La vera storia di Pol Pot e del Comunismo cambogiano

Quello di Pol Pot è considerato universalmente uno dei regimi più sanguinari della storia, ed il nome del dittatore cambogiano viene generalmente evocato per screditare il Comunismo. Ma qual è la sua vera storia?


La vera storia di Pol Pot e del Comunismo cambogiano Credits: Foto di Giulio Chinappi

Il 1975 fu un anno particolarmente importante per i movimenti comunisti dell'Asia sud-orientale: in Vietnam, infatti, la presa di Saigon (poi ribattezzata Hồ Chí Minh City) significò la riunificazione del Paese sotto un unico governo socialista, con annessa cacciata dell'invasore statunitense, mentre in Cambogia vi fu la presa del potere da parte del movimento degli Khmer Rossi, condotti da Saloth Sâr, meglio noto con lo pseudonimo di Pol Pot.

Attivo sin dagli anni '60 sotto forma di guerriglia e come costola dell'esercito popolare vietnamita, il movimento degli Khmer Rossi aveva ottenuto l'importante sostegno militare e strategico del Vietnam del Nord e del Pathet Lao, il movimento comunista del Laos, che conquistò il potere sempre nel fatidico anno del 1975. I tre Paesi dell'ex Indocina francese subirono per anni i bombardamenti a tappeto degli Stati Uniti, tanto che oggi il Laos è considerato il Paese con la maggior densità di ordigni inesplosi (più dell'Afghanistan!), ma ciò non impedì il successo delle rivoluzioni comuniste dei rispettivi Paesi, guidati dai tre partiti nati dalla scissione, nel 1951, del Partito Comunista Indocinese (in vietnamita Đảng Cộng sản Đông Dương), che a sua volta era stato fondato nel 1930 in Vietnam.

Tornando alla Cambogia, la vittoria del movimento rivoluzionario comunista portò alla nascita di un nuovo Stato, denominato allora Kampuchea Democratica, guidato dal Partito Comunista di Kampuchea. Nel 1976, poi, Pol Pot assunse la carica di primo ministro del Paese. Tuttavia, immediatamente dopo la presa del potere da parte degli Khmer Rossi, i rapporti tra Vietnam e Cambogia incominciarono ad incrinarsi. Secondo Pol Pot ed i suoi, il governo vietnamita stava tramando il piano di formare una federazione comunista indocinese tra Vietnam, Cambogia e Laos, il che sarebbe risultato in una dipendenza degli ultimi due Paesi da Hanoi, che disponeva di maggiori risorse demografiche, economiche e militari.

Da quel momento, Pol Pot diede inizio alle sue famigerate purghe, che risultarono in quello che generalmente viene denominato “genocidio cambogiano”: il numero dei morti non è mai stato calcolato con precisione, e le stime vanno dal milione e mezzo ai tre milioni di morti tra il 1975 ed il 1978, pari a circa un quarto della popolazione cambogiana [1]. Questo episodio è spesso citato come esempio della presunta brutalità del Comunismo, tuttavia ci si dimentica di ricordare che furono proprio i comunisti ad essere le vittime del genocidio cambogiano. Pol Pot, infatti, si preoccupò di eliminare tutti coloro che erano stati formati, sia negli studi che nell'arte militare, da parte del Partito Comunista Vietnamita, che aveva fornito loro una solida formazione marxista-leninista. Ciò significò l'eliminazione di gran parte degli intellettuali e dei quadri militari e politici del Paese, portando di conseguenza a gravi falle teoriche e strategiche nella politica del Paese. Inoltre, il regime cambogiano tolse ben presto la propria maschera e si dimostrò nazionalista e xenofobo, portando alla persecuzione dei vietnamiti che vivevano nel Paese e delle altre minoranze etniche non Khmer (l'etnia maggioritaria in Cambogia).

