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Hegel e il tragico

Il superamento determinato e dialettico da parte del giovane Hegel della tradizione illuminista e kantiana


Hegel e il tragico Credits: http://www.lachiavedisophia.com/blog/appunti-sul-concetto-hegeliano-di-liberta/

 io m'attengo a quest'idea,
che lo Spirito del mondo ha dato al tempo l'ordine di avanzare;
tale comando è stato eseguito;
questa essenza s'avanza come compatta falange corazzata,
irresistibilmente e con un movimento impercettibile come quello del sole.

Per connotare l‘epoca della riflessione filosofica che ha rilanciato, nei primi decenni del novecento, l’interesse per l’opera hegeliana – rinnovandone radicalmente la ricezione – si è parlato di una vera e propria rinascita della filosofia di Hegel. In particolare, grazie allo storicismo tedesco, s’intraprendeva unrigoroso riesame della filosofia di Hegel, che segnava una netta cesura con le precedenti letture caratterizzate da critiche demolitrici o da toni apologetici [1]. Si è, a tal proposito, parlato di una vera e propria “svolta negli studi hegeliani dovuta a Dilthey e al suo programma di studiare il pensiero di Hegel in modo genetico, storico-filologico; una svolta, per altro, che in Dilthey e i suoi seguaci corrisponde al privilegiamento dello Hegel ‘giovane’ assertore di una concezione ‘panteistica’ della ‘vita’, rispetto allo Hegel maturo irretitosi e irrigiditosi nelle maglie del sistema” [2]. Dal momento che, precedentemente, era largamente diffusa la convinzione che l’essenza della filosofia di Hegel consistesse precisamente nel “sistema”, cui per altro si attribuiva una sostanziale definitività e conclusività rispetto all’intero corso della filosofia. Non si può certo dimenticare che l’intero ottocento, dai grandi protagonisti delle polemiche anti-hegeliane ed anti-idealistiche, alla diffusione dell’hegelismo o, addirittura, alla fioritura di forme di neohegelismo nelle più diverse aree culturali, ha avuto precisamente come termine di riferimento e di confronto lo Hegel “sistematico”.

Con la notevole eccezione di buona parte della sinistra hegeliana, che aveva già intrapreso questo cammino cercando di distinguere, come è noto, il metodo dialettico dal sistema speculativo, l’analisi più distaccata e filologicamente attenta dello storicismo ha permesso di disarticolare ciò che sino ad allora poteva apparire un sistema monolitico da rigettare o accettare in toto. Ciò ha, altresì, portato a riflettere, per la prima volta in modo non finalistico, sul processo di formazione della filosofia di Hegel. La ricerca di un‘origine vitale dell’opera hegeliana, in seguito soffocata da una maturità sistematica – che allora appariva irrevocabilmente datata e stantia – ha portato a ricercare e pubblicare i dimenticati manoscritti giovanili. Si giunse così alla riscoperta di un giovane Hegel, radicalmente diverso da quello della precedente tradizione interpretativa e – almeno così apparve – decisamente più al passo con i tempi.

D’altra parte, come non di rado avviene, la sana esigenza di rinnovare l’interpretazione di un filosofo, per adeguarla ai tempi o liberarla dalle precedenti incomprensioni, ha finito col produrre – al di là degli indubbi risultati positivi – una nuova vulgata interpretativa. Di fatto il tentativo di individuare l’originale apporto filosofico di Hegel, sin nei suoi primi scritti, ha avuto come risultato, il più delle volte, un intervento forzato – se non traviante – sull’interpretazione dei testi, non solo sullo spirito, ma anche sulla loro lettera.

Ne è emerso – anche a causa delle discutibili scelte editoriali compiute da Herman Nohl, nella pur meritoria pubblicazione degli Scritti teologici giovanili (1907) – uno Hegel “diverso”: teologo, vitalista, panteista o persino romantico e mistico, come lo definirà Galvano Della Volpe. La perdita di buona parte degli scritti giovanili di politica, economia, storia e filosofia ha naturalmente favorito tale tendenza, ma va anche osservato che fra gli stessi testi conservati la selezione operata da Nohl è avvenuta in maniera discutibile, con un’enfasi rivolta solo a determinati aspetti dei manoscritti – magari decontestualizzati – o favorendo interpretazioni decisamente unilaterali.

