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Heidegger (videolezione)

Proseguiamo con la pubblicazione delle videolezioni del corso La distruzione della ragione: per la critica delle ideologie filosofiche moderne e contemporanee conservatrici e reazionarie tenuto dal prof. Renato Caputo per l’Università popolare A. Gramsci.


Segue da: Da Gentile a Heidegger (videolezione) uscito sullo scorso numero de “La Città Futura”.

Come ricordava Lenin non esistono, come l’attuale ideologia postmoderna vorrebbe farci credere, tanto differenti visioni del mondo. Al contrario, esse si riducono, quando non ci si ferma alle parvenze empiriche, a fondamentalmente due: l’ideologia dominante, volta a preservare i privilegi della classe di sfruttatori al potere e la concezione scientifica del mondo, di cui avrebbe bisogno la massa di sfruttati per uscire dalla condizione tradizionale di oppressione. A questo scopo, di contro allo spontaneismo piccolo borghese, che non fa che declinare in salse diverse il vecchio mito del buon selvaggio, i subalterni sono tali proprio perché egemonizzati dal pensiero unico dominante. Da qui il ruolo essenziale non dell’intellettuale tradizionale, più o meno consapevolmente al servizio della classe dominante, ma di un intellettuale collettivo organizzato in un partito di quadri rivoluzionario in grado di divenire comunista, ovvero avanguardia del proletariato, in quanto riesce a divenire egemone fra gli oppressi e sfruttati mediando una visione del mondo antagonista a quella delle classi dominanti.

D’altra parte, come già sapevano i giovani Marx ed Engels, l’ideologia dominante è sempre l’ideologia della classe dominante. Per cui sino a quando i rivoluzionari non conquisteranno il potere, la loro capacità di egemonia sugli sfruttati è sempre a rischio. Inoltre, i subalterni, oppressi e sfruttati, difficilmente hanno la possibilità di formarsi una visione del mondo autonoma e per questo finiscono generalmente per dipendere da intellettuali del blocco sociale dominante che tradiscono la loro classe di provenienza, magari perché sono in via di proletarizzazione o semplicemente per comprendono dal punto di vista della filosofia della storia quale sia l’unica alternativa alla crisi di civiltà a cui il capitalismo ci sta conducendo. D’altra parte tali intellettuali non sono sempre affidabili, sia perché nei momenti decisivi del conflitto di classe tendono a ripiegare nelle classi di provenienza, sia perché generalmente mantengono del loro modo di pensare elementi dell’ideologia dominante. Perciò è essenziale che i subalterni siano in grado, per uscire da questa condizione di oppressione, di elaborare intellettuali a loro organici.

Alla formazione di questi ultimi è decisiva, in primo luogo, una critica dell’ideologia dominante, per poter elaborare una visione del mondo antagonista. Non a caso Marx ha inserito come sottotitolo, volto a chiarire la funzione della sua opera fondamentale, Critica dell’economia politica. Tale opera resta decisiva per contrastare l’ideologia dominante al decisivo livello delle strutture economiche e sociali. D’altra parte, come sottolinea Gramsci, gli individui sviluppano la propria coscienza socio-politica a livello delle sovrastrutture e la battaglia che si combatte nel loro campo per l’egemonia sulla società civile è decisiva per le sorti della Rivoluzione in occidente. Quindi, come contributo alla lotta di classe sul piano delle sovrastrutture, abbiamo pensato di iniziare quest’anno accademico dell’Università popolare Antonio Gramsci con un corso di taglio filosofico-politico dedicato alla critica dell’ideologia dominante (conservatrice e/o reazionaria) dalla prima metà del diciannovesimo secolo ai nostri giorni.

Questa controstoria del pensiero filosofico e politico dominante, in quanto assunto come proprio dalla classe al potere, prende spunto dall’importantissimo studio pionieristico in questo campo di György Lukács: La distruzione della ragione. Per sottolineare il nostro debito con questo grande classico del marxismo filosofico abbiamo utilizzato anche noi questo titolo per il nostro corso.

Muovendo da Lukács, sulla base di una analisi della storia del pensiero filosofico e politico dal punto di vista del materialismo storico e dialettico, cercheremo di mostrare come gli intellettuali borghesi, che dall’autunno del medioevo alla conquista del potere da parte della borghesia – con la Rivoluzione industriale e la lunga Rivoluzione francese 1789-1871 – avevano svolto una decisiva lotta progressista e rivoluzionaria dal punto di vista delle sovrastrutture contro aristocrazia, alto clero e, infine, assolutismo monarchico, una volta che la borghesia diviene stabilmente classe dominante, tendono a sviluppare posizioni sempre più conservatrici. Tale tendenza è accelerata e radicalizzata dal fatto che la borghesia per sconfiggere il vecchio blocco sociale costituito intorno alla monarchia assoluta da aristocrazia e altro clero ha dovuto costituire, nel corso dei secoli della sua lotta per il potere, un blocco sociale antagonista di cui dovevano far parte, in funzione subordinata le masse popolari, come indispensabile base di manovra per fronteggiare il monopolio della violenza legale da parte della classe dominante.