Alle persecuzioni si aggiunse anche l'aggressione militare del governo di Phnom Penh nei confronti del Vietnam. Nel maggio del 1975, poco dopo la conquista di Saigon da parte dei comunisti vietnamiti, la Cambogia invase l'isola di Phú Quốc, situata nei pressi del confine tra i due Paesi, ma parte integrante del territorio vietnamita. Per un paio di anni, tuttavia, il governo di Hanoi fece buon viso a cattivo gioco, con l'obiettivo di mantenere buone relazioni con il Paese confinante, considerando prioritario il rafforzamento dei neonati Paesi comunisti della regione. A rompere i buoni rapporti, però, fu un'azione militare condotta dalla Cambogia il 30 aprile 1977, in occasione proprio del secondo anniversario della liberazione di Saigon: questa volta vi fu la prima risposta militare vietnamita, che portò ad un ripristino dello status quo sul confine.

Nel frattempo, il presunto governo comunista cambogiano aveva stretto rapporti sempre più forti con gli Stati Uniti, che ancora non avevano digerito la cocente sconfitta subita in Vietnam. Se, tra il 1970 ed il 1975, Washington aveva sostenuto le forze anticomuniste con circa un miliardo e mezzo di dollari tra assistenza militare ed economica al regime di Lon Nol (che infatti fuggì negli USA dopo la sua sconfitta), successivamente l'orientamento politico statunitense cambiò: il governo a stelle e strisce riconobbe il regime di Pol Pot come governo legittimo della Cambogia, ed iniziò a sostenere lo stesso governo della Kampuchea Democratica in funzione anti-vietnamita, come provato dallo storico Ben Kiernan [2]. Allo stesso tempo, il conflitto tra Cambogia e Vietnam andò ad inserirsi nel conflitto interno al mondo comunista, con la Cina che sosteneva la Cambogia e l'Unione Sovietica schierata dalla parte del Vietnam. Proprio Pechino tentò di fare da mediatore tra i due Paesi dell'Asia sud-orientale, ma senza successo.

La pace apparente stabilita tra l'aprile del 1977 ed la fine del 1978 nascondeva le continue schermaglie di confine tra i due Paesi. Inoltre, il genocidio attuato da Pol Pot, sia nei confronti delle minoranze etniche che degli oppositori politici, generò un flusso di milioni di persone verso il confine con il Vietnam. La situazione, oramai insostenibile per un Vietnam appena uscito da trent'anni di guerra ed ancora impegnato nella costruzione del socialismo al proprio interno, portò questa volta ad una decisa azione militare da parte del governo di Hanoi. Il 25 dicembre 1978, 150.000 soldati vietnamiti varcarono il confine con la Kampuchea Democratica, e, forti della lunga esperienza bellica che li aveva portati a sconfiggere i ben più potenti eserciti di Francia e Stati Uniti, sbaragliarono l'intera armata del Paese limitrofo in appena due settimane.

Fu dunque un Paese comunista, il Vietnam allora guidato dal segretario del Partito Comunista Lê Duẩn, a porre fine al terribile regime di Pol Pot, che fino all'ultimo – ed anche dopo la sua destituzione – continuò ad essere sostenuto dal blocco occidentale, Stati Uniti in testa. L'esercito vietnamita, inoltre, aprì le porte agli aiuti alimentari internazionali, andando a porre fine alla grave carestia causata dalle politiche agricole del dilettantistico governo cambogiano, che aveva proclamato la collettivizzazione forzata delle terre ed una presunta auto-sufficienza alimentare, pur non disponendo delle risorse effettive per sfamare l'intera popolazione.

