono essere a loro volta scomposte in altre più approfondite che, condivise o meno, in ogni caso ci sembra possano essere completate con elementi di analisi propositivi collegabili alla situazione reale e concreta.

Su un punto siamo tutti d’accordo: l’elemento che emerge da queste elezioni è l’ininfluenza della sinistra d’alternativa e in particolare delle formazioni anticapitaliste e comuniste. Tali formazioni perdono nella gran parte dei paesi europei e l’onda reazionaria sembra ergersi a tsunami su tutto il continente.

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la scomparsa elettorale di tali forze “sinceramente democratiche”, socialdemocratiche o comuniste non arreca alcun vantaggio al movimento operaio e alla causa comunista: nessuna altra organizzazione residua ne uscirà rafforzata quantitativamente - in quanto tra gli effetti principali delle sconfitte vi è la smobilitazione dei militanti – né qualitativamente - in quanto la sconfitta in sé rileva una sostanziale incapacità di analisi della realtà e di intercettazione delle istanze della classe che, evidentemente alcuna proposta politica è in grado di incarnare in modo credibile né prima né dopo le elezioni in assenza di seria autocritica.

Coscienti che siamo di fronte a una sconfitta epocale dobbiamo essere umili nel riconoscere le nostre debolezze e farci coraggio nell’affrontare un futuro ancora da scrivere.

È infatti ora più che mai necessario affiancare all’analisi delle cause della nostra insufficienza e quasi allucinante frammentazione una proposta fattiva di emersione che parta dalla fondamentale considerazione che nessuno di noi ha pienamente ragione, nessuno di noi ha pienamente torto e nessuno di noi, da solo o applicando solo la propria strategia, è in grado di rimediare a tale situazione o ergersi quale organizzazione validamente rappresentata su tutto il territorio nazionale e riconosciuta dalle classi subalterne. Non vi sono scorciatoie, non vi sono partiti-magneti (esistenti o in nuce) che possano indicare la via. Non vi sono simboli, motti, donne o uomini della provvidenza.

Vi è, tuttalpiù, una lista rispettabile di esperienze più o meno ampie di prassi politiche.

Ad esempio l’esperimento, in senso gramsciano, del mutualismo e delle case del popolo quale momento o passaggio della connessione e compenetrazione con le masse e le istanze popolari, il quale configura una organizzazione di stampo essenzialmente territorialista, può arricchirsi se è affiancato ad altrettante esperienze ed esperimenti che invece pongano il centro del conflitto principalmente sul luogo del lavoro perseguendo la prospettiva consiliare altrimenti impossibile in ambito sindacale. Molti partiti storici rappresentano ancora un discreto bacino di militanza ed esperienza politica da preservare, altri piccoli partiti comunisti o gruppi comunisti, come il nostro ad esempio e tantissimi altri ancora, hanno a vario titolo curato la formazione dei giovani, sperimentato un pezzo di lavoro, un’esperienza di lotta, un certo sviluppo teorico su un determinato problema, tutti pezzi del puzzle che insieme possono contribuire organicamente a vivificare la teoria della prassi.

Tali esperienze vanno tesaurizzate ma allo stesso tempo tutte necessariamente superate in senso dialettico.

Il vero problema che ci interessa analizzare attraverso questo scritto quindi non è tanto l’analisi dell’avanzata delle destre, del grande astensionismo e ulteriori elementi emersi e articolati in modo estremamente efficace, a nostro avviso, anche da altri [1,2] ma è appunto la questione di iniziare a interrogarci sul come mettere a fattor comune, se non tutte, almeno una parte di queste esperienze esistenti, fuoriuscendo da una prospettiva settaria e confessandoci sinceramente che per i comunisti non esiste alcuna reale alternativa a questo necessario sforzo.

Non auspichiamo né una mera sommatoria di prassi differenti né, ugualmente, una mera sommatoria di forze politiche: la nostra proposta, che sin da subito vorremmo mettere a disposizione della discussione e del confronto politico con tutti, l’abbiamo già in passato abbozzata in diverse occasioni ed articoli [4,5,6] già pubblicati e rappresenta una riflessione in continua elaborazione, alla luce dell’intercedere degli eventi.

Crediamo sia necessario costruire un movimento al comunismo in grado di integrare, come detto, queste esperienze di lotta nell’ottica della loro valorizzazione, prescindendo dall’individuazione di una struttura “trainante” che si erga sulle altre o le catalizzi dettando la propria linea delle priorità in quanto, appunto, risulterebbe questo un passaggio non solo estenuante e divisivo (come le passate esperienze ci hanno già ampiamente (di)mostrato) ma sostanzialmente inutile giacché di fatto nessuna di esse, per un verso o per un altro, possiede già tali caratteristiche né, ci pare, possa giungere a possederle in futuro in modo autonomo e autosufficiente.

