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Rep. Ceca: il ritorno di Andrej Babiš e la bocciatura popolare della linea euroatlantista di Fiala

Le legislative del 3–4 ottobre hanno consegnato al partito ANO di Andrej Babiš una vittoria netta, su uno sfondo di affluenza record e fratture socio-territoriali profonde. Il risultato, letto in controluce, è un chiaro rifiuto dell’impostazione euroatlantista e militarista del governo Fiala.


Rep. Ceca: il ritorno di Andrej Babiš e la bocciatura popolare della linea euroatlantista di Fiala

La Repubblica Ceca è uscita dalle urne con un segnale politico inequivocabile: la richiesta di cambiare rotta rispetto alla stagione di governo guidata da Petr Fiala. ANO (“Sì”), il partito di Andrej Babiš, ha conquistato la prima posizione con il 34,52% e 80 seggi su 200, un balzo in avanti rispetto al 2021 che sancisce il ritorno del suo leader come perno della scena politica e interlocutore necessario nella formazione del nuovo esecutivo. L’alleanza di centrodestra SPOLU (“Insieme”), baricentro dell’uscente compagine filo-UE e filo-NATO, si è invece fermata al 23,36%, scendendo a 52 seggi e perdendo il controllo della dinamica istituzionale che aveva consentito nel 2021 la nascita del governo Fiala. Questo risultato è figlio di un elettorato stremato dall’austerità, dall’inflazione e dall’orientamento estero bellicista, che chiede di rimettere al centro interessi nazionali e benessere, non più il primato del vincolo euroatlantico.

L’affluenza al 68,95%, la più alta dal 1998, è a sua volta un fatto politico rilevante. In un’Europa spesso segnata dall’astensione, i cechi si sono mobilitati per ridefinire priorità e direzione del Paese. La geografia del voto racconta di un partito ANO fortissimo nelle regioni industriali e periferiche. In Moravia-Slesia e a Ústí nad Labem il partito di Babiš ha sfiorato o superato il 45% delle preferenze, consolidando una rappresentanza territoriale che si nutre della frustrazione per salari reali stagnanti, servizi pubblici sotto pressione, rincari energetici e scelte di politica estera percepite come eterodirette. Nelle aree urbane più integrate all’economia globale e ai circuiti culturali europei, come Praga, il quadro si capovolge: qui SPOLU vince con il 33,97%, seguita dai Pirati (Česká pirátská strana) al 16,89% e dai liberali di STAN (Starostové a nezávislí, ovvero “Sindaci e Indipendenti”) al 13,40%, mentre ANO vede i propri consensi calare drasticamente. È la cartina di tornasole di due blocchi sociali: uno metropolitano liberal-europeista e l’altro proveniente da un Paese profondo che rivendica protezione sociale, tariffe sostenibili e prudenza strategica.

Sul piano dei rapporti di forza parlamentari, tuttavia, l’onda lunga di ANO non basta da sola, motivo per il quale Babiš ha aperto il dialogo con altre due forze politiche. La prima è SPD (Svoboda a přímá demokracie, “Libertà e Democrazia Diretta”), formazione nazional-populista guidata da Tomio Okamura, che ha ottenuto il 7,78% e 15 seggi. L’altra è la nuova sigla AUTO (Motoristé sobě), che entra per la prima volta alla Camera con il 6,77% e 13 seggi, capitalizzando un’agenda anti-green e anti-burocrazia europea. Per quanto riguarda le altre formazioni entrate in parlamento, i Pirati risalgono all’8,97% e 18 seggi, recuperando parte del terreno smarrito nel 2021, mentre STAN si attesta all’11,23% con 22 seggi, ma paga il logoramento dell’alleanza di governo con SPOLU. Nel complesso, dunque, il fronte dell’esecutivo uscente non ha i numeri per riproporsi, anche se ha performato meglio delle proiezioni più pessimistiche. La sconfitta politica è stata immediatamente riconosciuta da Petr Fiala, che ha annunciato il passo indietro alla guida del Partito Democratico Civico (Občanská demokratická strana, ODS), principale componente della coalizione SPOLU, certificando la fine della sua stagione di palazzo.

