La spirale della storia per Luciano Canfora

Il moto della storia non è ciclico, né rettilineo, né ottimisticamente progressivo, si dispiega sinuosamente come una spirale.


La spirale della storia per Luciano Canfora

Luciano Canfora è un instancabile produttore di libri, con i quali analizza il passato e il presente, cercando anche di individuare i passi, i ritmi, i movimenti attraverso cui dal primo si passa tormentosamente e tortuosamente al secondo, nel quale persistono elementi antichi, ma senz’altro profondamente trasmutati e rielaborati secondo un modo di procedere che sembra accomunare fasi storiche assai diverse nel loro dipanarsi.

Nella sua più recente pubblicazione La scopa di Don Abbondio. Il moto violento della storia [1](Laterza 2018), richiamandosi a Guerra e pace di Lev Tolstoj, Canfora sottolinea che per il grande scrittore russo ogni divisione del corso storico in eventi discreti costituisce un’operazione arbitraria, giacché a suo parere quest’ultimo si caratterizza per “l’assoluta continuità del moto”, inconcepibile per la mente umana. Questa concezione della storia è radicata nella convinzione che essa sia un prodotto collettivo creato dall’azione delle grandi masse che si va a concretare in episodi o personaggi precisi, come la Grande Rivoluzione o Napoleone.

Questo flusso continuo non si dispiega in maniera rettilinea [2] né segue il monotono ritmo dell’eterno ritorno; assomiglia piuttosto ad una spirale, figura metaforica di sapore certamente hegeliano, che descrive un processo irreversibile che non ritorna mai su se stesso, ma che nell’avanzare si trasmuta senza liberarsi completamente delle scorie precedenti.

Secondo lo storico italiano un buon esempio di questa tendenza è rappresentato dalle forme di fascismo contemporaneo che, avvantaggiatosi dal totale sbriciolamento della cosiddetta sinistra non più sensibile ai bisogni delle masse popolari, si fonda sul predominio del capitale finanziario esercitato dai funzionari non eletti che governano la Unione Europea. Come molti eventi mostrano (per esempio la Brexit), la fatidica unione suscita odio e riprovazione ed è considerata causa del peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari; sentimenti che essa si merita se – come ci ricorda Canfora – Claude Juncker, ex primo ministro di un paradiso fiscale (Lussemburgo), passato per tutte le più importanti istituzioni finanziarie, è arrivato al punto di dichiarare che, durante la crisi del 2015, le potenze europee, in primis la Germania, hanno oltraggiato la dignità del popolo greco, non rispettando “democraticamente” la sua volontà e ingoiandosi gran parte delle sue risorse.

Per l’insipienza, per l’opportunismo della cosiddetta sinistra la questione delle disuguaglianze sociali, divenuta ormai un motivo centrale delle “gravi e serie” riflessioni di famosi analisti politici (sempre i soliti), si è trasformata in un cavallo di battaglia della destra, sia quella nostrana, che difende i piccoli imprenditori del Nordest, che quella francese, tedesca etc., le quali non esitano a richiamarsi allo spregevole nazi-fascismo.

E paradossalmente su questo punto vi sono convergenze con forze di sinistra più autentiche come il Partito comunista francese e Jean-Luc Mélenchon [3], che però hanno tutto un altro atteggiamento verso il problema dei migranti da quello assunto dalla destra risorta in tutta Europa.

Un altro elemento visibile e tangibile irrita le masse adeguatamente indirizzate in questo senso: il fenomeno migratorio provocato nelle varie regioni del mondo dalle dinamiche dell’accumulazione capitalistica, che possono fondarsi sulle guerre, sul saccheggio delle risorse ambientali oppure provocando l’inabitabilità di un territorio. Le vere cause di esso sono taciute, anche se per comprenderle, basterebbe accostare notizie forniteci una a breve distanza dall’altra dalla televisione (fonte primaria di informazione per la maggioranza della popolazione); mentre grande rilievo è dato al pericolo che i migranti-invasori rappresenterebbero per gli europei, per il loro livello di vita e per il loro stesso retaggio culturale (soprattutto la religione).

Se a questo proposito la cosiddetta sinistra (Minniti) ora si mostra buonista, in passato non ha fatto politiche molto diverse da quelle di bloccare l’accesso ai migranti decise dal tragicamente ridicolo Salvini, il quale non sa che ci sono milioni di persone che premono alle nostre porte e che i suoi divieti costituiscono solo un fragile muro di carta. Solo la fine delle politiche di pervicace spoliazione di questi popoli può ridimensionare la migrazione, ma questo significherebbe la fine dell’imperialismo, evento arduo solo a pensarlo. Per evitare tale rischio un tal Goffredo Buccini – ricorda Canfora analizzando gli articoli apparsi sulla stampa, che Émile Zola al tempo dell’affare Dreyfus, aveva definito “immonda” – ha riproposto il capitalismo solidale; quello poi che i missionari cattolici, complici dei colonizzatori, hanno sempre dichiarato di perseguire, collaborando non poco allo sterminio dei popoli extraeuropei.

