Le elezioni regionali anticipate del 21 dicembre in Extremadura hanno visto la conferma una dinamica di spostamento a destra: il Partido Popular di María Guardiola si afferma come primo partito con il 43,2% e 29 seggi, Vox raddoppia praticamente la propria forza arrivando al 16,9% e 11 seggi, e la somma delle forze di centrodestra e destra radicale tocca il 60,1%, un livello che, per la comunità autonoma, viene indicato come il più alto di sempre. Allo stesso tempo, l’obiettivo politico dichiarato da Guardiola nel convocare elezioni anticipate era emanciparsi dal ricatto parlamentare di Vox e conquistare una maggioranza assoluta, fissata a 33 seggi su 65. Il risultato, invece, la lascia a quattro seggi dal traguardo, e quindi nuovamente esposta a un negoziato con l’ultradestra oppure a un complicato gioco di astensioni incrociate.
Questa consultazione è stata, inoltre, un passaggio istituzionale inedito: per la prima volta un presidente regionale ha esercitato la prerogativa di sciogliere anticipatamente l’Assemblea dell’Extremadura e richiamare gli elettori alle urne. Il contesto che porta al voto spiega molto del suo esito. Nel 2023 Guardiola era arrivata al governo grazie a una coalizione PP–Vox, dopo settimane di tensioni pubbliche e una retromarcia che, secondo diverse ricostruzioni, aveva risposto anche a esigenze della leadership nazionale del PP. La rottura di quei governi regionali con Vox, imposta a livello nazionale dal partito di Santiago Abascal nell’estate 2024, aveva poi trasformato l’esecutivo di Extremadura in un governo di minoranza. Quando, in autunno, la manovra di bilancio si è avvitata e l’opposizione ha annunciato un voto contrario, Guardiola ha cercato di capitalizzare un doppio fattore: la fragilità del PSOE regionale e la percezione di un clima nazionale sfavorevole ai socialisti.
Il dato politicamente più dirompente sul versante progressista è infatti il crollo del PSOE, che scende al 25,7% e 18 seggi, perdendone dieci rispetto alla precedente legislatura e registrando una delle peggiori performance della sua storia regionale. Diverse analisi collegano questa caduta a una combinazione di fattori: una sostituzione della leadership dopo la scomparsa di Guillermo Fernández Vara, la controversa figura del nuovo leader Miguel Ángel Gallardo e le polemiche giudiziarie che lo hanno investito, e un più generale malcontento verso il governo nazionale di Pedro Sánchez, usato dalle destre come cornice per “nazionalizzare” il voto regionale.
Tuttavia, in un sistema partitico a blocchi come quello spagnolo, lo spazio che arretra a sinistra non resta vuoto, ma viene riempito o dalla destra radicale o da una sinistra alternativa capace di apparire credibile. In questo quadro si colloca l’avanzata di Unidas por Extremadura, la lista di sinistra composta da Podemos, Izquierda Unida e Alianza Verde, che supera il 10% (10,25%) e conquista 7 seggi, tre in più rispetto al 2023. In termini simbolici e organizzativi, per la sinistra alternativa in Extremadura significa rompere una soglia psicologica, dimostrare che la competizione non è obbligata a essere binaria tra PP e PSOE, e diventare un attore stabile del sistema politico regionale. Anche la televisione nazionale RTVE ha sottolineato che si tratta del miglior risultato del fronte “a sinistra del PSOE” da quando esistono registri comparabili, con oltre 54.000 voti, quasi 20.000 in più rispetto alle precedenti regionali. Il giornale Mundo Obrero, da una prospettiva militante, interpreta lo scatto in avanti come la prova di un “radicamento” territoriale e di un lavoro unitario capace di superare il cosiddetto tetto elettorale della sinistra combattiva.