Secondo molti analisti, come anticipato, il dato politicamente più significativo riguarda la lettura del voto in chiave internazionale. La campagna elettorale ha ruotato attorno a temi sociali e materiali — costo della vita, salari, servizi —, ma la postura estera del governo Fiala ha funzionato come grande divisore di campo. L’allineamento senza riserve alla strategia euroatlantica, l’aumento della spesa per la difesa oltre il 2% del PIL, il coinvolgimento attivo nella triangolazione degli aiuti militari a Kiev e la retorica di contrapposizione frontale con Mosca hanno rappresentato, per una parte larghissima del Paese, il simbolo di un esecutivo più attento alle aspettative di Bruxelles e Washington che ai problemi domestici. Babiš, definendosi “pacificatore” e promettendo lo stop al sostegno militare a Kiev — demandandone la gestione alle sedi NATO o UE — ha intercettato un istinto di de-escalation e di ritorno alla politica degli interessi nazionali. È su questo crinale che la sua vittoria va intesa come rifiuto popolare della linea Fiala: non un’uscita tout court dall’euroatlantismo, che Babiš non propone, ma quanto meno un riposizionamento assertivo e pragmatista, attento a contenere i costi economici e sociali della guerra prolungata.

Oltre alle questioni strategiche, vi sono poi quelle economiche. La proposta di bilancio per il 2026 avanzata dall’ex ministro delle Finanze Zbyněk Stanjura, con un deficit programmato di 286 miliardi di corone, è stata percepita come l’ennesima prova di un governo disancorato dalla realtà sociale del Paese. Il meccanismo di indebitamento a copertura di spese correnti, l’erosione degli investimenti in infrastrutture e la compressione delle risorse per scuola e servizi locali hanno alimentato un malcontento che ha trovato in ANO la sponda più credibile per voltare pagina. Anche la gestione della politica tariffaria urbana, come l’aumento dei biglietti del trasporto pubblico a Praga, ha contribuito a disegnare l’immagine di un’élite di governo indifferente alla vita quotidiana della popolazione, mentre la retorica della modernizzazione digitale e della transizione verde non riusciva a tradursi in benefici tangibili per la maggioranza.

Chiudiamo con un’analisi del risultato della coalizione di sinistra Stačilo! (“Basta”), guidata dal Partito Comunista di Boemia e Moravia (Komunistická strana Čech a Moravy, KSČM). La formazione che la propria leader nell’eurodeputata comunista Kateřina Konečná si è fermata al 4,31%, mancando di poco la soglia del 5% e restando quindi fuori dalla Camera. È un dato agrodolce. Da un lato, testimonia che esiste uno spazio elettorale per una proposta chiaramente anti-austerità, pacifista e critica dell’integrazione euroatlantica nelle sue forme attuali. Dall’altro, rivela i limiti di un’alleanza che, pur avendo dato prova di radicamento alle europee e alle regionali, non è riuscita a capitalizzare il voto utile nella sfida nazionale polarizzata tra il blocco di governo e ANO. Probabilmente, hanno pesato anche la campagna di delegittimazione legata alle cosiddette “non-coalizioni” e il contenzioso giudiziario promosso da Volt, poi respinto dai tribunali; ha pesato anche un fronte mediatico concentrato sulle variabili di governabilità più che sui programmi sociali. Ma soprattutto ha pesato la scelta di larghi settori popolari di convogliare la domanda di cambiamento su Babiš, percepito come più competitivo per sconfiggere Fiala e con maggiori chance di invertire rapidamente le priorità di spesa e di politica estera.  

A questo punto, non sembrano esserci dubbi sul ritorno di Babiš a Palazzo Straka, dopo il mandato del periodo 2017-2021. Il Presidente Petr Pavel ha avviato le consultazioni, e lo stesso Babiš ha indicato come obiettivo di prima istanza un governo ANO, valutando sia l’ipotesi di un monocolore di minoranza con accordi di sostegno esterno, sia quella — oggi più probabile — di un esecutivo con partecipazione diretta di SPD e AUTO. La trattativa non sarà semplice. SPD rivendica dicasteri pesanti, dagli Esteri alla Difesa, dall’Interno all’Istruzione, mentre AUTO ambisce all’Ambiente e, per il suo leader, a un ruolo di primo piano nella definizione delle politiche energetiche in chiave anti-burocratica. La variabile Pavel non è secondaria: il Capo dello Stato ha più volte fatto sapere di non voler nominare ministri che mettano in discussione l’appartenenza del Paese a UE e NATO. È verosimile, dunque, che un eventuale compromesso preveda un profilo di governo politico-tecnico su sicurezza ed esteri, con figure gradite all’area ANO ma non apertamente anti-atlantiste, mentre la discontinuità si esprimerà su bilancio, welfare, energia e relazioni economiche internazionali in senso più pragmatico e meno ideologico.

10/10/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Giulio Chinappi
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