All'intervento militare vietnamita fece seguito, l'8 gennaio 1979, la proclamazione della Repubblica Popolare di Kampuchea, guidata da un governo comunista e filo-vietnamita, mentre il precedente governo trovò rifugio nella vicina Thailandia. Per un decennio, tuttavia, le Nazioni Unite ed i governi occidentali continuarono vergognosamente a riconoscere come legittimo il governo in esilio degli Khmer Rossi, che conservò il proprio seggio nell'Assemblea Generale dell'ONU al posto del governo insediatosi grazie all'intervento vietnamita. Solamente ventinove Paesi – l'Unione Sovietica ed i suoi alleati – riconobbero la legittimità del nuovo Stato. Il Vietnam continuò a presidiare militarmente la Cambogia fino al 1989, quando le ultime truppe lasciarono il territorio di quel Paese in ossequio agli accordi internazionali sul processo di pace.

Tuttavia, al ritiro delle truppe vietnamite, fece seguito il raggiungimento di un accordo interno, propiziato dall'ONU e dagli Stati Uniti, che portò la Cambogia a rinnegare definitivamente il Comunismo. Nel 1991, il primo ministro Hun Sen trasformò il Partito Rivoluzionario del Popolo Kampucheano nel Partito Popolare Cambogiano (Kanakpak Pracheachon Kâmpuchéa), proclamando ufficialmente l'abbandono marxismo-leninismo. Sfruttando la struttura ed il radicamento territoriale del vecchio partito egemone, Hun Sen è riuscito a mantenere il controllo del governo fino ad oggi, con una breve interruzione tra il 1993 ed il 1998, quando al governo salì Norodom Ranariddh del Funcinpec.

Il Funcipec, il cui nome è l'acronimo del francese Front Uni National pour un Cambodge Indépendant, Neutre, Pacifique Et Coopératif (Fronte unito nazionale per una Cambogia indipendente, neutrale, pacifica e cooperativa), favorì la restaurazione della monarchia, e, nel 1993, il Paese divenne l'odierno Regno di Cambogia. Oggi, il Partito Popolare Cambogiano ed il Funcipec fanno parte della stessa coalizione che sostiene il governo di Hun Sen, mentre il Paese si è completamente convertito al neoliberismo.

In conclusione, possiamo affermare che, sebbene inizialmente il movimento degli Khmer Rossi fosse ispirato al marxismo-leninismo, il governo di Pol Pot non assunse mai posizioni realmente comuniste, ma si trasformò immediatamente in un regime repressivo, nazionalista e xenofobo, tale da praticare una forma neppure celata di razzismo di Stato, proclamando la superiorità dell'etnia Khmer e praticando la persecuzione delle minoranze. Al contrario, l'unico periodo in cui la Cambogia seguì delle politiche volte all'instaurazione del socialismo fu il decennio 1979-1989, sotto la guida del governo filo-vietnamita, mentre, dopo il ritiro delle truppe di Hanoi, il Paese abbandonò definitivamente il Comunismo, cadendo nella rete imperialista statunitense e lanciando delle riforme ad alto tasso di neoliberismo, causanti l'incremento della povertà e delle diseguaglianze.


NOTE

[1] RATNER, Steven R.; ABRAMS, Jason S. (April 31, 2001). Accountability for Human Rights Atrocities in International Law: Beyond the Nuremberg Legacy (2nd ed.). OUP Oxford. p. 272.

[2] KIERNAN, Ben (April 2005). "The Cambodian Genocide and Imperial Culture". 90 Years of Denial. Aztag Daily (Beirut) & Armenian Weekly (Boston). pp. 20–21.

BIBLIOGRAFIA

CHANDLER, David P. (1992). Brother Number One: A Political Biography of Pol Pot. Boulder, San Francisco, and Oxford: Westview Press.

KIERNAN, Ben (April 2005). "The Cambodian Genocide and Imperial Culture". 90 Years of Denial. Aztag Daily (Beirut) & Armenian Weekly (Boston).

RATNER, Steven R.; ABRAMS, Jason S. (April 31, 2001). Accountability for Human Rights Atrocities in International Law: Beyond the Nuremberg Legacy (2nd ed.).

SHORT, Philip (2004). Pol Pot: The History of a Nightmare. London: John Murray.

02/02/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: Foto di Giulio Chinappi

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L'Autore

Giulio Chinappi

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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