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Essere e tempo e l’ideologia della guerra

Di contro a Habermas, Losurdo mostra i profondi legami fra Essere e tempo di Heidegger e l’ideologia della guerra che sarà il brodo culturale da cui sorgerà il nazionalsocialismo


Essere e tempo e l’ideologia della guerra Credits: https://www.corriere.it/cultura/14_marzo_14/heidegger-antisemita-vero-nazista-7687d310-ab5b-11e3-a415-108350ae7b5e.shtml

Segue da Heidegger e l’ideologia della guerra

2.8. Essere e tempo e la Kriegsideologie [ideologia della guerra]

Domenico Losurdo critica a ragione la tesi di J. Habermas che colloca la trasformazione della filosofia di Heidegger da teoria in ideologia (reazionaria e poi filo-nazista) nel 1929. Ciò gli consente di “salvare” il capolavoro del primo Heidegger, Essere e tempo (1927), dalla successiva politicizzazione in senso reazionario del suo pensiero. In realtà, secondo Losurdo, i temi cari alla ideologia della guerra sono presenti già in Essere e tempo e, quindi, non c’è una netta rottura nello sviluppo del suo pensiero nel 1929. In effetti ritroviamo in Essere e tempo il tema caro alla Kriegsideologie del “destino comune” (Geschick) che non può secondo Heidegger essere inteso come “la somma dei singoli destini (Schicksal), allo stesso modo che l’essere-assieme non può essere inteso come una semplice somma di singoli soggetti”. Si tratta al contrario di una comunità organica, ovvero della Gemeinschaft in cui il singolo ha senso solo come parte del tutto, pensata in contrapposizione alla Gesellschaft, l’individualistica società civile liberale, secondo uno schema ideologico anch’esso desunto dall’ideologia della guerra.

Altro tema centrale di quest’ultima presente nel capolavoro heideggeriano è l’esaltazione misticheggiante dell’essere per la morte, in grado di dare un senso alla vita altrimenti inautentica dell’uomo comune, del filisteo che si esprime in modo conformistico nella forma impersonale del si [man]. Perciò, Heidegger scrive: “il si non ha il coraggio dell’angoscia davanti alla morte”; al contrario il saper guardare in faccia la morte è considerato, in linea con la l’ideologia della guerra, il presupposto del costituirsi dell’esistenza, dell’individualità nella sua autenticità. La sfera pubblica del si [man] si configurerà esplicitamente negli scritti successivi come la società moderna [Gesellschaft] criticata dalla Kriegsideologie in nome della restaurazione della comunità etica antica antecedente alla libertà dei moderni. Del resto già in Essere e tempo la critica del si, sulle orme di Nietzsche, si configura come critica della modernità, dell’uomo odierno, dell’ultimo uomo (in termini nietzschiani) che, tra l’altro, ha delle implicazioni politiche profonde in chiave reazionaria, in quanto implica, con il venire meno dell’essenza generica, il risorgere dell’originaria contrapposizione fra superuomini e sotto uomini. Altri tema ricorrente è la contrapposizione tra la paura codarda del filisteo dinanzi all’esperienza mistica della morte e l’angoscia che rappresenta l’essere-per-la-morte propria solo di un esserci [Dasein] deciso, che non conosce la paura. Ciò ricorda, oltre al superuomo nietzschiano, il tema della meditatio mortis proprio della ideologia della guerra.

Occorre inoltre ricordare la contrapposizione in Essere e tempo tra il concetto chiave della preoccupazione/cura [Sorge] in contrapposizione alla sicurezza (Sicherheit) o Sorglosigkeit (securitas) del filisteo liberale. La centralità di questo tema è presente anche in Spengler, che intende la cura [Sorge] come sentimento originario costitutivo dell’anima occidentale, che comporta la custodia, il prendersi cura della tradizione e la volontà di futuro in contrapposizione al carpe diem, all’abbandono privo di cura all’attimo e ai suoi accidenti. In Heidegger troviamo il rapporto tra cura, decisione e essere per la morte sempre in contrapposizione alla vita del si massificato e della quotidianità inautentica dell’uomo comune, che si rivela come un affaccendarsi volgare e privo di preoccupazione/cura, in quanto tutto rivolto alla ricerca del suo opposto, della comodità come assenza di preoccupazione/cura (45-52) [1].

