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Imperialismo fra fascismo e bonapartismo

La concorrenza attraverso la caduta tendenziale del saggio di profitto genera i monopoli, l’imperialismo in politica estera e, tendenzialmente, il bonapartismo in politica interna. Nel caso in cui ci sia bisogno della rivoluzione passiva per tenere a bada un proletariato relativamente forte avremo il fascismo, quando invece non c’è bisogno di cedere in parte il potere a ceto medio e piccola borghesia avremo il cesarismo regressivo


Imperialismo fra fascismo e bonapartismo Credits: https://rivoluzione.red/il-bonapartismo-in-francia-dal-golpe-del-58-al-maggio-68-quando-de-gaulle-si-infranse-contro-la-classe-operaia/

Naturalmente l’imperialismo è antitetico alla democrazia, dal momento che, come spiega bene già Tucidide nel celebre “terribile dialogo” fra gli ateniesi e i melii, costituisce un ritorno allo stato di natura, in cui domina incontrastata la legge della giungla, la legge del più forte. Molto si è discusso su come questa attitudine imperialista sia conciliabile con l’essere Atene al contempo la patria della democrazia

In realtà tale contraddizione caratterizza anche la democrazia moderna. Dagli Stati Uniti ai paesi europei in cui si sviluppa quest’ultima si presenta quasi sempre nella forma della democrazia per il popolo dei signori (Herrenvolk democracy). Negli Stati Uniti, in cui la democrazia risorge nel mondo moderno, essa vale soltanto per i coloni di origine europea e convive tranquillamente con lo schiavismo degli afroamericani, il servaggio dei coolie adi origine asiatica e il genocidio dei nativi. Anzi, come sappiamo, il partito democratico statunitense ha avuto storicamente il suo punto di forza proprio nel sud schiavista, in quanto forma di governo necessaria per mantenere sempre uniti i padroni di schiavi, unità indispensabile a mantenere tale forma di dominio.

Anche in Europa le liberaldemocrazie si sviluppano praticamente sempre in paesi prima colonialisti e poi imperialisti. Senza contare paesi come Canada, Australia o Nuova Zelanda in cui le liberaldemocrazie hanno come fondamento il genocidio dei nativi.

Peraltro in tutti i casi sopra citati si tratta di una democrazia per gli europei e i discendenti degli europei maschi, anche essa funzionale a mantenere la schiavitù domestica delle donne. Anzi, come osservava a ragione Adam Smith, con la democrazia non è possibile abolire la schiavitù, perché i padroni di schiavi e i maschi non vi rinunceranno mai liberamente e democraticamente. Così per Smith ci vuole la dittatura, per Hegel la violenza per rimettere in discussione i privilegi dei padroni.

Del resto la storia ci insegna che il colonialismo viene messo in discussione per la prima volta soltanto nell’epoca del Terrore giacobino, mentre per l’emancipazione delle donne saranno decisive le rivoluzioni russe.

Senza contare la terza grande clausola di esclusione tanto della democrazia antica, quanto della moderna, che è la classe sociale. Tutte le democrazie sono state realmente tali solo all’interno della classe dominante, mentre nei confronti dei subalterni sono effettivamente delle dittature. Anche in quest’ultimo caso la democrazia è essenziale per mantenere unita la classe dominante ed altrettanto indispensabile a mantenere soggiogati i subalterni.

Ciò emerge chiaramente dopo la seconda guerra mondiale, nei cosiddetti trenta gloriosi, con il massimo sviluppo dei regimi liberaldemocratici, dovuto alla sconfitta del progetto neo schiavista dei fascismi, a opera della resistenza animata principalmente da chi si ispirava alle concezioni rivoluzionarie del marxismo. Come è apparso chiaramente tanto nei paesi governati dai liberaldemocratici quanto per quelli governati dai comunisti la democrazia era effettiva solo all’interno della classe dominante.

I partiti che mettevano in discussione il sistema erano tollerati solo nella misura che accettassero l’ordine costituito. A ogni evenienza sia a est che a ovest si era pronti a intervenire con l’esercito lì dove le classi subalterne pretendevano di poter governare, mettendo anche legalmente, democraticamente in discussione i privilegi dei ceti dominanti.

Anzi fra le potenze del mondo bipolare c’era il tacito accordo che nella propria area di influenza, nel caso in cui il proprio dominio ideologico, la propria capacità di egemonia fosse messa seriamente in discussione era lecito l’intervento militare, la proclamazione dello stato di assedio, senza che la potenza avversaria intervenisse, sfruttando la contraddizione nel campo nemico.

D’altra parte, l’imperialismo come fase suprema del capitalismo tende a mettere in discussione anche la democrazia all’interno della classe dominante. Del resto è la concorrenza stessa che nella società capitalista tende a produrre il monopolio, in quanto nella concorrenza domina di nuovo la legge della giungla, cioè la legge del più forte. 

Così la democrazia per la classe dominante era strutturalmente funzionale nella prima fase di sviluppo del capitalismo, in cui vi erano tanti relativamente piccoli imprenditori, mentre con l’affermazione dei monopoli e del capitale finanziario come viene meno la libera concorrenza delle origini, tende a venir meno anche il regime liberaldemocratico all’interno della stessa borghesia.