Crediamo che tale movimento possa e debba favorire l’aggregazione di tanti utili progetti -i quali rischiano di rimanere distanti l’un l’altro, favorendo in tal modo lo spontaneismo - compattandoli nel tempo in una strategia d’insieme per mezzo di una struttura dotata della elasticità necessaria ad assolvere la funzione di direzione consapevole senza imbrigliarsi nei vicoli di un eccessivo burocratismo. Da comunisti siamo ben consapevoli che è solo il partito l’organizzazione più efficace ad incidere nel processo storico; al contempo, date le condizioni attuali, non è pensabile costituirlo a tavolino prescindendo dalla realtà.

In altri termini crediamo nella necessità di una strutturazione tra realtà comuniste e anticapitaliste all’interno della quale sia possibile preservare la diversità di ognuno e la coesistenza di prassi diverse (in quanto siamo convinti che non si contraddicano a vicenda) attraverso un tessuto organizzativo minimo condiviso.

L’elaborazione di una strategia condivisa, a differenza di quanto si possa pensare, non rappresenta semplicemente un ostacolo ma va vista nell’ottica dell’ arricchimento, attraverso il quale dobbiamo necessariamente passare se vogliamo migliorare tutti e sviluppare una mentalità da innovatori.

Serve che si sviluppi, in un clima di umiltà e consapevolezza della drammaticità della fase, un confronto pratico- teorico ampio senza temere l’emersione dello scontro tra diversità di vedute in quanto, oramai, è decisamente tempo che questi dibattiti si svolgano all’interno di un perimetro di lealtà e di buona fede, di recupero di un atteggiamento maturo che non confonda mai la primarietà della lotta contro il nemico di classe con l’alimentazione di squallide begucce interne che non interessano ad alcun lavoratore, precario o meno, studente, né tantomeno a molti, tantissimi, compagni e compagne che hanno semplicemente voglia di mettersi in gioco e fare la loro parte per cambiare la società in cui viviamo e che vengono sistematicamente e tristemente dispersi da questo genere di faide tra presunti re senza alcun trono. Questo punto lo riteniamo veramente dirimente.

Perché auspicare questa “unione di esperienze” che muovono verso il partito ? Perché crediamo che ciò possa consentire uno sviluppo qualitativo del movimento comunista in Italia in quanto solo attraverso questa condivisione di esperienze e risultati ottenuti con pratiche differenti possiamo essere in grado di addivenire a una visione decisamente più ampia del processo storico che attraversiamo e dello stadio attuale di sviluppo o di conoscenza raggiunto dalla nostra classe di riferimento nei vari e determinati ambiti; il che, ovviamente, dialetticamente, rafforza a sua volta le potenzialità di elaborazione e di emersione di esperienze nuove, idee nuove, all’interno del meccanismo attraverso il quale prendendo consapevolezza delle prassi attuate siamo in grado di derivarne un nuova e più efficace teoria.

È necessario, a nostro avviso, che oltre a tale movimento al comunismo, si possa e si debba essere in grado di avere coscienza di quanto altro ci circonda e sia in grado di produrre una forza egemonica attraverso diversi gruppi sociali: a questo scopo è utile cimentarsi in una politica di alleanze che abbia la duttilità tattica necessaria alla costruzione di un fronte ampio anticapitalista attraverso il quale consentire alle forze comuniste di esercitare la propria egemonia o diffonderla all’interno della c.d. società civile o determinati gruppi sociali interessati da fenomeni cui prestare attenzione (ad esempio come accade oggi tra i giovani e le istanze ambientaliste).

Come abbiamo detto in precedenza, siamo pronti e disponibili a discutere di questi temi e di questa proposta che ci permettiamo di avanzare come contributo al dibattito post elettorale, sforzandoci di superare ogni sirena del settarismo. Non ci interessa l’insulto tra compagni, non ci interessa lo svilimento delle pratiche di ognuno, non ci interessano le scommesse sui possibili vincitori di una gara dove tutti i partecipanti hanno gambe e ossa fratturate e rischiano tutti una rovinosa caduta, se si ostinano a non comprendere di doversi sostenere a vicenda.

Dunque indirizziamo la nostra proposta di discussione a tutti i compagni, da quelli che hanno sostenuto “La sinistra” e i suoi candidati anti-europeisti alle elezioni in quanto potenzialmente la sola lista in grado di superare la soglia dello sbarramento, così come a tutti i compagni che hanno sostenuto e organizzato la lista del PC col simbolo del movimento operaio internazionale , ai compagni che hanno cercato di raccogliere le firme per presentarsi alle elezioni senza riuscirvi, a tutti coloro che, inoltre, non si sono visti rappresentare da nessuna lista e hanno optato per il non voto.


Note:

[1] militant

[2] fronte popolare

[3] Appello a tutte le forze che ritengono irriformabile il polo imperialista europeo

[4] Per l’unità delle forze che considerano irriformabile l’Ue

[5] I comunisti e l’Ue

[6] Potere al popolo, il fronte anticapitalista e l’unità dei comunisti

02/06/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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