  1. Tedeschi, europei, zingari e paupani

 

3.1. “Storicità” e negazione del concetto universale di uomo

A partire dalla grande guerra si diffonde in Germania una sorta di nominalismo antropologico teso a confutare il concetto universale di uomo, passaggio indispensabile a restaurare in politica interna una società rigidamente gerarchica e per giustificare una politica estera imperialista. Non a caso gode in questi anni di notevole fortuna in Germania il pensiero del primo grande critico reazionario della Rivoluzione francese: E. Burke che, alla decisiva proclamazione dei diritti dell’uomo nella sua universalità da parte della Francia rivoluzionaria, contrappone i diritti ereditari dell’Inghilterra che rinviavano non all’umanità, ma a una comunità peculiare storicamente determinata. Tale contrapposizione all’idea universale di uomo – in quanto tale portatore di diritti naturali – di una particolare comunità nazionale i cui diritti-privilegi dipendono dall’appartenenza storica a un determinato gruppo sociale la ritroviamo in tanti esponenti tedeschi dell’ideologa della guerra come Sombart, Troeltsch, Moeller van den Bruck, Meinecke e, persino, Manheim nel 1927, nei travagliati anni della Repubblica di Weimar, allorché pullulano le correnti conservatrici e antirivoluzionarie. Tali temi non potevano mancare in Spengler, per il quale l’umanità è un concetto zoologico, è una vuota parola, l’uomo concreto non è mai privo di una storia – segnata dall’appartenenza a una comunità nazionale e a un gruppo sociale. Secondo Junger i diritti universali debbono essere considerati estranei all’anima tedesca. Un altro pensatore reazionario ampiamente ripreso e citato negli anni dell’ideologia della guerra è de Maistre, che critica appunto il concetto universale di uomo scaturito dalla rivoluzione francese, con l’argomento di aver conosciuto tedeschi, francesi, italiani ecc., mentre non avrebbe mai incontrato l’uomo (53-55).

La Prima guerra mondiale, interpretata come una crociata da parte dell’Intesa per la diffusione della democrazia negli Imperi centrali, poi la rivoluzione russa con il suo programma di unificare il mondo attraverso il comunismo, poi il crollo degli Hohenzollern e degli Asburgo, la creazione della Società della Nazioni che, con le sue parole d’ordine universalistiche, avrebbe svolto una funzione antitedesca, tutto ciò finisce col produrre in Germania una situazione favorevole al rigetto di qualsiasi idea universalistica considerata come una minaccia all’ordine costituito, ai rapporti sociali esistenti, alla tradizione storica e culturale. La Kulturkritik, impegnata da tempo a denunciare la massificazione, il livellamento e l’omologazione del mondo moderno, si salda così con il conservatorismo politico, con le più o meno legittime preoccupazioni nazionali e con l’esagitazione sciovinista e revanscistica. (55)

Mentre tutto un mondo sembra crollare insieme agli imperi centrali e si diffonde tra gli intellettuali tradizionali la paura per il tramonto dell’occidente e con esso della stessa civiltà appare più possibile continuare a collegare la categoria di storia a quella di continuità e di sviluppo graduale, seguendo Burke in contrapposizione alle concezioni rivoluzionarie. La coscienza storica appare ora, agli intellettuali borghesi, tutta da riconquistare, di contro alla massificazione e al livellamento della società moderna andrebbe, dunque, recuperata la dimensione autentica dell’esistenza. D’altra parte già nello stesso Burke vi era la celebrazione della concreta tradizione nazionale e della categoria della peculiarità di contro a ogni universalismo, considerato un preludio alla aborrita democrazia (55-56).

