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Razionalità e irrazionalità della spesa

I piani di “razionalizzazione” della spesa pubblica non hanno nulla di realmente razionale.


Razionalità e irrazionalità della spesa

I piani di “razionalizzazione” della spesa pubblica, elaborati dall’attuale governo in continuità con i precedenti, non hanno nulla di realmente razionale anzi, nei fatti, emerge con chiarezza tutta l’irrazionalità di cui sono frutto. Tuttavia i lavoratori, mancando di una visione autonoma e ampia, assumono come razionale l’unico punto di vista che, inevitabilmente, è quello della parte dominante.

di Pasquale Vecchiarelli

Era la primavera del 2014 quando Renzi, con al fianco la botticelliana Madia, sentenziava che la riforma della PA “è una questione di efficienza e non di soldi” e che per la riforma “parleremo con tutti ma poi decideremo noi”. Ovviamente non hanno parlato con nessuno, tantomeno con i sindacati, benché la cosa non avrebbe favorito certo sorti migliori e, a distanza di un paio di anni, iniziano ad arrivare i primi frutti amari della riforma.

La spesa pubblica in Italia non è più alta di altri Paesi europei di dimensioni paragonabili e il servizio pubblico italiano garantisce ancora oggi, nonostante tutte le inefficienze create ad arte per distruggerlo e privatizzarlo, il funzionamento di un complesso apparato di servizi come scuola-sanità-trasporti necessari alla tenuta del Paese. Bisognerebbe rafforzare questi servizi con l'erogazione di cospicue risorse finanziarie destinate al reclutamento, mediante contratti a tempo indeterminato, di lavoratori giovani e formati, invece si persegue la strada opposta: si smantella per svendere.

Il caso: il piano di razionalizzazione degli spazi

Nel solco della revisione di spesa si inserisce il piano di razionalizzazione degli spazi della pubblica amministrazione [1]. La situazione che va delineandosi è quella di una progressivo rilascio e accorpamento di sedi che costringono i lavoratori a spostamenti di massa, in taluni casi di oltre 50 km, per recarsi nel nuovo posto di lavoro. Il piano è complesso da esaminare nel dettaglio perché molte informazioni sono riservate e inoltre è architettato in modo da nascondere bene il progetto strategico di fondo.

Dopo mesi di battaglie che alcuni sparuti gruppi di lavoratori stanno portando avanti con difficoltà, è forse giunto il momento di provare a fare un’analisi più generale del problema, altrimenti il rischio è quello di rinchiudere la visuale nel recinto angusto e tortuoso delle pieghe burocratiche, finendo per non cogliere la generalità dell’operazione al quale il piano è sotteso, il che avrebbe notevoli ripercussioni sulla elaborazione di una valida strategia di lotta.

Cosa non ci dicono del piano

Uno dei rischi maggiori che si corre rimanendo incastrati nei mille rivoli del piano è quello di non vedere la totalità dell’azione all’interno della quale esso si sviluppa. Tale totalità può essere colta analizzando congiuntamente tre elementi a mio avviso essenziali: la progressiva riduzione di personale nella PA, la riduzione degli spazi del 30% e, quindi, il vincolo più stringente che lega gli spazi al personale.

Il conto annuale del pubblico impiego parla chiaro: negli ultimi anni ci sono state riduzioni pesanti di personale, in alcuni comparti (vedi ministeri) si è perso circa il 15% del personale stabile. Gli unici settori della PA che non subiscono decurtazioni significative di personale sono le forze di polizia e le forze armate; queste ultime in particolare aumentano il loro personale stabile e, quindi, il loro peso relativo nell’apparato statale. Dunque, il quadro generale è quello di una accelerazione del processo di disarticolazione delle funzioni statali nella direzione, tutta made in USA (Renzi questo non lo nasconde), di una PA ridotta all’osso nelle sue funzioni (meglio se svolte dai militari) dove la maggior parte dei servizi vengono privatizzati.

All’interno di quest’ottica va inquadrato il piano di ridimensionamento della struttura. Negli USA li chiamano Federal Buildings, palazzi dove vengono centralizzate tutte le funzioni pubbliche. Aggiungiamo che non è dato sapere con facilità a quanto ammonta realmente il valore di quel 30% di spazi che verranno liberati e “valorizzati”; si sa solo che una parte relativamente piccola del ricavato, il 10%, ritornerà nelle disponibilità della PA andando ad alimentare un apposito fondo al MEF.

Non si tratta, quindi, né di una manovra di risparmio né di un semplice taglio della spesa pubblica (che peraltro è relativamente più bassa se confrontata con quella di altri Paesi europei), ma siamo di fronte ad una precisa scelta politica di smantellamento dell’apparato statale.

Come lottare

Osservando il problema nella sua generalità appare evidente che le singole (poche) battaglie territoriali che i lavoratori hanno messo in campo per difendere le proprie sedi, ancorché necessarie, difficilmente risulteranno efficaci se non sono in grado di congiungersi in una unica battaglia nazionale. È indispensabile mettere in campo una forza all’altezza dello scontro e questo può essere fatto solo da un’organizzazione dei lavoratori cha abbia una dimensione nazionale e una struttura organizzativa capillarmente diffusa.

