Gentilissime/i giornaliste e giornalisti,
siamo qui, al vostro Festival Internazionale del Giornalismo, per parlarvi di un vostro collega, rinchiuso in condizioni terribili solo per aver fatto il suo lavoro di giornalista investigativo, denunciando le malefatte e i segreti inconfessabili di governi e potenti.
Stiamo parlando, naturalmente, di Julian Assange.
In questi drammatici giorni, riempiti di immagini di distruzione, di morte e di disperazione in Ucraina, vi vediamo tutti intenti a denunciare eccidi e crimini di guerra. Proprio ciò che Julian Assange ha dedicato la sua vita a svelare e a castigare.
Con una differenza, però. Voi svelate e castigate i crimini di guerra della Russia, paese che il governo statunitense ha qualificato come “nemico”. Il vostro è dunque un lavoro giornalistico “al servizio della verità”, come amate proclamare – ma di una verità comoda.
Assange, invece, ha svelato e castigato i crimini di guerra della Nato in Afghanistan e in Iraq – quelli di cui il governo statunitense ha detto che non bisognava parlare e sui quali la Corte Penale Internazionale non deve indagare. Il lavoro giornalistico di Julian, dunque, è stato anch’esso “al servizio della verità” – ma di una verità scomoda.
Talmente scomoda che il Dipartimento della Giustizia statunitense considera la diffusione di quelle verità meritevole di subire fino a 175 anni di carcere ai sensi dell’Espionage Act del 1917.
Ma dove eravate voi, allora, mentre Julian Assange denunciava i crimini di guerra commessi dall’Occidente in Afghanistan e in Iraq?
Non abbiamo visto la solerzia e l’indignazione che oggi mostrate nei confronti della Russia, quando a commettere le barbarie eravamo noi (i buoni, i democratici). Non abbiamo visto né dirette né maratone per gli orrori che noi e i nostri alleati abbiamo commessi in passato in Afghanistan, in Iraq, in Libia e oggi in Siria, in Palestina, nello Yemen e nel Sahel.
C’è stata, però, una persona che, quasi in solitaria, ha osato denunciare questi orrori, portando alla luce del sole molteplici crimini – comprese torture che fanno venire la nausea solo a sentirle nominare – commessi da noi, i buoni. Questa persona ha addirittura costruito un sito ingegnoso, Wikileaks, per poter raccogliere anonimamente le prove dei crimini commessi. Ed è per questo che quella persona è perseguitata, dagli Stati Uniti, sin dal 2010, quando pubblicò il famoso video “Collateral Murder”, quel macabro video game.
Dal 2012 Assange è privo della sua libertà e dall’11 aprile del 2019, è rinchiuso in attesa di giudizio in un carcere di massima sicurezza, destinato agli autori di delitti efferati, dove subisce le torture denunciate dal relatore Onu Nils Melzer e da oltre 60 medici esperti in torture.
E voi? Voi, da quale parte state?
Dopo aver attinto a piene mani dalle sue rivelazioni, almeno in un primo tempo, non potete pronunciare oggi una sola parola in difesa di Julian Assange? Dopo aver contribuito alla sua demolizione mediatica agli occhi dell’opinione pubblica, non potete spendere oggi una sola parola per riabilitarlo? Ad esempio, informando i vostri lettori – che hanno letto i vostri articoli accusare Assange di stupro – che si era trattata di una montatura ormai archiviata?
Non potete dare rilievo al piano della Cia, rivelato da Yahoo News, di rapire Assange o di ucciderlo? E biasimare poi la sua estradizione in un paese che ha pensato di assassinarlo?
Non potete spiegare ai vostri lettori che non esiste una sola rivelazione di WikiLeaks che sia risultata falsa, non c’è una sola rivelazione che abbia messo a repentaglio la sicurezza di un paese o quella di un individuo. L’unica sicurezza che è stata messa in discussione è stata quella dell’Occidente di poter continuare a commettere crimini di guerra impunemente.
Non sono questi “fatti di rilievo” di cui sentite l’obbligo di scrivere, per rispetto della vostra professione?
Il prossimo 20 aprile, la ministra degli interni britannica Priti Patel si troverà sul suo tavolo l’ordine di estradizione di Assange verso gli Stati Uniti, che lo vogliono condannare fino a 175 anni di carcere duro: non potrà più vedere né familiari né gli avvocati, in pratica verrebbe sepolto vivo. Un vostro collega, sepolto vivo per aver fatto il suo lavoro di giornalista investigativo: non vi turba questo pensiero?
È tempo che prendiate le sue difese e chiediate la sua liberazione. Lo dovete a noi, a tutti i cittadini di oggi e a quelli di domani, perché se Julian Assange verrà estradato o se dovesse morire prima in carcere, sarà la morte anche dell’informazione libera, la morte del nostro #DirittoDiSapere cosa fanno realmente coloro che ci governano.
Un’ultima parola. Se Julian non sarà liberato, neanche voi sarete liberi. Se domani voi venite in possesso di informazioni segrete che rivelano crimini di guerra commessi da un paese della Nato, ricordando Julian vi sentirete costretti a cestinare quelle informazioni e a lasciar impunite le persone implicate. In una parola, vi sentirete costretti ad una vita di complicità.
È dunque anche per la vostra libertà che vi chiediamo di intervenire a favore della liberazione di Julian Assange.
FREE ASSANGE
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