La pittura dell’Ottocento in Lombardia

Mostra a Palazzo Paure di Lecco, curata da Anna Bartolena e prodotta da ViDi con il patrocinio del Comune di Lecco.


La pittura dell’Ottocento in Lombardia Credits: eccolecco.it

Lecco. Inaugurata lo scorso 19 Ottobre e visitabile fino al 20 Gennaio 2019 la mostra “Ottocento Lombardo” è ambientata nel nuovo polo espositivo e museale di Lecco a Palazzo delle Paure, un bianco e imponente edificio in stile neogotico affacciato sul lungolago. Impreziosito da un bugnato alla base, con torre, trifora e un autentico stemma Visconteo, deriva il suo nome, ironicamente “sinistro”, dall’essere stato la sede dell’Intendenza di Finanza, del Catasto e della Dogana.

Dal 2012 perfettamente ristrutturato e adibito a sede museale insieme al contiguo edificio porticato realizzato nel 1902 dall'architetto Adriano Gazzari, Palazzo Paure ospita al piano terra e al primo piano le esposizioni temporanee, mentre al secondo si trova la Galleria Comunale d’Arte - sezione di Arte Contemporanea del Sistema urbano museale lecchese, precedentemente collocata a Villa Manzoni.

La mostra dell’autunno 2018 a Lecco è dedicata all’Ottocento Lombardo ed è il primo grande retablo di un trittico di mostre di Pittura curate della Storica e Critica dell’Arte Simona Bartolena e affidate dall’Amministrazione del sindaco Brivio nella loro realizzazione ai professionisti di ViDi Visit Different. Le due prossime edizioni focalizzeranno nel 2019 i Macchiaioli e nel 2020 il Divisionismo.

Valorizzando il patrimonio del sistema museale lecchese, Ottocento Lombardo vuole trasportare il grande pubblico nel cuore dell’Ottocento attraverso le suggestioni suscitate da oltre cinquanta magnifiche tele, in un’esplorazione attenta delle correnti fondamentali e degli autori più significativi della scena artistica della Lombardia del XIX secolo. Un percorso reso possibile dalla disponibilità di collezionisti privati lecchesi e milanesi coniugato ai prestiti di importanti istituzioni culturali quali l’Accademia di Belle Arti di Brera, il Sistema Museale Urbano Lecchese, la Fondazione Bergamo nella Storia e la Fondazione Brescia Musei, i Musei civici di Pavia e le Raccolte Storiche di Palazzo Morando a Milano.

La mostra esordisce con la grande stagione Romantica, che seppe anticipare la celebrazione dello spirito nazionale che troverà nel Risorgimento italiano la sua realizzazione storica, per transitare alle esperienze intimiste dei Vedutisti lombardi e al genere del ritratto di committenza borghese, cui fanno da contraltare le ribellioni della Scapigliatura, attraverso le quali il secolo delle trasformazioni epocali del mondo si chiude con nuove consapevolezze politiche che ispireranno l’impegno sociale delle generazioni di fine Ottocento, mentre il linguaggio dell’Arte si rinnoverà completamente attraverso la ricerca dei pittori del Divisionismo.

Il percorso espositivo si apre in modo altamente significativo ed evocativo delle radici culturali della pittura e della letteratura lombarda dell’Ottocento con due ritratti: quello di Alessandro Manzoni – presenza sempre viva a Lecco e grande mentore della “Lombarditudine” dell’epoca romantica e risorgimentale – del milanese Giuseppe Molteni e proveniente da Villa Manzoni – e uno splendido, delicatissimo e intimo ritratto a olio di “Monaca” di Francesco Hayez, prestato da collezione privata.

Tenendo come cardine la scena milanese e il magistero dell’Accademia di Brera, le prime sale sono dedicate alla grande pittura romantica lombarda, il cui iniziatore e protagonista assoluto è stato Francesco Hayez, che a Brera era giunto da Venezia grazie alla protezione dello scultore Antonio Canova e del conte Leopoldo Cicognara. L’Hayez nella sua lunga vicenda di professore all’accademia milanese braidense sarà fondamentale maestro per diverse generazioni di artisti. La sua scelta di una pittura innovativa di genere storico romantico si segnalò per la prima volta nel 1818-20 con il Pietro Rossi prigioniero degli Scaligeri, dipinto presentato alla giuria di Brera che riscosse vivo interesse e che dimostrava la preferenza che sarà appannaggio dei pittori Romantici in genere, per temi e soggetti tratti dal Medioevo piuttosto che dall’Antichità, quell’antichità che tanto aveva affascinato i Neoclassici, compresi i braidensi Albertolli, Bossi, Appiani e Sabatelli. Nella pittura dell’Hayez le fonti letterarie vanno invece ricercate in Shakespeare, Byron, Manzoni e Walter Scott, letterature europee più moderne, i cui valori e miti entrano in profonda consonanza con i Romantici, come bene è testimoniato dallo splendido olio su tela di Francesco Hayez Lo zio di Caterina Cornaro, inviato dalla Repubblica veneta, le mostra la bandiera di San Marco, già signore del Regno di Cipro, del 1857, prestato da collezione privata.