Questa linea interpretativa ha, tuttavia, avuto l’indubbio merito di stimolare studi analitici anche sui primi anni della formazione hegeliana, trascorsi nella natia Stoccarda. Nei fatti trascurate dalla precedente critica, tali ricerche hanno prodotto un risultato inatteso: l’immagine di uno Hegel “diverso”, più originario è stata fortemente ridimensionata e la pertinenza dell’interpretazione vitalistica, di fondo irrazionalista, ha cominciato a mostrare i suoi limiti anche per le fasi successive della formazione hegeliana [3].

Gli studi relativi ai primi anni della formazione hegeliana, dotandosi di strumenti filologici sempre più accurati, hanno paradossalmente finito per rivalutare alcune delle intuizioni dei primi interpreti hegeliani, troppo in fretta abbandonate all’inizio del XX secolo. Così, negli ultimi anni diversi studiosi hanno fatto propria l’opinione del primo biografo hegeliano Karl Rosenkranz, a parere del quale: “la formazione di Hegel era dal punto di vista dei princìpi assolutamente basata sull’illuminismo” [4]. Per limitarci alla criticaitaliana vogliamo ricordare un rilevante studio sul giovane Hegel: R. Finelli, Mito e critica delle forme. La giovinezza di Hegel (1770-1801), Roma, Editori Riuniti 1996, p. 3 ss, oltre al sempre valido studio di C. Lacorte, Il primo Hegel, Firenze, Sansoni 1959, sotto diversi aspetti la più fedele e puntuale ricostruzione della formazione hegeliana fino a Berna. Gli stessi excerpta di questi anni – un’enorme raccolta di estratti divisi per argomenti che Hegel portava sempre con sé – pubblicati ora nel terzo volume dell’edizione critica, sono il più delle volte relativi ad autori del tardo illuminismo tedesco quali: J.H. Campe, I.G.H. Feder, C. Garve, A. Kästner, G. E. Lessing, M. Mendelsohn, F. Nicolai e J. Sulzer, per limitarci ai maggiori. Inoltre, minimo comune denominatore delle apparentemente sparse annotazioni del diario giovanile – una fonte preziosa per ricostruire la formazione hegeliana tra il Giugno 1785 e il Febbraio 1787 – è certamente la cultura illuminista. Come scrive uno dei maggiori interpreti del giovane Hegel: “in definitiva questo Diario ginnasiale, sebbene opera di un giovanetto quindicenne, si presenta come un documento prezioso, che dà indicazione precisa sulle due direzioni fondamentali in cui la prima formazione di Hegel si stava incamminando: quella della cultura classica e quella dell’ideologia illuminista. Né certo poteva essere altrimenti negli anni 1785-1787” [5]. Ha osservato, sempre a tal proposito, Lacorte: “si potrà stabilire, in linea di massima, che la formazione culturale di Hegel fra gli anni 1785-1788 era tutta radicata ed ambientata sul terreno della cultura del tardo illuminismo tedesco” [6].

Oppure, in modo altrettanto paradossale, si è tornati a concordare con quanto sostenevano – con finalità certo opposte – Rosenkranz e Rudolf Haym, sulla base di manoscritti oggi solo in parte conservati, ovvero che la formazione di Hegel è stata relativamente lenta e laboriosa e non ha prodotto opere di particolare rilievo filosofico. Come osservava a ragione Lacorte, si tratta di “un periodo dell’attività di Hegel che i primi studiosi hanno per lungo tempo trascurato, nella convinzione implicita – e sostanzialmente esatta – che lo sviluppo del pensiero di Hegel non mostri troppo evidenti soluzioni di continuità, e che le sue prime tendenze e formulazioni non costituiscano delle espressioni particolarmente significative e rilevanti per svelare il senso remoto, ma più genuino e profondo, riposto nel sistema maturo” [7]. Ed ancora, richiamandosi non a caso proprio all’interpretazione predominante nel XIX secolo, “non senza ragione, i critici dell’800 avevano sottolineato la straordinaria capacità recettiva e la vastità delle letture e degli interessi del giovane autore, senza fornire altra caratterizzazione della personalità di questi, che non fosse quella di una laboriosa maturazione culturale, la quale prepara, senza soluzione di continuità, gli sviluppi dell’età matura” [8].

