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La Francia in piazza dopo la caduta di Bayrou e la nomina di Lecornu

Dopo il rifiuto della fiducia al governo Bayrou e la nomina di Sébastien Lecornu a capo dell’esecutivo, la Francia entra in una fase di scontro profondo. La sinistra accusa Macron di aver scelto la continuità dell’austerità, mentre la grande manifestazione del 18 settembre ha mostrato una pressione popolare senza precedenti


La Francia in piazza dopo la caduta di Bayrou e la nomina di Lecornu Credits: wikicommons

Come avevamo previsto nel nostro precedente articolo, la caduta del governo guidato da François Bayrou ha segnato l’innesco di una nuova fase di crisi politica nella Quinta Repubblica Francese. Lo scorso 8 settembre, infatti, Bayrou aveva chiesto il voto di fiducia all’Assemblea nazionale, ma ha visto la maggioranza parlamentare frantumarsi attorno al progetto di bilancio e alle misure di austerità, con conseguenze immediate sul piano istituzionale e sociale. La successiva scelta di Emmanuel Macron di nominare Sébastien Lecornu come nuovo Primo Ministro, formalizzata sin dal 9 settembre, è stata letta da larga parte della sinistra come la conferma di una volontà di persistere su una linea politica già contestata e rifiutata nelle urne e nelle piazze.

Sébastien Lecornu arriva a Matignon come figura vicina al cuore della Macronie, con un profilo che molti giudicano più prudente nella comunicazione ma sostanzialmente portatore della stessa agenda economica dei suoi predecessori. La prima decade del suo incarico è stata caratterizzata da promesse di dialogo con le varie compagini politiche, accompagnate però da proposte pratiche limitate e da gesti simbolici — la reintroduzione di due giorni festivi e promesse di piccoli correttivi — che non affrontano le questioni strutturali poste dalle opposizioni e dai movimenti sociali. In questo senso, la nomina di Lecornu è stata percepita come una mossa di preservazione dell’ordine politico esistente più che come un’inversione di rotta, indebolendo ulteriormente la legittimità del governo agli occhi di una parte significativa dell’opinione pubblica.

Al centro del conflitto rimane il dossier economico, in particolare il progetto di bilancio ereditato dall’esecutivo precedente, che prevedeva tagli e risparmi per decine di miliardi, misure che il governo ha giustificato con l’urgenza di ridurre il peso del debito pubblico. La sinistra, guidata da La France Insoumise (LFI) di Jean-Luc Mélenchon, contesta sia la diagnosi che le cure indicate, sostenendo che le misure proposte scaricherebbero il peso della “ristrutturazione” su salari, servizi pubblici e pensioni, aggravando le disuguaglianze già aumentate nel corso degli ultimi anni. È proprio contro questa lettura che si è formata un’alleanza di fatto tra partiti di sinistra, sindacati e movimenti sociali: una coalizione che reclama non solo il ritiro delle misure più dure, ma anche un diverso paradigma di politica economica fondato su investimenti pubblici, tutela dei servizi essenziali e fiscalità progressiva.

In questo quadro, l’appuntamento del 18 settembre ha rappresentato il banco di prova della risposta popolare. La giornata è stata infatti segnata da una mobilitazione di massa che, secondo le organizzazioni sindacali promotrici, ha superato il milione di partecipanti in centinaia di azioni su tutto il territorio, mentre le cifre ufficiali delle forze dell’ordine si sono attestate su numeri più contenuti ma comunque significativi (almeno 500.000 partecipanti). Indipendentemente dalle divergenze numeriche, la portata delle manifestazioni e la loro estensione settoriale — con scioperi e presidi non solo tra i lavoratori, ma anche tra gli studenti e i precari — hanno dimostrato che la contestazione sociale è diffusa e profonda. Forti del sostegno popolare, i leader sindacali hanno rivendicato il rifiuto totale del progetto di bilancio e chiesto risposte politiche chiare: aumento dei salari, tutela dei pensionati, rilancio dei servizi pubblici e tassazione adeguata delle grandi ricchezze.

Allo stesso tempo, la risposta politica della sinistra parlamentare si è articolata su due piani: da un lato, la pressione diretta in Parlamento, fino a giungere alla sfiducia nei confronti di Bayrou; dall’altro, l’uso della leva della mobilitazione sociale per ribadire la distanza rispetto a una politica giudicata ingiusta. In particolare, La France Insoumise ha annunciato iniziative importanti, tra cui la presentazione di una mozione di destituzione del Presidente della Repubblica. Parallelamente, il Parti Communiste Français (PCF) ha posto linee rosse precise — abbandono del progetto di bilancio, abrogazione della riforma delle pensioni, aumento dei salari e introduzione di imposte più incisive sui patrimoni — e ha chiesto la costruzione di un accordo di sinistra nuovo e radicato territorialmente, soprattutto nel caso di elezioni anticipate. Sia LFI che il PCF stanno dunque tentando di combinare agitazione sociale e proposta istituzionale, pur nella difficoltà di tradurre la grande frammentazione della sinistra in una maggioranza parlamentare stabile.

Nonostante la mobilitazione delle forze parlamentari e sociali, Macron sembra intenzionato a perseverare nella linea di rigore anche con il rischio di un’escalation istituzionale, compresa la perdita di qualsiasi tenuta parlamentare e un’ulteriore delegittimazione dell’esecutivo. La sinistra, al contrario, spera che la pressione congiunta delle piazze e delle opposizioni parlamentari imponga reali cambiamenti e apra una fase di negoziazione su misure concrete, come il rilancio degli investimenti pubblici e una revisione fiscale per far pagare i più ricchi; quanto alle modalità precise, le posizioni divergono su tempistiche e strumenti (dal ritiro delle misure al ricorso a elezioni anticipate o a nuove alleanze a sinistra). In particolare, Fabien Roussel e i comunisti indicano la necessità di costruire un nuovo accordo, radicato sui territori e sulle liste locali, per evitare i limiti di patti poco ancorati alla società civile.

In ultima istanza, la crisi francese mette ancora una volta in evidenza un nodo centrale, quello della perdita di fiducia nelle élite e nelle procedure di rappresentanza tradizionali. Se Macron e Lecornu intendono davvero rigenerare la loro capacità di governare, non basteranno cosmetiche modifiche di metodo. Servono scelte economiche che invertano la tendenza alla concentrazione della ricchezza, investimenti pubblici che rilancino il lavoro e i servizi, e un dialogo che non si limiti alla forma ma incida sul merito delle decisioni. Se la sinistra saprà trasformare l’esplosione di rabbia sociale in un progetto concreto e credibile, la congiuntura potrà assumere il carattere di un vero punto di svolta; in caso contrario, la tensione sociale rischia di trascinare l’intero quadro istituzionale in una fase di imprevedibile instabilità.

20/09/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: wikicommons

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L'Autore

Giulio Chinappi
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