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Cos’è l’estremismo? Il caso dei referendum dell’8 e 9 giugno

Estremismo di sinistra e opportunismo di destra, avventurismo e battaglia per l’egemonia. Analizziamo queste categorie.


Cos’è l’estremismo? Il caso dei referendum dell’8 e 9 giugno Credits: Angelo Caputo

L’estremismo si manifesta quando le scelte tattiche non derivano dalla situazione reale e concreta, ma vengono fatte discendere meccanicamente dalle leggi di tendenza. Questo rifiuto della realtà concreta e complicata della lotta politica viene visto da Lenin -il primo studioso che ha analizzato il problema dell’estremismo- come un modo per evitare responsabilità pratiche. È un atteggiamento comodo: si resta "puri" ma non si cambia nulla.

Da questo punto di vista, l’estremismo settario può diventare una scusa per non agire realmente, cioè un’opportunistica fuga dalla lotta politica, cercando di apparire ideologicamente puri. In questo senso, talvolta, al posto del termine "estremismo" si utilizza l’espressione opportunismo di sinistra, che si contrappone all’opportunismo di “destra” (intendendo qui la destra del movimento operaio), il quale invece dimentica le leggi di tendenza e si appiattisce sul realismo tattico, elevando a missione suprema il compromesso continuo, fino a sacrificare i principi in funzione di guadagni immediati. Ci sono varie gradazioni di estremismo: dalle sette che svolgono anche tanto lavoro pratico ma esclusivamente all’interno de, proprio recinto, fino a quelli che non svolgono nessun lavoro pratico limitandosi alla critica delle anime belle.

Cosa sono le leggi di tendenza?

Sono quelle leggi che agiscono sullo sfondo e che permettono di inquadrare la situazione concreta all’interno del processo storico: le guerre, i governi, gli Stati nazionali, le architetture sovranazionali non sono il frutto di un mero gioco geopolitico, né tantomeno del caos indistinto, ma piuttosto del complicato divenire della lotta tra le classi sociali.

Sono le leggi fondamentali che, per noi rivoluzionari, trovano la loro massima espressione nel materialismo storico-dialettico, nel marxismo, volendo semplificare. Senza la conoscenza di queste leggi non è possibile comprendere la storia; allo stesso tempo, però, un’interpretazione dogmatica di tali leggi può condurre all’estremismo.

È diffusa tra gli estremisti, infatti, la pratica di “schiacciare” queste leggi sulla realtà invece di “usarle” dinamicamente. Questo approccio dogmatico porta a una pratica settaria che si esprime attraverso la volontà di “tracciare linee” e “chiarificare i campi” — formule tipiche usate per distinguere i “puri e coerenti” dagli “impuri” o dagli opportunisti. “Le leggi dicono che esistono due classi in lotta”, afferma il dogmatico, “separate da una barricata”. E così, per il settario, la questione si riduce sempre e comunque a una scelta binaria e rigida: o si sta da un lato o dall’altro della barricata. A prescindere dalla realtà storica contingente, nessuna ambiguità è ammessa, nessuna zona grigia è contemplata — lo impone il manuale.

L’estremista ragiona così. In questo senso, diventano nemici senza distinzioni tra loro un sindacato di massa, un partito socialdemocratico, il parlamento borghese in generale, una forza liberale o un partito fascista. Tutte le grandi casematte della società moderna, seguendo questa linea settaria, vengono etichettate come “nemico di classe” e quindi poste nel campo avverso, dall’altra parte della barricata, con l’effetto sostanziale di indebolire il proprio campo, ridotto in tal modo a una setta perfino impossibilitata a fare politica in senso proprio.

Si dimentica sostanzialmente che, anche se la situazione può essere chiara o “chiarificata” nella testa di un’avanguardia, ciò non significa che lo sia anche per le masse popolari. Forse solo nelle fasi rivoluzionarie si verifica questo allineamento tra avanguardie e masse, ma nella maggior parte del tempo ciò non accade. Che la maggior parte del tempo e della politica si svolge proprio nella “zona grigia”.

Facciamo degli esempi concreti

In Italia, oggi, vi sono alcuni partiti di sinistra che in passato hanno tradito il proletariato (e probabilmente lo faranno anche in futuro), come il PD, per certi versi SI, il M5S, ecc. Oggi questi partiti sono all’opposizione, mentre al governo vi sono i neofascisti, che stanno gettando le basi per una terza repubblica bonapartista-regressiva, successiva alla seconda repubblica ordoliberista. Si tratta di un cambiamento qualitativo, non semplicemente quantitativo.