Altra importante tela esposta dell’Hayez è il dipinto presentato a Brera nel 1867 con il titolo Vittore Pisani liberato dal carcere e portato dal popolo in trionfo sino alla scala del Consiglio, dove viene ricevuto dal Doge Contarini. E’ la seconda versione di una tela eseguita nel 1840 per il ministro degli interni austriaco conte di Kolowrat, e affronta il tema del trionfo della giustizia popolare sul potere. Il precedente letterario del quadro, che testimonia il procedimento di contaminazione fra le fonti letterarie storiche e la pittura romantica braidense, più che derivare dalle celebri "Vite dei Dogi" di Marin Sanudo, si rifà alle "Memorie di Vettor Pisani dedicate al Nobil Uomo Giacomo Nani". Se è assente dalla mostra lecchese il famoso Il Bacio – dipinto a olio in vari esemplari di grandi dimensioni da Hayez e considerato il manifesto del Romanticismo italiano in Pittura – esso viene però evocato dal grazioso acquerello Il Bacio, dipinto da Hayez nel 1859, mentre qualche sala più avanti gli fa da contraltare la versione “divisionista” di fine Ottocento offerta dalla tempera Il Bacio di Gaetano Previati, proveniente dalla collezione privata Quadreria dell’800 di Milano.

Altri pittori romantici contemporanei dell’Hayez sono proposti, quali il milanese Giuseppe Molteni, che dopo gli esordi come apprezzato restauratore, sarà pittore alla corte di Vienna grazie alla sua abilità nell’esecuzione di ritratti ambientati in maniera minuziosa e raffinata. Con lui si segnala a partire dagli anni Trenta dell’Ottocento l’abbandono del tema storico, con una preferenza per la ritrattistica e scene dalla vita quotidiana e contemporanea.

Un altro Romantico fu il piemontese Massimo d’Azeglio, educato artisticamente in giovinezza a Roma nell’ambiente neoclassico di Canova e di Thordvaldsen; divenne genero di Alessandro Manzoni in virtù del matrimonio con la figlia primogenita Giulia Manzoni; D’Azeglio fu un sincero patriota, pittore e scrittore e venne nominato Primo Ministro del Regno di Sardegna dal 1849 al 1852, in uno dei momenti più drammatici per l’Italia, al termine della Prima guerra d'Indipendenza.

Alla Galleria comunale d’Arte Moderna a Villa Manzoni a Lecco è presente una Veduta del porto di Lecco dipinta dal D’Azeglio nel 1831, mentre qui alle Paure si può ammirare la sua ben più significativa Disfida di Barletta che trova il suo pendant letterario nell’ “Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta”, lungo racconto epico di ambientazione storica cinquecentesca, pubblicato in pieno clima Risorgimentale sempre dal D’Azeglio nel 1856.

Del Romantico Cherubino Cornienti è proposto in mostra l’olio su tela I Profughi di Parga, del 1843, connotato da un’atmosfera malinconica e intimista. Esso faceva parte della collezione di G. C. Francesco Reale, dal cui legato nel 1892 pervenne alla Scuola di Pittura e poi ai Musei Civici di Pavia. Il dipinto testimonia la predilezione dei pittori Romantici anche per l’attualità storica e il filone dell’Esotismo e Orientalismo, una tendenza ben espressa nella pittura dell’Ottocento attraverso la scuola settentrionale italiana e che incontrava molto il gusto del pubblico. Il soggetto aveva ispirato nel 1831 anche una tela molto più formale dell’Hayez, oggi alla Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia e aveva un precedente letterario nel poemetto di Giovanni Berchet del 1823 intitolato, appunto, “I profughi di Parga” la cui ispirazione scaturiva dall’ episodio di cronaca militare reale dell’occupazione della città greca di Parga da parte dei turchi nel 1819. A Parga, ceduta dagli inglesi all'Impero Ottomano nel corso delle trattative per il possesso delle Isole Ionie, gli abitanti non accettarono l'idea di perdere la propria identità greca assoggettandosi ai Turchi e si rassegnarono a un esodo doloroso, migrando volontariamente verso le isole di Corfù e Cefalonia. Evidente il messaggio patriottico ai Milanesi e agli Italiani assoggettati agli Austriaci che il quadro del Cornienti voleva suggerire!

