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I segreti di Wind River

Un bel film pienamente godibile e che lascia non poco su cui riflettere allo spettatore.


I segreti di Wind River Credits: https://www.taxidrivers.it/102514/film/2018/i-segreti-di-wind-river-di-taylor-sheridan-una-nuova-e-interessante-narrazione-del-mito-della-frontiera-fondativo-della-cultura-americana.html

I segreti di Wind River di Taylor Sheridan, Usa 2017, voto: 8-

Al momento è il film migliore che abbiamo visto fra quelli usciti in sala in questo 2018 [1]. Non è certo un capolavoro assoluto, né pretende di esserlo, ma in questa epoca di crisi strutturale e sovrastrutturale, produttiva e distributiva riuscire a vedere un bel film in prima visione, con un perfetto equilibrio fra forma e contenuto, entrambi di buon livello, non è cosa da poco. I segreti di Wind River è un avvincente thriller, con uno sfondo sociale realistico nella migliore tradizione del noir, contribuisce al necessario sano revisionismo del genere western e, più in generale, del “mito americano della frontiera”, mostrando come ancora oggi siano presenti i suoi pesantissimi costi sociali, nei confronti in primo luogo delle popolazioni native. Infine, pone al centro del film un tema finalmente divenuto centrale nel dibattito attuale, ossia il tema della violenza sulla donna e più in generale del femminicidio.

Abbiamo, quindi, come necessaria base di partenza, merce purtroppo sempre più rara ai nostri giorni, un solido e intrigante plot, una avvincente storia, profonda e realistica di denuncia rispetto a una terribile piaga sociale, che si tende erroneamente a considerare come un triste ricordo del passato: le tragiche condizioni in cui sono costretti a sopravvivere i nativi e le ancora più drammatiche condizioni in cui sono troppo spesso costretti a perire i settori più deboli, ovvero anche in questo caso le giovani donne. Non a caso il regista, al suo primo film, si è già affermato nel mondo del cinema prima come attore e poi, soprattutto, come sceneggiatore, di cui ha dato ottima prova di sé nel bel film di D. Villeneuve Sicario e in Hell Or High Water con cui ha conquistato la nomination come miglior sceneggiatura nel 2017 ai premi Oscar, Golden Globe e Bafta.

I segreti di Wind River, dopo esser stato presentato con successo al Sundance – festival del cinema indipendente fondato e ancora diretto da Robert Redford – si è guadagnato il premio come miglior regia al Festival di Cannes nel 2017 nella sezione Un Certain Regard. La sua distribuzione ha subìto, paradossalmente, una improvvisa battuta di arresto dopo lo scandalo che ha travolto il produttore cinematografico statunitense Weinstein, che si era affermato come produttore di film impegnati e alternativi, prima di essere messo, a ragione, all’indice come molestatore seriale di lavoratrici del cinema. Questo ha costretto il regista ad acquistare le quote di Weinstein – la restante parte era stata finanziata da una comunità di nativi amerindi – per poter consentire lo sblocco della distribuzione del film, dando generosamente la sua parte di introiti proprio a un’associazione di nativi che cerca di contrastare la violenza sulle donne.

Si tratta di una questione quanto mai importante e misconosciuta, dal momento che si conducono inchieste sulle sparizioni di donne di qualsiasi settore demografico a eccezione proprio delle native, che sono, per altro, generalmente le più deboli e indifese e di cui lo Stato o chi per lui non si cura nemmeno di monitorare il numero delle scomparse. Da questo punto di vista la denuncia del film è tanto più importante. Anche perché, in primo luogo, sottolinea – proprio riprendendo alcuni aspetti del classico film western – il lato oscuro del mito della frontiera, che ancora oggi continua a pesare drammaticamente sui pochi sopravvissuti al genocidio degli amerindi. In secondo luogo perché appunto non si sofferma su un caso particolare, sebbene la storia prenda spunto da tragici eventi realmente accaduti, ma ha un valore tipico e di denuncia, in quanto non tratta di un caso estremo, di un caso limite, ma di eventi che accadono troppo spesso in una landa desolata e inospitale, dove manca qualsiasi stimolo culturale o forma di svago, dove la stessa socialità diviene difficile e le autorità statali e civili sono quasi del tutto assenti e, comunque, distanti e in generale incapaci di comprendere lo sfondo sociale e culturale in cui tali delitti trovano il loro fondamento.