A questo scopo gli intellettuali borghesi, non essendoci ancora intellettuali organici alle classi popolari, nella loro lotta contro il potere e l’ideologia dominante avevano dovuto sviluppare un pensiero politico-filosofico in grado di mobilitare anche le masse popolari. Queste ultime, essendo per la prima volta dotate di strumenti intellettuali e partecipando per la prima volta da protagoniste ai grandi conflitti rivoluzionari, sebbene egemonizzate ancora dalla borghesia, non accettano poi di tornare a essere la plebe sempre all’opra china senza ideali in cui sperar. Non potendo più contare come prima sugli intellettuali borghesi, che li avevano anche spinte a insorgere, tenendole al contempo sempre sotto l’egemonia borghese, le masse popolari hanno cominciato a elaborare intellettuali a esse organici, di pari passo al progressivo sviluppo del moderno proletariato urbano.

Per continuare a leggere la presentazione del corso: vai al link: La distruzione della ragione.

L’esistenzialismo

L’esistenzialismo si afferma fra le due guerre mondiali. In esso convergono il soggettivismo e nichilismo di Nietzsche e la religiosità di Kierkegaard, che viene riscoperto. 

Heidegger influenza l’esistenzialismo pur dichiarandosi per l’ontologia

L’opera chiave di Heidegger Essere e tempo (1927) ha avuto grande influenza sull’esistenzialismo novecentesco anche se Heidegger nella Lettera sull’umanismo (1947), in polemica con Sartre, nega la propria appartenenza all’esistenzialismo in quanto ritiene che per lui il problema centrale sia sempre stato quello dell’essere (problema ontologico) e non quello dell’esistenza. 

Vita e posizioni storico-politiche

Martin Heidegger (1889-1976), dopo aver studiato ed esordito come studioso della scolastica è allievo del neokantiano Rickert e poi di Husserl, di cui diviene assistente, sino a prenderne il posto all’università di Friburgo. L’appello alla salvezza dell’occidente dinanzi alla Rivoluzione d’ottobre è il filo conduttore dell’adesione di Heidegger al nazismo e del successivo lealismo nei confronti del regime. Con la Rivoluzione d’ottobre si diffonde nelle classi dominanti la paura del tramonto dell’occidente e questo non solo in Germania, ma anche negli altri paesi occidentali; la Rivoluzione d’ottobre viene letta e denunciata dalla parte destra della classe dominante come un complotto ebraico-bolscevico (secondo il topos dell’ebreo internazionale e apolide). Così quando nel 1933 Husserl è cacciato in quanto ebreo dall’università, Heidegger iscritto al partito nazista ne divenne rettore

Heidegger e il nazionalsocialismo

L’incontro con il nazismo non va considerato come un qualcosa di accidentale, anche se era destinato a incrinarsi a causa del radicalismo estremo dell’antimodernismo di Heidegger, che come quello di Nietzsche era una sorta di radicalismo aristocratico. Troppo spesso si è confusa la sua conclamata inattualità, che lo porta a criticare da destra il nazismo, perché troppo intriso di modernità, quale sinonimo di un atteggiamento impolitico, finendo con il considerare l’incontro con il nazismo come un incidente di percorso. Non si può considerare impolitico, infatti, un filosofo che sin dai suoi scritti giovanili è sempre stato impegnato a denunciare la modernità. L’ermeneutica dell’innocenza ha preteso di interpretare la sua critica alla modernità come limitata alla critica al pensiero calcolante, dimenticando che l’alternativa alla modernità viene ricercata da Heidegger nella volontà di potenza, che almeno per un certo periodo si è incarnata nel nazismo, a questo punto anche Heidegger può essere trasfigurato in un profeta del postmoderno e dell’ecologia. In realtà la denuncia della modernità politica non si ferma in Heidegger al comunismo e al socialismo, ma investe come in Nietzsche la democrazia e la stessa tradizione liberale.

L’appello agli studenti tedeschi e la comunità

L’ermeneutica dell’innocenza, che come nel caso di Nietzsche si sforza di interpretare ogni decisa presa di posizione reazionaria del filosofo in modo metaforico, può poco dinanzi a discorsi come quello del 3 novembre 1933, dal titolo Appello agli studenti tedeschi, in cui il rettore Heidegger si espresse in questi termini: “non teoremi e idee siano le regole del vostro vivere. Il Führer stesso e solo lui è la realtà tedesca dell'oggi e del domani e la sua legge”. Più tardi nei corsi del 1934-35 Heidegger insiste sul tema della comunità: l’autentica comunità (contrapposta alla società moderna illuminista) è definita dall’intreccio indissolubile del “destino” di tutti i suoi membri. Qui Heidegger si richiama a Fichte ed è in linea con la Kriegsideologie, ma è pur vero che in Heidegger questo tema assume una forma più radicale, perché si configura come vero cameratismo che trova il proprio fondamento nella terra e nel sangue (tema centrale della propaganda nazista).

01/01/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo