Fare orologi: l’artigiano robot

Da pinzette e lenti d’ingrandimento all’aiuto dei robot, crisi d’identità per molti orologiai.


Fare orologi: l’artigiano robot

ZURIGO. La domanda è cresciuta nonostante la generalizzata crisi mondiale e così, la produzione svizzera degli orologi di fascia lusso si è dovuta industrializzare drasticamente nel giro degli ultimi 10 anni, anche se già nel decennio precedente il fenomeno era evidenziato da analisti economici. Una situazione che ha chiamato a intervenire anche psicologi e antropologi perché da queste parti si è progressivamente assistito alla svalutazione dell’arte orologiaia tradizionale che, al pari dell’arte della cioccolateria, è sempre stata riconosciuta come una risorsa di valore del Paese più filo-capitalista e filo-finanziario del continente europeo.

Il mondo dell’orologeria, in particolare quello dei marchi di lusso, è sempre stato caratterizzato da elevata discrezione. In Svizzera, l’arte dell’orologeria si apprende attraverso l'apprendistato in un'azienda oppure frequentando una scuola a tempo pieno dove la formazione quadriennale assegna il certificato federale di idoneità per il montaggio, la fabbricazione e il mantenimento di qualsiasi parte del movimento dell'orologio. Le scuole programmano corsi biennali e triennali per operatore di certificazione federale in orologeria. Una lunga formazione che soddisfa le richieste del settore dove si vuole una forza-lavoro produttiva in tempi molto rapidi.

Nei Cantoni della Confederazione Elvetica sono molti gli artigiani orologiai che lavorano per grandi marchi e che negli ultimi cinque anni hanno visto il loro lavoro sempre più frammentato e automatizzato. Insomma dalle pinzette e dalle lenti di ingrandimento alla robotizzazione e computerizzazione della loro opera ormai non più artigianale di precisione manuale. Dalla fine del secolo scorso, quindi ormai da un paio di decenni, gli orologiai svizzeri si trovano ad avere a che fare con l’automazione del loro lavoro e della loro produzione. Il fenomeno sembra, però, nascosto dalle grandi famose marche di orologi che non mostrano le loro macchine e i loro robot. Forse per il timore di perdere l’immagine di artigianato tradizionale, un patrimonio ritenuto esclusivo da queste parti. Qualcuno sostiene che la crescita della domanda, in particolare dall’Asia, abbia ispirato i marchi attivi nella fascia alta a produrre sempre più orologi nella nicchia del lusso accessibile, una sorta di democratizzazione della produzione accompagnata, inevitabilmente, dalla cresciuta industrializzazione dei processi produttivi. Alcuni marchi di alta gamma sono passati dalla produzione di circa 3mila orologi all'anno ai più di 40mila di oggi. Le grandi aziende, poi, temono che il fenomeno danneggi il loro marketing basato sull'artigianato. Eppoi va considerato come, in Cina a esempio, i nuovi ricchi non si sentono più ben rispettati come compratori di un prodotto esclusivo perché la manutenzione e i servizi di riparazione sono deboli. Questo perché i produttori hanno sì investito molto in nuove attrezzature di fabbricazione, ma hanno trascurato di adattare i loro servizi di manutenzione e riparazione post-vendita.

In altre parole la democratizzazione degli orologi di lusso – un passo liberista e capitalista – ha portato all'industrializzazione dei processi produttivi artigianali e manuali. La massiccia industrializzazione dell'orologeria ha aumentato l’attrattiva verso la professione di orologiaio. Grandi marchi ed enti di formazione hanno venduto ai giovani l'immagine di un mestiere che vale oro, ma, parlando con giovani orologiai attivi nel comparto, constatiamo che essi vedono una realtà diversa, in fondo, si sentono traditi. Alcuni di loro ritengono di possedere capacità professionali sempre meno utili nella produzione di orologi. Difficile anche l’accesso a forniture e pezzi di ricambio perché i grandi gruppi adottano politiche di verticalizzazione che escludono gli artigiani indipendenti. Settore in crisi di identità, nel Paese che ha fatto la storia degli orologi. Settore in evoluzione, secondo seri analisti: fino a 25 anni fa era soltanto una piccola casta di artigiani in grado di realizzare orologi a vortice, quelli ottimizzati per la precisione. Negli ultimi quindici anni, i mercati sono stati inondati da questo tipo di prodotto. Nuove tecniche di produzione e nuova industrializzazione della produzione con un mirato marketing a tutela del prodotto. Intanto il numero di addetti non qualificati sta diminuendo e a farne le spese sono il più delle volte i lavoratori transfrontalieri, quelli che entrano in Svizzera per lavoro ogni giorno dall’Italia e dalla Francia. C'è una ridistribuzione delle competenze nel settore e, mentre le aziende fanno affidamento su ingegneri altamente qualificati per impostare processi complessi con l’ausilio di macchinari e robot, ci sono ancora molti operatori che hanno poca capacità di seguire ed eseguire questi nuovi procedimenti. C’è una progressiva pressione al ribasso sui salari degli orologiai. Al momento, nonostante l'automazione, il numero di posti di lavoro qualificato non è diminuito nel settore degli orologi. È ovvio che il problema non è limitato alla quantità di posti di lavoro, piuttosto alla qualità degli stessi. E se il padronato tende a fare affidamento su conoscenze vecchie che sostengano comunque i guadagni, magari limitando i salari, qualcuno anche nella patria di banche e finanziarie sostiene che difendere l'eccellenza dell'orologeria svizzera e le sue competenze specifiche significa uno sforzo di formazione.

13/01/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Guido Capizzi

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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