Anche Heidegger è decisamente ostile a ogni forma di universalità, dall’umanità, all’internazionale, alla stessa cattolicità, cui contrappone un nominalismo antropologico ereditato da Nietzsche, che si rifaceva al dibattito della scolastica sugli universali e alle critiche nominalistiche volte a contrastare l’astrattezza dei concetti generali. Nietzsche polemizza soprattutto con il concetto di uomo e il suo sviluppo storico, in particolare dal cristianesimo al socialismo (56).

Tenendo presente questo contesto storico culturale è possibile risolvere anche l’apparente contraddizione tra l’analitica esistenziale e il pathos per la comunità organica che emerge in Essere e tempo. Il punto di partenza della stessa analitica esistenziale non è mai, in realtà, l’elemento comune e unificante l’umanità ma, al contrario, la peculiarità irriducibile del singolo e della nazione che ne costituisce il destino. La stessa categoria dell’esserci [Dasein] enfatizza il qui e l’ora e mira a negare il genere; in effetti, secondo Heidegger, la vita è sempre vissuta hic et nunc, in una determinata situazione storica e spirituale, che non può essere scelta dall’individuo in quanto ci si trova gettato dentro e che costituisce il suo destino. Heidegger è convinto che parlare di genere in riferimento all’uomo comporterebbe la riduzione di quest’ultimo a semplice ente intramondano, a cosa; tesi singolare secondo Losurdo, in quanto così facendo Heidegger nega la categoria di umanità, che è il solo fondamento possibile dell’affermazione di diritti che competono all’uomo in quanto tale. Tra l’altro Heidegger si pone ancora una volta sulla scia di Nietzsche, il cui atteggiamento nominalistico è finalizzato a negare la qualifica di persona alla maggior parte degli esseri umani. Per quanto riguarda Heidegger è da tener presente anche l’influenza di Kierkegaard (57), tra l’altro a sua volta impegnato nella lotta al livellamento proprio dei tempi moderni, all’appiattimento e all’omologazione a livello di rapporti politici e sociali, nella consueta prospettiva del ribellismo aristocratico. Da parte sua Heidegger fa valere l’irriducibile singolarità dell’esserci sia per quanto riguarda l’individuo che per una determinata comunità umana, con il risultato che venendo a mancare qualsiasi istanza superiore, sopranazionale, capace di abbracciare tutti gli uomini, l’individuo finisce per essere risucchiato nella comunità storica determinata di cui si trova a far parte, sulla base del suo presunto destino (58).

La stessa categoria di “storicità”, così centrale in Essere e tempo, manterrà la medesima importanza nei pensatori nazionalsocialisti, in primis in C. Schmitt nel quale il pathos della comunità storico-concreta va di pari passo con la aperta lotta finalizzata alla negazione dei diritti dell’uomo. Per altro anche ideologi nazisti quali Bohm, riprendono la contrapposizione presente in Essere e tempo fra la latina Historie e la germanica Geschichte, ora utilizzata per liquidare la Repubblica di Weimar appena abbattuta come “tempo del sapere storiografico” della Historie, di contro al nuovo regime hitleriano interpretato come tempo dell’autentica “coscienza storica”, della Geschichte (59).

3.2. “Storicità”, differenza, “lotta”

Negli autori dell’ideologia della guerra e in Heidegger la categoria di storicità è strettamente collegata a quella di lotta, al rifiuto della sicurezza liberale e dell’affratellamento universale. La storicità, la peculiarità, la differenza vengono considerate insuperabili, non sono pensabili culture diverse che convivano pacificamente, ciò infatti significherebbe presupporre un’istanza universale, una giustizia superiore, che per questi autori, che si richiamano a Nietzsche, significherebbe un mancato riconoscimento della ineliminabile disuguaglianza, fra uomini, gruppi sociali e nazioni (60-63).

Note:
[1] I numeri fra parentesi tonde si riferiscono alle pagine del testo qui recensito: La comunità, la morte, l’occidente. Heidegger e l’“ideologia della guerra”, di Domenico Losurdo, Bollati Boringhieri, Torino 1991.

20/10/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo
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