Ancora sull’appello dell’Anpi

Da dove nasce il revisionismo storico e come si materializza la perdita della memoria collettiva a partire dalla lettura distorta del presente. Non liberarsi dal peso del passato ma riattualizzarlo dentro la odierna contraddizione tra capitale e lavoro.


Ancora sull’appello dell’Anpi

Gli interventi succedutisi sull’appello sottoscritto da Anpi, Anci e Cgil Cisl Uil hanno indignato compagni/e, le critiche severe sono sembrate ingenerose, alcuni si sono soffermati sugli aggettivi o su una singola frase evitando di affrontare la questione generale, ossia se una forza comunista, qualunque essa sia, possa sottoscrivere o no un appello filogovernativo.

Mentre scriviamo, la crisi del Conte 2 è arrivata forse all’epilogo, si apriranno scenari che potrebbero portare a esecutivi larghi e su posizioni ancora più arretrate.

È arrivato il momento di fare chiarezza e prendere commiato dalla retorica dell’antifascismo a partire dal rifiuto di memorie condivise. Nostro compito dovrebbe essere altro, attualizzare l’antifascismo seguendo le indicazioni dell’economista Brancaccio che analizza il carattere reazionario e autoritario della finanza.

Ha ragioni da vendere Adriano Prosperi (Un tempo senza storia, 2021) nella critica alla società attuale ribattezzata società dell’oblio. Il passato può essere dimenticato ma anche vissuto come ideologia e retorica piegandolo a una lettura connivente con i rapporti di forza oggi esistenti e abiurando in partenza ogni rottura sistemica.

La domanda da porsi è quindi un’altra: da dove scaturiscono le mitologie naziste o fasciste, quando e con quali percorsi si sono rafforzate ideologie e pratiche all’insegna del razzismo e della xenofobia?

Ogni risposta non potrà eludere le questioni di fondo taciute invece da molti.

Dopo il 1989, nei paesi un tempo del socialismo reale, la estrema destra ha raggiunto numeri e radicamenti sociali impensati, le politiche di austerità dettate dalla Bce hanno portato a licenziamenti di massa e l'arrivo dei migranti, il cosiddetto esercito industriale di riserva, ha finito con l’alimentare il conflitto dentro la forza lavoro e le classi sociali subalterne. I sindacati non sono stati in grado di unificare la forza lavoro, una critica al sindacato riformista dovrebbe avvenire senza cadere nelle tentazioni massimaliste ed ideologiche.

La socialdemocrazia è stata vista come espressione di quella Europa che si andava costruendo nei parametri di Maastricht, se oggi guardiamo ai quartieri popolari italiani scopriamo che le destre guadagnano voti raggiungendo percentuali elettorali analoghe a quelle del vecchio Pci.

Di fronte a questa realtà sono sufficienti gli appelli contro la xenofobia e il razzismo o dovremmo partire invece dai meccanismi sociali, dai rapporti di produzione, dalle condizioni materiali dell'economia, dai rapporti di classe? 

E a qualcuno è venuto in mente che anche la dissoluzione della scuola pubblica è parte integrante del problema?

Indubbiamente, i giovani di fine Novecento hanno vissuto un’epoca di rottura con il passato e, come ha scritto lo storico marxista Hobsbawm, sono cresciuti con lo smarrimento/perdita di ogni memoria e coscienza. Allo stesso tempo dovremmo chiamare in causa la classe politica che ha favorito e alimentato questi processi, rileggere i peana all’Europa dei Popoli provenienti dal centro-sinistra, giusto per comprendere come in assenza di una lettura critica dell'esistente si rifugga verso valori condivisi, ma sempre decontestualizzati, del passato.

Non si trattava solo di ricordare astrattamente la rivoluzione russa o quella cinese, ma ristabilire una memoria del passato per capire la natura di classe e anticapitalistica dei processi rivoluzionari. Al contrario, invece, la sinistra, a partire da quanti hanno sottoscritto l’appello dell’Anpi, ha operato una cesura rispetto al passato archiviando le ragioni economico-politiche alla base degli eventi novecenteschi.

In nome del Dio mercato la sinistra ha favorito delocalizzazioni produttive, la perdita di sovranità nazionale e monetaria, avallato la costruzione della Ue presentandola come la ricerca dell’unione dei popoli a occultare che la sola unione era quella dei capitali. E le decisioni via via assunte hanno indebolito la forza lavoro e le classi subalterne regalandole, come già accaduto nei corsi storici, alla egemonia culturale delle destre xenofobe con il loro mix di sovranismo e ricette neoliberiste in economia.

Se critichi il jobs act e la riforma Fornero non puoi al contempo scegliere di sottoscrivere appelli frontisti contro le destre xenofobe perché l’innalzamento dell’età pensionabile, la distruzione del welfare e le controriforme del lavoro sono espressioni di quel fascismo finanziario che i comunisti dovrebbero contrastare a tutela delle classi subalterne.

