Nella nuova puntata dell’Osservatorio sul mondo che cambia, Orazio Di Mauro analizza in dettaglio il controverso piano di pace in 28 punti per l’Ucraina, attribuito all’“asse Trump” e pubblicato dal Financial Times: lo esamina con metodo rigoroso, mettendo a fuoco implicazioni e ricadute geopolitiche. Il documento, discusso informalmente tra Washington e Kiev, ridisegna l’architettura di sicurezza europea e il futuro stesso dell’Ucraina. Il piano prevede la conferma della sovranità ucraina ma impone limiti stringenti: niente NATO, un esercito ridotto a 600.000 uomini e l’impegno reciproco a non espandere o minacciare oltre confine. Per gli Stati Uniti, le garanzie di sicurezza diventano condizionate: se Kiev dovesse colpire Mosca con armi fornite dall’Occidente, le tutele verrebbero annullate, lasciando campo libero a una ritorsione russa contro l’Europa. Il piano apre all’Ucraina il mercato europeo, reintegra la Russia nel G8 e rimuove le sanzioni, prevedendo anche una gestione condivisa di tecnologie strategiche e risorse dell’Artico. Le questioni economiche e umanitarie vengono regolate tramite l’utilizzo dei fondi russi congelati e attraverso accordi su prigionieri, ricongiungimenti familiari e ricostruzione. L’articolo più delicato riguarda il riconoscimento formale di Crimea, Donetsk e Lugansk come territori russi, mentre Zaporizhzhia rimarrebbe ucraina ma con la centrale nucleare controllata da Mosca e monitorata dall’AIEA. Il piano entra persino nel campo dell’educazione e dell’identità nazionale, imponendo a Kiev programmi scolastici contro discriminazioni linguistiche e religiose e la proibizione di ideologie neonaziste. In cambio della pace, l’Ucraina dovrebbe indire elezioni entro 100 giorni, di fatto chiudendo l’era Zelensky, mentre l’amnistia generale includerebbe Putin. Secondo Di Mauro, Zelensky è sottoposto a pressioni crescenti, anche per la vulnerabilità del suo entourage, in particolare del discusso Yermak. Le reazioni internazionali oscillano tra chi definisce il piano una resa e chi lo considera l’unica via realistica per fermare la guerra. L’Europa, sorprendentemente esclusa dal tavolo, tace mentre Mosca nega ufficialmente l’esistenza del documento per continuare a trattare. Se l’accordo trovasse una forma condivisa, Di Mauro prevede che la ricostruzione potrebbe iniziare già entro sei mesi, segnando la definitiva affermazione della Russia come potenza non piegata dall’Occidente.