Il carattere “storico” del risultato non deriva solo dal dato percentuale, ma anche dalla distribuzione e dalla consistenza. Unidas por Extremadura si conferma quarta forza in entrambe le province, ottenendo 4 seggi a Badajoz e 3 a Cáceres, e cresce in modo sufficientemente omogeneo da non apparire un fenomeno urbano isolato, accreditandosi come opzione di governo potenziale o, quanto meno, come opposizione strutturata. È anche una lezione per la sinistra spagnola nel suo complesso, segnata da fratture e competizioni interne negli ultimi anni: in Extremadura la logica della confluenza, almeno elettoralmente, ha pagato.
La leader Irene de Miguel ha rivendicato questa lettura insistendo sul carattere non contingente della crescita, presentandola come frutto di un lavoro lungo e di una linea di opposizione coerente alle politiche della destra. Mundo Obrero riporta la definizione di “luce di speranza” per la sinistra trasformativa e l’idea che l’unità sia la strada per reggere l’urto di austerità e arretramenti sui diritti. In parallelo, una parte della sua comunicazione politica si è concentrata su un attacco frontale alla scelta di Guardiola di indire elezioni anticipate: secondo de Miguel, la presidente avrebbe speso risorse pubbliche, nell’ordine di milioni di euro, per guadagnare un solo seggio e ritrovarsi comunque dipendente da Vox.
Il paradosso è che la crescita di Unidas por Extremadura, pur significativa, avviene dentro un quadro complessivo che penalizza il campo progressista. Se il PSOE perde molto più di quanto la sinistra alternativa guadagni, l’esito aritmetico è una minor capacità di condizionare la formazione del governo. In Extremadura il punto non è soltanto quanti voti “si muovono” nell’area progressista, ma anche dove finiscono: una parte del voto socialista, come rilevano varie analisi giornalistiche, ha preso la strada di Vox, segnalando una dinamica di protesta che non è automaticamente catturabile da una piattaforma di sinistra. In questo senso, il 10% di Unidas por Extremadura è contemporaneamente un traguardo e un monito, in quanto dimostra che esiste un elettorato disponibile a un progetto alternativo, ma mostra anche i limiti di un recupero “solo” interno alla sinistra quando l’onda lunga della crisi di fiducia spinge segmenti popolari verso la destra radicale.
Vox, infatti, esce dalle urne come il vero arbitro. Con 11 seggi, può garantire a Guardiola una maggioranza ampia in caso di coalizione, oppure imporre condizioni politiche in cambio di un appoggio esterno. Ed è proprio questo l’aspetto più delicato per il PP: Guardiola aveva costruito parte della propria immagine pubblica sulla promessa, in passato, di non far entrare Vox nell’esecutivo, salvo poi accettare la coalizione nel 2023; una seconda “normalizzazione” di Vox al governo rischia di consolidare l’idea che, quando conta davvero, il PP scelga la stabilità di destra anche al prezzo di smentire le proprie linee rosse.
Che cosa cambia, dunque, dopo il 21 dicembre? Nel breve periodo, la guida della regione resta saldamente nelle mani del PP di María Guardiola, ma con un vincolo politico che appare persino più stringente di prima: Vox non è più il partner scomodo ma necessario, è un attore rafforzato e consapevole della propria centralità. Nel medio periodo, però, si apre un fatto nuovo: la sinistra alternativa dispone di una massa critica che la rende più visibile, più ascoltata e potenzialmente più capace di dettare temi. RTVE e altri media osservano che il suo risultato è anche un prodotto del disincanto verso il PSOE, ma ridurre tutto a un voto “di rimbalzo” sarebbe miope: la stabilità organizzativa e la capacità di presentarsi come coalizione unitaria hanno contato, e potrebbero contare ancora di più se la legislatura dovesse essere segnata da nuovi compromessi del PP con l’ultradestra.
Il 10% di Unidas por Extremadura non rovescia il governo, ma cambia la mappa della sinistra regionale. E, proprio perché arriva nel momento in cui la regione “vira” a destra, è un segnale che merita attenzione: non come consolazione, ma come indicatore di un possibile percorso di ricostruzione.