Purtroppo i vertici dell’unica organizzazione sindacale che ha queste caratteristiche, la CGIL, non hanno alcun interesse a configgere realmente con la linea renziana e, dunque, non c’è stata nessuna reazione degna di nota, eccezion fatta per il coraggio e l’eroismo di alcune frange della base.

Brevi conclusioni sull’importanza del sindacato, la differenza base-vertice e il ruolo che in esso giocano i comunisti

Non ci si può limitare ad invocare la razionalità per condannare l'irrazionalità [3]. C’è bisogno di lottare.

Una organizzazione sindacale, sebbene burocraticamente solida, tende alla frammentazione sostanziale nel momento in cui nella sua base non vi è la possibilità di sviluppo per una visione ampia, profonda e generalizzata dei problemi.

La frammentazione consiste nello scollamento all’interno del blocco di base e il sorgere all’interno di esso delle tendenze allo spontaneismo, all’eroismo e alla rassegnazione, tendenze che a volte si presentano combinate tra di loro anche tra le frange più attive.

In assenza di una direzione consapevole il movimento spontaneo della lotta, oltre a presentare dei cambi di direzione a volte persino favorevoli al nemico, non consente la tesaurizzazione della sconfitta. Non solo, la violenta pressione mediatica del pensiero dominante, che dipinge il lavoratore come tendenzialmente fannullone, causa di ogni male e di ogni crisi, unita alla mancanza di una elaborazione coscienziale autonoma, consente lo sviluppo di una falsa coscienza nella quale appare persino giusto che ci siano dei sacrifici ai quali sottostare. La spending review, ad esempio, assume per alcuni i connotati di una medicina, sì amara ma tutto sommato utile.

Ogni base ha il vertice che si merita. È un esercizio troppo semplice quello di limitarsi ad altisonanti dichiarazioni di tradimento dei vertici. Non v’è dubbio che essi tradiscano, attirati dal richiamo dei lauti compensi elargiti dal nemico; ma tradiscono nella misura in cui manca una pressione antagonista forte della base sindacale. Dunque, il circolo vizioso che porta alla frammentazione annovera anche questo tra i suoi frutti amari: più c’è frammentazione della base più c’è tradimento dei vertici. Ma la capacità della base di esercitare una pressione sul vertice è, a sua volta, legata alla capacità di avere una propria visione autonoma del mondo che, a sua volta, non può prodursi in assenza di un partito di avanguardie organizzate in grado di elaborare una visione totale e alternativa e di portarla all’interno della base.

A sua volta, il partito di avanguardie organizzate, per essere tale e per poter sviluppare una visione realmente autonoma, oltre ad una teoria forte, deve avere i propri “sensori” o cellule all’interno del movimento; di qui la duplice fondamentale importanza della presenza organizzata e coordinata dei comunisti nel sindacato (che sia il più grande possibile ove vi sia la possibilità di agire dal basso): da un lato, c’è la necessità di favorire lo sviluppo di una base cosciente e quindi il dissociarsi della base dal vertice mediante la chiarificazione della realtà e la lotta contingente; dall’altro, quella di uno scambio organico tra teoria e prassi, necessario all’intellettuale collettivo per la battaglia in funzione dell’egemonia.

Note:

[1] Il Piano di razionalizzazione della logistica e degli spazi previsto dalla Spending Review (avviato nel 2009 e ripreso per ulteriori modificazioni dalla L. 23 giugno 2014, n. 89 art.24) prevede, a partire dal 2016, la riduzione del 50% delle locazioni passive, per un risparmio totale a regime di 120 milioni, e una riduzione del 30% degli spazi utilizzati negli immobili dello stato. Viene fissato un tetto massimo di 20 metri quadrati per dipendente. Dal piano sono esclusi gli spazi assegnati al Ministero della Difesa, ai presidi di pubblica sicurezza, i penitenziari e il soccorso pubblico. Il piano viene sostanzialmente spiegato in questi termini: c’è una sproporzione tra metri quadrati disponibili e numero di impiegati pubblici e quindi bisogna ridurre gli spazi iniziando dalle locazioni passive che, escludendo il Ministero della Difesa, gravano per circa il 40% degli spazi occupati. Dunque, la ratio è accorpare le funzioni e il personale sgravando la pubblica amministrazione dai costi di gestione/locazione.

[2] Ad esempio se il piano si limitasse ad una partita di giro tra rilascio delle sole locazioni passive e nuove acquisizioni, assicurando risparmio nel bilancio e contemporaneamente la tenuta delle funzionalità di tutta l’articolazione statale, a parte le lamentele dei piccoli proprietari, potrebbe essere un piano discutibile.

[3] Cfr. Stefano Garroni, I Comunisti e il sindacato

04/03/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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