Un rivoluzionario concreto, pur riconoscendo senza dubbio la storia di questi partiti e la loro involuzione, il loro slittamento nella “base sociale”, ma consapevole della propria debolezza e del rischio maggiore che si corre con un governo fascista, cercherà di ampliare la propria azione politica costruendo un fronte di forze che possa portare nell’immediato alla caduta del governo fascista. L’estremista, invece, cosa dice? Che non c’è alcuna differenza tra PD, SI, M5S e Meloni. Il fascismo di Meloni è paragonabile a quello del PD: tutti stanno nello stesso calderone, sono nemici, e perciò bisogna camminare da soli, nella coerenza delle proprie idee sfidando tutti senza compromessi.

Esempio:  la politica delle alleanze

Prendiamo spunto da un episodio recente, avvenuto a marzo in occasione del lancio del programma di “riarmo europeo” e della guerra dei dazi. In quell’occasione si sviluppò un doppio movimento politico nella società italiana: da un lato, un gruppo di intellettuali borghesi interventisti tentò, tramite un proprio emissario (Michele Serra), di conquistare l’egemonia delle masse per indirizzarle sostanzialmente verso il riarmo, convocando una ambigua piazza “europeista”. Molti aderirono acriticamente, compresa, alla fine, anche la CGIL. Il moto di repulsione suscitato dall’appello di Serra portò alla convocazione di una piazza contrapposta: “piazza Barberini” a Roma. Secondo la lettura settaria, quella giornata avrebbe “chiarificato il campo”: tutti coloro che si trovavano a piazza del Popolo (PD, SI, CGIL, singoli attivisti) — così come chi ha scelto di non partecipare alla contro-manifestazione di piazza Barberini (come il M5S) — sarebbero da considerarsi senza se e senza ma nel campo avversario, quello dei “guerrafondai”.

Un rivoluzionario più accorto, però, non può liquidare quella piazza del Popolo come una “piazza guerrafondaia”. Forse lo erano gli organizzatori, ma certamente non la totalità delle masse presenti, essendo chiaro che la buona fede di moltissimi partecipanti è stata largamente manipolata. Una piazza davvero guerrafondaia è un’altra cosa: è un luogo dove un duce parla dal balcone, annuncia una dichiarazione di guerra e le folle lo acclamano con entusiasmo. Vi immaginate Michele Serra dal palco a dichiarare guerra, e un pensionato dello SPI-CGIL, giunto in piazza del Popolo con la bandiera della pace, esultare di gioia?

Per tornare alla politica delle alleanze vale la pena sottolineare una sottile ma sostanziale differenza nel tradimento operato da una forza socialdemocratica o social liberista e il tradimento di una forza della destra fascista. Questi tradimenti sono vissuti in modo differente dal “sentimento popolare”. In un caso il tradimento vive una gestazione complicata, genera una potenziale rottura tra base e vertice una “scissione” della quale può avvantaggiarsi una forza radicale se essa è saldamente ancorata alle masse lavoratrici attraverso le sue casematte. Il tradimento di una forza di destra ovviamente si ripercuote anch’esso in una perdita di egemonia anche se normalmente non è vissuto con rabbia ma piuttosto con disinteresse e passività. Lo vediamo al livello sindacale, ad esempio: un iscritto di un sindacato di destra normalmente non rimane così deluso dai posizionamenti filo padronali dei propri vertici, un iscritto alla CGIL quando i propri vertici tradiscono normalmente prova un sentimento di rabbia.

Scegliere da quale nemico farsi governare, dunque, quando non si ha la forza di eleggere dei propri rappresentanti, è comunque una scelta politica non indifferente.

Comunisti, sindacati e battaglia per l’egemonia.