Paradossalmente l’Europa, eterno aggressore e distruttore, sarebbe oggi costretta a rinserrarsi in una fortezza, in cui chi viene da fuori non è un cittadino e in cui domina – come auspicava il Füher – la Germania, sia pure con il fraterno appoggio della Francia, come mostra il recente trattato di Aquisgrana.

Attraverso queste contorsioni – nella lettura di Canfora – si è affermato il fascismo contemporaneo ed ha fatto breccia tra gli sfruttati additando loro le false cause della loro miserabile condizione, da cui esso stesso trae un vantaggio immediato, innescando la possibilità di esiti catastrofici. Tale comportamento è inquadrabile nelle celebri leggi della stupidità individuate da Carlo M. Cipolla, per il quale i nostri feroci padroni sarebbero dei banditi, perché ci danneggiano per ricavare un vantaggio personale, ma al contempo sarebbero degli stupidi (le persone più pericolose al mondo) perché arrecandoci un danno alla lunga fanno del male anche a loro stessi, acuendo i conflitti sino alla massima tensione, forse sperando in qualche modo di salvarsi.

Credo valga anche per i governi populisti europei quanto è stato osservato a proposito delle recenti manifestazioni di protesta nel Nicaragua di Ortega: il rifiuto delle misure neoliberali e antipopolari finisce con l’essere orientato e alimentato dalla destra locale e dal Vaticano. Ragione per la quale se la protesta spontanea ha un contenuto progressivo, la sua direzione le imprime un carattere regressivo.

Questo duplice aspetto della vicenda politica ne fa qualcosa di assai complesso da decifrare ed apre alle possibilità che la realizzazione dei progetti politici abbia esiti del tutto diversi da quelli prefigurati, come del resto già osservava nel 1767 Adam Ferguson individuando la legge delle conseguenze involontarie. Legge di cui si dovrebbe sempre tenere conto se si ha in mente un progetto trasformativo.

La validità di questa legge può esser ben documentata dagli eventi ben analizzati da Canfora nel suo breve libro (lui direbbe “libricino”), ma assai denso, che certo non possiamo menzionare tutti nel dettaglio. Si tratta, per esempio, del conflitto esploso nella Grande Guerra, il cui scopo era quello di consentire alle potenze europee di spartirsi il mondo, consolidando il loro potere su tutte le sue regioni, anche le più marginali. Nel far questo, però, attizzarono una rivoluzione pericolosissima per la loro stessa sopravvivenza, quella bolscevica. Allo stesso tempo, i bolscevichi, che con il loro sommovimento si auguravano di sollecitare un’analoga rivoluzione in Europa, furono disillusi, ma riuscirono a dare impulso al processo di decolonizzazione, che però purtroppo è stato ribaltato dal neocolonialismo.

Un altro fenomeno storico ben analizzato da Canfora è rappresentato dalle rivoluzioni, che scaturirebbero dalla costante ricerca dell’applicazione effettiva del principio di uguaglianza, di cui era già cosciente un personaggio centrale della nostra storia come Erodoto. Si tratta di un tema su cui lo storico italiano ha già riflettuto, utilizzando in particolare il sottile metodo dell’analogia storica, come quella relativa al parallelo tra Rivoluzione francese e Rivoluzione russa, che dopo la fase radicale sprofondano entrambe nel Termidoro, per sfociare poi in forme diverse di autoritarismo: il primo impero di Napoleone e la dittatura degli operai e dei contadini, caratterizzata dalla fusione tra il capo dello Stato e il segretario del partito e alimentata dall’originaria matrice bizantina.

Secondo Canfora la complicata storia degli ultimi decenni e il conseguente cambiamento di scenario internazionale ci obbligano a ripensare a fondo le dinamiche soggiacenti al movimento storico. Su questo tema scrive: “Tra il cupo fatalismo assertore dell’eterno ritorno degli stessi fenomeni, sia pure con mutati protagonisti, e il pervicace ottimismo degli assertori delle inarrestabili ‘sorti progressive’, la lezione epocale della fine del Novecento può – come avvenne anche in altre epoche – aprire una prospettiva critica e realistica”. Prospettiva che deve fondarsi sulla consapevolezza che le sconfitte nella battaglia per l’uguaglianza non costituiscono e non possono costituire un autentico “ritorno al punto di partenza e nessuna restaurazione è davvero tale”. E ciò perché ogni rivoluzione introduce cambiamenti radicali nell’esistenza dei singoli, che vengono assorbiti, digeriti e sedimentati fino a costituire quella “struttura profonda” di un certo contesto storico, che persiste però sempre venendo a patti con il mutamento. Se così si dipana il percorso a spirale della storia nella riflessione di Canfora, nonostante le brucianti débacles forse abbiamo fatto un altro passo per riprendere l’instancabile battaglia per l’affermazione dell’uguaglianza.


Note

[1] Per Don Abbondio la peste, descritta da A. Manzoni, è stata come una scopa che ha avuto anche il merito di spazzare via gente malvagia.

[2] Come alcuni sostennero durante la fase espansiva del capitalismo.

[3] Ricordiamoci che proviene dall’ala sinistra del Partito socialista, strettamente legato a François Mitterand e ministro del governo Jospin.

09/02/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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