Tale scenario era stato già delineato nelle sue caratteristiche fondamentali da Marx che, analizzando la storia della sua epoca storica, ha sviluppato il concetto decisivo per descrivere questo fenomeno di bonapartismo. Del resto con l’incipiente crisi del capitalismo e la caduta tendenziale del tasso di profitto, ci sono sempre meno margini di profitto da redistribuire ai ceti medi e, in misura minore, ai subalterni per mantenerli soggiogati. La prima gamba del potere, quella liberaldemocratica, l’egemonia, quale capacità di governo con il consenso dei dominati, entra in una progressiva crisi. Tende così a rafforzarsi l’altro pilastro del potere, cioè il monopolio della violenza legalizzata, su cui si fonda la dittatura della classe dominante, dal momento che è sovrano chi può dischiarare lo Stato di assedio.

A questo scopo però la classe dominante ha disperato bisogno degli apparati repressivi dello Stato, esercito e polizia. D’altra parte gli apparati repressivi, nel momento in cui comprendono di essere indispensabili al dominio della classe dominante, ne approfittano per prendere con la forza il controllo del potere. In taluni casi basta la minaccia della violenza come con la strategia della tensione in Italia e il colpo di Sato istituzionalizzato gollista in Francia, per arrivare ai golpe giudiziari con cui sono stati messi da parte la maggioranza dei governi progressisti in America latina. Dove la minaccia non basta si passa all’intervento dei militari, dal 18 Brumaio dei bonaparte, al golpe militare in Spagna, Brasile, Cile, Grecia, Argentina etc.

Lì dove gli apparati repressivi non sono sufficienti, perché c’è un dualismo di potere troppo accentuato, grazie alla forza del proletariato organizzato dai comunisti, diviene indispensabile mobilitare lo squadrismo garantito dall’ala destra della piccola borghesia e del ceto medio. In questo caso il bonapartismo potrà svilupparsi esclusivamente mediante la rivoluzione passiva, cioè una serie di concessioni dall’alto ai ceti medi e alle stesse classi subalterne per mantenerle tali. Anche perché la piccola borghesia e i ceti medi, sostituendosi alla classe dirigente liberale oligarchica, introducono altri aspetti della rivoluzione come la nazionalizzazione delle imprese in crisi e il corporativismo.

Nei casi in cui sono sufficienti gli apparati repressivi dello Stato sono possibili forme di bonapartismo o di cesarismo regressivo, per distinguerlo da quello progressivo ad esempio di Lula, Morales e Correa, per limitarci ai casi più vicini a noi. Dopo quello portoghese di Salazar, il modello è quello ordoliberale del Cile di Pinochet, oggi seguito, senza bisogno al momento di colpi di Stato militari da Orban a Meloni, da Trump a Bolsonaro, a Milei a Modi, da Erdogan a Netanyahu. Tale forma è più conforme agli interessi della grande borghesia perché dove c’è un controllo diretto o indiretto del potere da parte dell’esercito – per il primo caso, ad esempio, in Egitto e Birmania per il secondo caso Thailandia o Pakistan – la classe dirigente militare tende almeno in parte ad autonomizzarsi dalla classe dominante. Anche perché i militari al potere prendono il controllo di tutte le attività produttive in crisi.

Quindi il capitalismo in crisi genera con i monopoli l’imperialismo e il bonapartismo o cesarismo regressivo, per distinguerlo dal cesarismo progressivo che si è affermato nei paesi in cui come transizione al socialismo, in paesi in cui non si era ancora sviluppato il capitalismo, si sono affermata forma di socialismo di Stato, dallo stalinismo, al titoismo, al castrismo. Il bonapartismo o cesarismo regressivo ha poi essenzialmente due forme diverse quello della rivoluzione passiva, cioè dei fascismi, in cui la classe dominante della grande borghese, per mantenere i propri privilegi di contro a un proletariato relativamente forte, in quanto nella sua componente più avanzata organizzato dai comunisti, deve cedere il monopolio della violenza legalizzata e il ruolo di classe dirigente politica all’ala destra della piccola borghesia e dei ceti medi. Dall’altra abbiamo le forme oggi dominanti non solo nei governi sovra ricordati (Usa, Italia, Argentina, Israele, etc.), ma anche nelle forze di destra radicale che hanno governato o che continuano in parte a governare paesi come l’Olanda, l’Austria, la Polonia, la Finlandia o che rischiano di governare un paese come il Fronte nazionale in Francia, o forze di destra radicale in costante ascesa come Afd in Germania o Farage nel Regno Unito. In tutti questi casi i settori di destra della piccola borghesia e dei ceti medi non hanno dovuto appropriarsi almeno in parte del monopolio della violenza organizzata per sbarrare la strada ai comunisti e, quindi, non c’è stato bisogno, se non in minima parte a livello ideologico, della rivoluzione passiva. In tutti questi casi persino il nazionalismo e lo sciovinismo del fascismo sono sopravvissuti solo in aspetti propagandistici, al di là del suprematismo e del razzismo, dal momento che, come dimostra nel modo più eclatante il governo Meloni, si tratta di governi di svendi patria, come lo sono, in maniera ancora più sfacciata, il governo di Milei in Argentina o di Noboa in Ecuador.

20/09/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo
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