I comunisti hanno scoperto con Lenin e Gramsci che nella società a capitalismo avanzato la battaglia per l’egemonia è più complessa e prevede un primo tempo più lungo caratterizzato dalla guerra di posizione. Durante questo primo tempo i comunisti devono accumulare forze e per far ciò entrano in contatto con le masse proletarie proprio nelle strutture create dalla stessa società borghese che nei vecchi paesi capitalistici è molto più strutturata e complessa. Approfittano cioè dei sindacati di massa, delle associazioni di massa dei partiti socialdemocratici di massa, delle scuole delle università, dei parlamenti e così via. Proprio all’interno di queste strutture i comunisti creano legami solidi cercando di smascherare l’opportunismo dei vertici e innalzando il livello di coscienza della base. Per quanto tempo si protrae questo lavoro? Dipende dalla grandezza e compattezza del partito dei rivoluzionari. Se il partito è composto da un adeguato numero di rivoluzionari, preparati e flessibili in grado di conquistare le casematte, i primi segni dell’egemonia iniziano a presentarsi in tempi abbastanza rapidi. Se ciò accade, la battaglia in queste strutture diventa sempre più complessa ma al tempo stesso più chiara e si determinano le prime forme di “scissione”: quando cioè il vertice opportunista perde la capacità di direzione. Se ad esempio esso appoggia una controriforma o tentenna dinanzi ad una lotta e la base avanza, scavalcando il vertice e lanciando la lotta dal basso, questi sono i primi segni di cedimento. Da questo punto di vista è un errore madornale assumere come dottrina la fuoriuscita dei comunisti dalle strutture di massa perché esse “non sono coerenti”, in quanto ciò porta solamente all’isolamento in una fase non rivoluzionaria. Un’avanguardia è tale se sta davanti ad una retroguardia, se sta da sola non è avanguardia, è un saggio eremita.

Un altro esempio concreto: i referendum sul lavoro e cittadinanza dell’8 e 9 Giugno.

Un rivoluzionario concreto capisce che si tratta di un passaggio importante, che da questo risultato potrebbero aprirsi nuovi scenari di lotta per il proletariato. Il miracoloso raggiungimento del quorum sarebbe una batosta per il governo Meloni e potrebbe contribuire ad aprire una crisi; al contrario, un risultato molto deludente darebbe vigore al governo, che a quel punto avrebbe ancora più slancio nell’attività repressiva e di violenza. E le prime a farne le spese sarebbero le forze che si ispirano al marxismo.

Un rivoluzionario concreto, dunque, si impegna in tutte le situazioni per fare coerentemente la più ampia campagna referendaria, tenendo per sé — e rimandando al dopo — la critica sacrosanta all’avventurismo di questa scelta referendaria e tutte le altre sacrosante critiche alla concezione stessa di questo strumento, che certo non può sostituire la lotta di classe.

Gli estremisti di sinistra, invece, proprio durante la campagna elettorale, scrivono pagine infinite di inchiostro: i più eruditi partono dal tradimento della CGIL durante il biennio rosso, altri dal pacchetto Treu, e nei loro lunghi articoli ci spiegano che le lotte non si fanno con i referendum, ma nelle strade e nelle piazze. Che la CGIL (cioè un sindacato di 5 milioni di iscritti) non è credibile, non è “rivoluzionaria” ma “opportunista”.

Nulla da eccepire sul piano astratto, e finché si tratta di pamphlet prodotti da giovani rivoluzionari, potremmo dire che siamo di fronte a una “malattia sana”, una malattia di crescita, direbbe Lenin. È anche un bene che un giovane sia infantilmente estremista. Il problema è quando lo sono i meno giovani.

Tra gli estremisti ci sono poi quelli che, attraverso ragionamenti eruditi, giungono persino a boicottare il referendum; altri invece, dopo aver “posto le questioni con chiarezza”, sostengono che comunque è un bene andare a votare, ma poi non fanno realmente campagna referendaria.

Ovviamente, sul piano politico, si tratta ancora una volta di trovare una copertura ideologica alla sostanziale apolitica delle anime pure. Come se una sconfitta al referendum potesse portare più persone a prendere coscienza, più persone nelle file dell’avanguardia e nei sindacati conflittuali. Al contrario, una sconfitta in questa tornata referendaria porterà tutti a fare diversi passi indietro.

Cos’è l’avventurismo?

È il cercare e creare le condizioni per uno scontro aperto, per una guerra di movimento, senza che vi siano gli adeguati rapporti di forza. Esempio: questo referendum è una scelta avventurista.

L’opportunismo di destra

Gli opportunisti di destra, invece, che tutto sommato trovano giovamento nelle condizioni offerte dal capitalismo, hanno abbandonato lo spirito dell’utopia, e si sono accomodati nei comodi scranni di qualche parlamento o di qualche dirigenza di partito o sindacale e il massimo che riescono a concepire come forma di lotta sono le “elezioni borghesi”. Come se una “X” su una scheda elettorale potesse portare al rovesciamento del sistema capitalistico, ammesso che ciò sia ancora di qualche interesse per costoro.

23/05/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: Angelo Caputo

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