Cercheremo ora – sulla base di dati filologicamente più attendibili e soprattutto grazie al lavoro svolto dai curatori della nuova edizione critica – di tracciare un quadro introduttivo dell’ambiente culturale in cui Hegel si è venuto formando, facendo emergere gli elementi che concorreranno a caratterizzare nello specifico la sua concezione del tragico. In questo tentativo sarà necessario superare la rigida contrapposizione fra quella parte della Forschung che ha creduto di scorgere sin dai primi passi di Hegel una rottura con la cultura della sua epoca e quella che, in reazione troppo netta alla prima, ha giudicato del tutto secondari gli elementi – necessariamente poco sviluppati – di autonoma rielaborazione di questo patrimonio. In altri termini, si tratta di ricusare tanto l’idea che rappresenta il giovane Hegel come fautore di una concezione vitalistica, interamente volta a contrastare lo spirito illuministico dell’epoca, quanto quella che lo considera unicamente un pedissequo epigono del tardo illuminismo tedesco; è importante distinguere, per quanto possibile, ciò che in questa produzione appare come una semplice ripetizione della vulgata filosofica del tempo, da quanto costituisce un pur timido distacco da essa, un suo ripensamento critico.

Inoltre, ci sembra che queste opposte linee interpretative finiscano per convergere sottolineando – sulla base di un assunto ermeneutico non ancora sufficientemente sottoposto al vaglio critico – come Hegel abbia sviluppato una riflessione autonoma solo in seguito a una radicale cesura con la cultura illuminista e la filosofia critica, divergendo unicamente nella collocazione storica di questo momento. In definitiva anche i più severi e acuti critici della linea interpretativa diltheyana, come da noi Mirri, finiscono semplicemente per spostare i limiti temporali della rottura con la filosofia critica alla fase francofortese. Si tratta, dunque, di una differenza più di tipo quantitativo, che qualitativo.

Questo assunto, come cercheremo di dimostrare, ci sembra oggi discutibile, in quanto per un verso è portato ad evidenziare l’aspetto d’identità, a tutto discapito della differenza specifica, nel rapporto fra illuminismo e filosofia kantiana, per l’altro considera la presa di distanza critica da parte di Hegel da questa tradizione filosofica come un processo di negazione semplice. A nostro parere, invece, il confronto con queste correnti e più in generale con la tradizione filosofica si articola nell’opera hegeliana nel più complesso processo dialettico della negazione dialettica e determinata, in cui al momento del superamento si accompagna necessariamente quello della conservazionedegli aspetti maggiormente significativi delle elaborazioni precedenti.

Note:

[1] A questo proposito, notava esemplarmente Wilhelm Dilthey: “l’epoca della lotta con Hegel è finita, è arrivata quella della sua conoscenza storica. Essa deve in primo luogo vagliare ciò che è caduco da ciò che rimane.” W. Dilthey, Gesammelte Schriften, XV, a cura di U. Hermann, Göttingen, 1979, p. 315.
[2] V. Verra, Introduzione a Hegel, 5 ed, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 3.
[3] La stessa interpretazione degli scritti di Francoforte, certamente la più persuasiva prodotta da questa linea ermeneutica diltheyana, è stata sottoposta a revisioni critiche anche sostanziali.
[4] K. Rosenkranz, Georg Wilhelm Friedrich Hegels Leben, Berlino 1844, Neudr. Darmstadt 1963, tr. it. La vita di Hegel, Firenze 1964, p. 32
[5] E. Mirri, Introduzione alla sua traduzione degli hegeliani Scritti giovanili I, Guida, Napoli 1993, pp. 27-8.
[6] C. Lacorte, op. cit., p. 16.
[7] Ivi, p. 5.
[8] Ivi, p. 292.

27/09/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo
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