La mostra prosegue con le sale dedicate ai pittori vedutisti e “prospettici”, eredi della grande tradizione Veneziana del Settecento, con belle tavole di Migliara, Canella e Bisi, che scelsero di catturare nei loro quadri la Milano della prima metà del secolo nei suoi quotidiani e ordinari scorci cittadini. Se Giovanni Migliara si ispirava ai pittori Troubadour in voga nei circoli neoaristocratici della Francia del suo tempo e alle loro raffigurazioni idealizzate del Medioevo e del Rinascimento, nella sua pennellata si rifaceva alla grande pittura italiana del Settecento per dipingere le sue vedute urbane e scorci dal vero di monumenti, architetture e paesaggi milanesi e lombardi. Di Migliara si può ammirare il Porticato di Sant’Ambrogio, mentre di Luigi Bisi – specializzatosi nelle vedute d'architettura e d'interni di monumentali edifici e chiese che riscuotevano il gusto della borghesia e aristocrazia milanesi – è esposto in mostra Il Tornacoro del Duomo di Milano, un olio su tela del 1860 prestato dalla Quadreria dell’Ottocento di Milano. Presenti anche tele di Giuseppe Canella, che fece successo in Francia ai Salons di Parigi, da cui nel 1831 inviò all'Esposizione dell'Accademia di Brera tredici tele con paesaggi che riscossero il favore del pubblico. La specializzazione della pittura prospettica di vari artisti attivi nella prima metà dell’ Ottocento a Milano si deve all’importanza delle relazioni tra l’Accademia di Brera e il Teatro alla Scala. La fama degli scenografi braidensi varcava i confini nazionali e trainava il gusto dei collezionisti europei per il genere pittorico della veduta cittadina italiana, connotata da un’attenzione lenticolare per i dettagli che tradiva una chiara derivazione nordeuropea; il Vedutismo si connotò dunque come una delle più alte e diffuse espressioni del Romanticismo lombardo in pittura.

Le Guerre del Risorgimento sono documentate dalle tele dei fratelli e pittori Gerolamo e Domenico Induno. Il minore dei due, Gerolamo fu patriota durante la Repubblica Romana e con La Marmora nella Guerra di Crimea in qualità di pittore-soldato. Arruolatosi nelle file garibaldine, Gerolamo Induno si confermò definitivamente interprete ufficiale dell'epopea risorgimentale, trasfondendo in bei quadri sia la dimensione eroica e storica del protagonismo dei patrioti – famosissime le sue tele Imbarco a Genova del generale Giuseppe Garibaldi e Battaglia di Magenta – sia il sentimento popolare, in cui il motivo patriottico si mescola a temi della pittura di genere come nelle tele Un grande sacrificio, La partenza del coscritto, Triste presentimento. Il fratello maggiore Domenico Induno è l’autore del bel Ritratto di Goffredo Mameli, il giovane patriota risorgimentale morto a soli 21 anni e l’autore delle parole del “Canto degli Italiani” che fu poi musicato dal Novaro nel 1847 e divenne in seguito l’Inno nazionale della Repubblica Italiana. Come evidenzia il bel dipinto a olio del 1870 La bella pensosa, esposto in mostra, Domenico Induno inaugurò anche il filone della Pittura di genere, in cui protagonisti sono scene e interni domestici, o episodi e situazioni teneramente patetiche e sociali, che talvolta hanno come soggetto persone umili o derelitte, oppure bambini poveri delle plebi rurali e urbane, triste retaggio di una società ottocentesca in tumultuosa trasformazione.