Una sinistra attenta ai valori (astratti) del passato ma oggi incoerente rispetto agli stessi valori di solidarietà, assuefatta a pratiche di governo indirizzate alla tenuta del sistema capitalistico non senza accondiscendenti letture “storiche” improntate a una memoria condivisa di pacificazione sociale. Del resto proprio quando stavano smantellando le legislazioni del lavoro più avanzate, mentre andavano dismettendo il welfare e ogni forma di controllo e indirizzo ai fini sociali dell'economia, dove erano gli assertori della lotta alla xenofobia e al razzismo?

Non si tratta solo di riflettere sul ruolo della storia e sulla eventuale memoria (non certo quella condivisa portatrice di revisionismi e assoluzioni ingiustificabili) ma piuttosto denunciarne l’utilizzo ideologico e distorto a fini di conservazione dell’esistente.

Guardiamo a quanto avvenuto in questi giorni con la ricostruzione della scissione di Livorno del 1921: ogni responsabilità viene attribuita ai comunisti, i socialisti diventano vittime del settarismo, equiparata la violenza politica dei fascisti con quella dei comunisti o dei massimalisti, si perde ogni analisi critica del ruolo della Seconda Internazionale, dell’operato dei sindacati e degli stessi socialisti davanti all’avanzata del fascismo. A vedere la tv o a leggere i giornali oggi sembra quasi che siano i comunisti e gli Arditi del popolo i responsabili dell’avvento del fascismo quando invece furono i soli a contrastarlo mentre altri si ritiravano sull’Aventino o pensavano di fermare il corso della storia appellandosi alla monarchia e al rispetto della allora Costituzione, invocando l’intervento di chi stava operando materialmente per la vittoria del fascismo.

Le letture revisioniste del passato sono figlie della abiura di ipotesi rivoluzionarie e antisistemiche, diciamolo senza giochi di parole, si riscrive la storia del passato a uso e consumo del tempo presente e in questa opera la sinistra degli appelli ha innumerevoli responsabilità.

Altro che appellarsi ai valori dell’antifascismo, dovremmo invece contrastare una lettura della storia piegata alle ragioni ideologiche di quanti nel loro Dna hanno l’abiura dei processi rivoluzionari e l’accettazione del modo di produzione capitalista.

L’attacco delle potenze occidentali alla ex Jugoslavia, la nascita di nuove identità nazionali ha affondato le proprie radici nella riscrittura della storia novecentesca e in alcune nazioni criminali di guerra filonazisti sono stati trasformati in eroi nazionali.

Cosa ha fatto allora la sinistra degli appelli?

È stata silente preoccupandosi per lo più di sostenere le alleanze di centro-sinistra per fermare Berlusconi, ha sostenuto la guerra nei Balcani e poi i conflitti globali, esponenti del centro-sinistra hanno favorito l’incremento della produzione ed esportazione di armi made in Italy a paesi che violano sistematicamente i diritti umani, tace sulla mancata adesione dell’Italia ai trattati contro le armi nucleari, sostiene le ragioni della Nato in modo acritico, ha rinunciato a ogni battaglia contro le disuguaglianze alimentate dal neoliberismo pensando che la sola azione possibile sia quella di accordare gli ammortizzatori sociali alle aziende in crisi senza per altro esigere dalle stesse un deciso cambio di rotta rispetto al passato.

Per queste ragioni abbiamo criticato la sottoscrizione dell’appello usando anche termini pesanti rispetto alle forze comuniste, come il Prc, urtando la suscettibilità di tanti compagni.

Non si tratta di essere offensivi, ma realisti, di guardare alla sostanza del problema e non alzare la bandiera della lotta al razzismo e alla xenofobia a uso e consumo di una classe politica smemorata e incoerente. Almeno noi non abbiamo alcun dubbio a contrastare razzismo e xenofobia o lo stesso sovranismo. Le ragioni addotte dal centro-sinistra sono ben diverse dalle nostre. Potremmo dire, senza timore di smentita, non tanto strumentali quanto destinate all’oblio delle contraddizioni oggi esistenti.

Anche per questo dissentiamo dallo storico Prosperi laddove parla di un’Europa che ha smarrito la propria identità culturale perché tale identità è stata soppiantata dai dettami di Maastricht e dalle politiche della Bce. Appellarsi a una Europa del passato stride con il silenzio verso l’Europa dei nostri giorni, verso il sistema di potere politico, economico e finanziario oggi dominante.

Non servono pertanto i richiami a un passato dei Lumi quando il presente è avvolto nelle ombre del libero mercato e dell’attacco sistematico alle classi subalterne. Non vogliamo liberarci dal peso del passato né tanto meno riscriverlo per giustificare l’esistente.

29/01/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Federico Giusti

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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