In tal modo anche i criminali, pur macchiandosi, di gravi delitti restano comunque umani. I loro crimini, per quanto imperdonabili, sono comunque anche il prodotto di un ambiente ostile, in cui un popolo o dei lavoratori salariati sono relegati e in qualche modo banditi dalla vita civile. L’ambiente naturale, per quanto possa apparire bello nella sua purezza selvaggia e incontaminata, non solo costituisce un pericolo reale per chi è costretto a viverci, ma rende difficili gli stessi rapporti sociali. I sopravvissuti fra gli amerindi sono costretti a sopravvivere in un ambiente sociale dove non è l’uomo a dover preoccuparsi di salvaguardare l’ambiente che lo circonda, ma che ha bisogno di aiuto per poter sopravvivere, nelle sue arretrate condizioni economiche, anche dinanzi alle belve selvagge, che qui non sono specie in via di estinzione da proteggere, ma costituiscono un pericolo reale per lo stesso misero allevamento di sussistenza dei nativi.

Ciò li rende ancora più vulnerabili dinanzi ai pericoli portati dagli “invasori bianchi”. Sono innanzitutto deboli dinanzi alla penetrazione delle droghe, anche qui introdotte e diffuse con la stessa funzione per la quale sono state utilizzate nei ghetti neri, ossia per tenere in uno stato di perenne subordinazione quella plebe moderna che non avrebbe nulla da perdere se non le proprie catene. D’altra parte, per poter sopravvivere, si vedono generalmente costretti a cedere sovranità sulle stesse lande desolate in cui sono stati confinanti agli interesse predatori del capitalismo, che mira a sfruttarne le risorse naturali o l’extra-territorialità per impiantare qui casinò che l’ipocrita puritanesimo statunitense proibisce al proprio interno.

Ecco così che gli stessi criminali che si macchiano vigliaccamente di violenze sulle indifese donne native, sono in generale anch’essi vittime del sistema, dello sfruttamento, della mancanza di cultura e di valori che caratterizza la società di cui sono figli. Si tratta ancora una volta di una squallida e vigliacca guerra fra poveri, in cui l’incapacità di prendere coscienza di qual è la vera causa della propria vita disumana, di un lavoro alienante, l’incapacità a uscire dal proprio individualismo o dal proprio comunitarismo primitivo, quasi da “branco” porta a sfogare la propria impotente rabbia sociale sui più deboli e indifesi, anche a causa dei radicati pregiudizi razziali e maschilisti che la società imperialista non solo non contrasta, ma più o meno consapevolmente favorisce.

Interessante anche il realistico scavo psicologico dei personaggi che ci appaiono decisamente più contraddittori, complessi e interessanti di quelli tutti di un pezzo generalmente prodotti dall’industria culturale. Abbiamo così il protagonista maschile che, per quanto possa sembrare il classico uomo che non deve chiedere mai, vive un profondo disagio per l’estrema difficoltà di poter imparare a convivere con un terribile dolore, di cui al contempo non ci si può che sentire almeno in parte corresponsabili, visto che ognuno, in ultima istanza, è artefice del proprio destino. D’altra parte abbiamo la protagonista femminile, bionda giovane e bella e, al contempo in questa complessa situazione, la più alta rappresentante delle istituzioni, costretta a pagare a caro prezzo la propria inesperienza e la propria incapacità a riconoscere e, quindi, a entrare in comunicazione con l’altro, qui rappresentato dal nativo. Abbiamo, infine, una significativa riflessione sulla necessità di imparare a convivere con il dolore, che un grave lutto necessariamente comporta. La necessità di rielaborare il lutto e, quindi, in qualche modo di accettare come inevitabile il dolore che ne deriva, si dimostra essenziale per conservare e far rivivere al proprio interno ogni aspetto positivo che, quanto abbiamo per sempre perduto, ci ha trasmesso. In tal modo l’accettare di fare i conti con la perdita definitiva di una parte di te è anche il passaggio necessario per far rivivere, nel proprio presente, quanto di buono ciò che abbiamo perduto ci ha dato nel passato. In fin dei conti si tratta proprio di ciò che la sinistra non è riuscita a fare, dopo la sconfitta storica nella guerra fredda.