Giacomo Trecourt, professore all’Accademia di Pavia, e Il Piccio introducono al sensibile cambio di rotta della seconda metà del secolo. Artista fuori dal proprio tempo, personalità visionaria e unica, straordinario anticipatore di soluzione linguistiche illuminanti per le generazioni successive, Giovanni Carnovali detto Il Piccio è presente a Palazzo Paure con una luminosa Flora, un olio su tela del 1871, prestato alla mostra da un collezionista privato. Al Piccio si rifà anche la ricerca pittorica di Federico Faruffini , qui presente con La toeletta del mattino, un olio del 1865, sempre di collezionista privato.
Il Ritratto della signora Uglietti del 1876 di Tranquillo Cremona e le tele di Daniele Ranzoni e Giuseppe Grandi segnano il passaggio alla Scapigliatura negli anni Sessanta dell’Ottocento, di cui questi tre pittori sono considerati iniziatori in pittura.

Scapigliatura era la libera traduzione del termine francese bohème, riferito alla “vita da zingari” condotta dagli anticonformisti artisti parigini protagonisti del romanzo di Henri Murger “Scènes de la vie de bohème” (1847-1849). La generazione degli Scapigliati, delusa dagli esiti dell’Unità d’Italia e dai processi di modernizzazione che stavano respingendo gli intellettuali italiani di stampo umanista ai margini della società, sviluppò un disprezzo radicale nei confronti dello stile di vita borghese, delle convenzioni e della morale corrente. Alcuni di loro vivevano alla giornata, spesso in condizioni precarie, mantenendosi grazie alla loro arte, ripudiati dal mondo borghese loro contemporaneo. Politicamente si contrapponevano al moderatismo e tendevano a riconoscersi nell'estrema sinistra storica di Felice Cavallotti, poeta e politico, già giornalista sul Gazzettino rosa e voce della Scapigliatura politica. La Scapigliatura fece emergere per la prima volta in Italia il conflitto tra artista e società e, pur avendo come centro di massima espressione Milano, irradiò nella penisola diffondendo un linguaggio artistico sperimentale e moderno, sul quale affonderà le radici molta della pittura dei decenni successivi. Fra i letterati scapigliati si annoverano intellettuali lombardi eminenti come il conte Alberto Carlo Pisani Dossi, in arte Carlo Dossi e Arrigo Boito, Giuseppe Rovani ed Emilio Praga, mentre pittori scapigliati furono anche Luigi Conconi e Mosè Bianchi; in campo musicale Boito che fu anche compositore e librettista e Amilcare Ponchielli, e anche Giacomo Puccini mosse i suoi primi passi all'interno del movimento.

Al Naturalismo valorizzato in Italia dalla Scapigliatura si ispirano anche le tele esposte in mostra e dipinte spesso en plein air da autori quali Filippo Carcano, Eugenio Gignous, Emilio Gola, Pompeo Mariani e Cesare Tallone, tra i maggiori interpreti della Pittura di Paesaggio: dalle loro tavolozze e pennelli negli ultimi decenni del secolo nascono tele che raccontano le campagne brianzole, le vette alpine e le suggestive acque dei laghi o del mare.

L’ultimo quarto di secolo registra anche un nuovo interesse per la dimensione sociale degli uomini e delle donne, indagata in pittura non più come scena di genere ma con volontà di denuncia delle disuguaglianze sociali. E’ la corrente intellettuale del Verismo, sorta a Milano – allora il centro culturale più vivo della penisola – per ispirazione di Luigi Capuana, primo a teorizzare “La poesia del Vero”, e di Giovanni Verga: un filone letterario a cui aderiranno in Sicilia Federico De Roberto, a Napoli Matilde Serao e Salvatore Di Giacomo, in Calabria Nicola Misasi, in Sardegna Grazia Deledda, a Roma Cesare Pascarella, in Toscana Renato Fucini. Anche in Pittura il Verismo sociale conosce una stagione consistente e prolifica di pittori spesso di ispirazione socialista come i milanesi Filippo Carcano, Attilio Pusterla, Angelo Morbelli, l’aquilano Teofilo Patini, Giacinto Gigante, Giovanni Fattori, i Pittori della scuola di Posillipo e Francesco Paolo Michetti.

Con Il naviglio a ponte San Marco dipinto da Giovanni Segantini a soli 22 anni nel 1880, e con tele di Gaetano Previati ed Emilio Longoni la mostra Ottocento Lombardo si arresta alle soglie della grande stagione del Divisionismo, che attesta il rinnovamento del linguaggio pittorico che rompendo con l’accademia per un nuovo sperimentalismo aprirà la strada alle Avanguardie del Novecento.

Catalogo Skira: Ottocento Lombardo, a cura di Simona Bartolena, 2018 ISBN 978-88-572-3979-8

Info e biglietteria :https://ottocentolombardo.com/

27/10/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: eccolecco.it

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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