Migliaia di persone muoiono sotto i nostri occhi, private di cibo e acqua, sepolte da una pioggia di bombe. La cosa più difficile da sopportare è il senso di impotenza, l'idea che nulla di ciò che diciamo possa cambiare le scelte folli di chi ci governa e degli interessi potenti che rappresentano. In Occidente, nessun governo sembra realmente intenzionato ad agire.
Questa situazione conferma una verità filosofica fondamentale: il corso della storia cambia solo quando entra in gioco la volontà popolare. Se le masse non si mobilitano in milioni, nulla si muove.
Cosa possiamo fare, concretamente, per il popolo palestinese? Questa domanda deve assillare ogni persona di buon senso, così come le avanguardie politiche e sindacali. Il governo Meloni, con il suo consenso apparentemente inscalfibile, è un muro di gomma contro il quale ogni protesta rimbalza. Ma come si sfonda questo muro?
Per aiutare davvero la Palestina, la prima azione concreta è costringere il nostro governo a interrompere il sostegno militare a Israele. Tradotto in termini materiali: dobbiamo forzare i potenti a rompere l'alleanza con il sionismo. L'unico modo per ottenere un risultato del genere è mettere in discussione i loro profitti e la loro egemonia, e questo è possibile solo con l'ingresso delle masse popolari sul palcoscenico della storia. È l'unica leva capace di ribaltare i rapporti di forza.
Per questo, è essenziale aderire e costruire lo sciopero generale indetto per il 22 settembre.
Ragionare in modo unitario è facile a parole, meno nei fatti. Serve massima partecipazione e coinvolgimento popolare, e le avanguardie dovrebbero agire con un “sentimento unitario”. Invece, paradossalmente, mentre per le masse l'unità di fronte a un genocidio è un fatto scontato, per molte avanguardie non lo è. Anche di fronte al massacro di migliaia di bambini, prevalgono logiche particolaristiche e di settarismo.
Il punto cruciale è il livello di mobilitazione. Se non superiamo certe soglie di partecipazione, il governo ignorerà ogni nostra richiesta. Per questo, dinanzi all'orrore, è stato un errore che la CGIL abbia convocato uno sciopero separato per il 19 settembre sapendo che ne era stato già convocato uno per il 22. Due scioperi a distanza così ravvicinata hanno l'unico risultato di dividere il fronte dei lavoratori, costringerli a una scelta sterile e depotenziare entrambe le mobilitazioni.
Questo era il momento della saggezza, il momento di mettere da parte i particolarismi e far prevalere l'interesse superiore di tutti: convergere su un'unica data, un'unica, potente mobilitazione.