Certo resta, tra i limiti del film, la presenza di due eroi “visi pallidi”, necessari ai nativi per fare giustizia di delitti che altri “visi pallidi” hanno commesso nei confronti della comunità amerinda. Se, dunque, vi è anche un elemento di realismo, considerato che le condizioni sociali rendono estremamente complesso ai nativi riuscire non solo a difendersi, ma a ottenere giustizia da soli, resta comunque un limite quello di dover prendere come protagonista ed eroe un WASP. D’altra parte si tratta di un eroe WASP decisamente sui generis, in quanto è non solo in grado di riconoscersi pienamente nel tragico destino dei nativi, ma è in grado di abbandonare, di tradire il proprio essere in sé WASP, per divenire per sé parte di quel popolo dei vinti, degli umiliati e degli offesi a cui si sente, spiritualmente, di appartenere.

Anzi, in qualche modo, il suo farsi giustizia da sé, in modo privato e sommario, se da un tratto non può che richiamare lo stilema fascistoide del giustiziere della notte, dall’altra è anche volto a rivendicare la superiorità spirituale della vittima nativa nei riguardi del carnefice WASP, anche nei confronti di quella prova suprema costituita dal riuscire a umanizzare anche ciò che di più estraneo e negativo possa esserci, ossia la propria stessa morte causata dalla violenza altrui.

Certo resta il limite, davvero difficilmente superabile nel cinema americano, dell’eroe individualista, cavaliere solitario che si fa vendetta da sé, vista la completa mancanza di fiducia nello Stato, anche se – in questo caso – con le parziali attenuanti di una situazione di estrema marginalità di cui, nei fatti, lo Stato preferisce lavarsi le mani, ossia la penosa condizione in cui è stata ridotta la comunità degli amerindi. Va, infine, ricordato il sentirsi del protagonista, nella propria missione, il rappresentante “spirituale” di un popolo oppresso dallo stesso popolo cui appartiene per natura.

Note

[1] Classifica dei film usciti nelle sale in questi primi mesi del 2018

I segreti di Wind River di Taylor Sheridan, Usa 2017, voto: 8-

Omicidio al Cairo di Tarik Saleh Egit 2017, voto: 7,5

The post di Steven Spielberg, Usa 2017, voto: 7,5

Il giovane Karl Marx di Raoul Peck, Fra 2017, voto: 7+

Lady Bird di Greta Gerwig. USA 2017, voto: 7+

Un sogno chiamato Florida di Sean Baker Usa, voto: 7-

Ready Player One di Steven Spielberg, Usa 2018, voto: 7-

La forma dell'acqua - The Shape of Waterdi Guillermo Del Toro, Usa 2017, voto: 6,5

Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson, Usa 2017, voto: 6,5

Un sacchetto di biglie di Christian Duguay Fra, 2017, voto: 6,5

Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh USA, Gran Bretagna 2017. voto: 6+

Tonya di Craig Gillespie Usa 2017, voto: 6+

Quello che non so di lei, di Roman Polanski Francia, Belgio, Polonia 2017, voto: 6+

Una donna fantastica, di Sebastian Lelio, Cile 2017, voto: 6+

L’ora più buia di Joe Wright, Gran Bretagna 2017, voto: 6

Hostiles - Ostili di Scott Cooper Usa 2017, voto: 6

The silent man di Peter Landesman Usa 2017, voto: 6-

Ore 15:17 - Attacco al treno di Clint Eastwood, Usa 2017, voto: 4,5

Loro 1 di Paolo Sorrentino, Italia 2018, voto: 4.

Chiamami con il tuo nome di Luca Guadagnino, Usa 2017, voto: 3

Sono tornato di Luca Miniero, Italia 2018, voto: 2,5

Io sono tempesta di Daniele Luchetti, Italia 2018, voto: 2.

28/04/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo
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