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Perché modificare la Costituzione?

Di fronte ai nuovi tentativi di modificare parti importanti della Costituzione del 1948, proviamo a porci alcune domande fondamentali.


Perché modificare la Costituzione?

Di fronte ai nuovi tentativi di modificare parti importanti della Costituzione del 1948, proviamo a porci alcune domande fondamentali: la democrazia produce le condizioni materiali che consentono il libero esercizio dei diritti civili e politici? O, piuttosto, presuppone che esse già esistano? E se queste condizioni non ci sono? Possiamo costruirle insieme?

di Laura Nanni

ART. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Questo è uno dei dodici articoli fondamentali ed è sufficiente a spiegare cosa c’è che non va, per i governanti di oggi, nella nostra Costituzione. Vorrei dare parola ad alcune riflessioni, fatte da sola o insieme alle/agli studenti, per cercare di comprendere i motivi di una situazione in cui, ogni giorno, vediamo offesa e mutilata la condizione sociale e reale della democrazia. Una democrazia presuppone l’esistenza nella società di una condizione basilare di eguaglianza cioè una condizione di benessere riguardo la risposta ai bisogni primari, quella condizione che consente l’esercizio dei diritti civili e politici.[1]

La Democrazia presuppone, dunque, non produce le condizioni materiali che consentono il libero esercizio dei diritti civili e politici. E se queste condizioni non ci sono? Perché non facciamo in modo di costruirle insieme? Come possiamo tradire così i principi fondamentali…?

La storia ci dice che, qualche decennio fa, probabilmente si è pensato che sarebbe stato sufficiente diffondere i diritti di partecipazione, politici e di voto, per fare in modo che la democrazia si radicasse e si diffondesse da sé. Insieme all’allargamento della partecipazione, si sarebbe dovuto diffondere il valore dell’eguaglianza come uno scopo da perseguire, così da fare in modo che non ci fosse un eccesso di diseguaglianza in campo economico perché a tutti doveva essere garantito il diritto alla soddisfazione dei bisogni primari e alla dignità della vita.

L’idea di democrazia, per chi si occupa direttamente di politica, dovrebbe implicare quella dedizione per la Cosa pubblica che significa un lavoro costante cui votarsi affinché non vi siano degli esclusi apriori, anzi affinché i molti partecipino dei beni disponibili e tutti abbiano il necessario.

Dopo le dittature e dopo le due guerre mondiali, sembrava che il riconoscimento dei valori democratici avesse prevalso su tutto, anche nella parte di mondo in cui l’imperialismo e il capitalismo avevano trovato la loro affermazione quasi incontrastata. Capitalismo e Democrazia, sembrava, potessero camminare insieme, sembrava che insieme potessero portare un benessere diffuso e specialmente che l’impegno nel progresso tecnologico avrebbe consentito il sollevamento dell’umanità dai lavori più ingrati e più pesanti, così come lo sviluppo di quelle aree del pianeta ancora indifese di fronte alle calamità naturali e alla povertà. Ma... così non è andata, lo vediamo.

La crisi di democrazia all’interno della crisi economica in cui viviamo da qualche anno lo dimostra. E questo è il motivo per cui negli ultimi anni oltre ai marxisti, un po’ assopiti, si sono aggiunti molti altri alla ripresa degli studi marxiani sul capitalismo, perché, che questo sistema economico di matrice liberista non vada d’accordo con la democrazia, non lo può negare nessuno.

Sappiamo che in Italia, nonostante la promulgazione della Costituzione (il primo gennaio del 1948) a cui avevano lavorato insieme Comunisti, Socialisti, Democratici, Cattolici e tutte le forze che avevano combattuto nella Resistenza, il governo - nella persona del presidente De Gasperi - aveva già dovuto provvedere all’estromissione della componente comunista. La richiesta proveniva dagli USA - nella persona del presidente Truman - tema dell’incontro avvenuto agli inizi del 1947 in cui si promettevano aiuti economici, quegli aiuti programmati poi dal piano Marshall con cui gli Alleati intervenivano ancora una volta per la ripresa economica dell’Europa.

Tutto questo excursus per arrivare a dire che allora quell’imposizione, quell’esclusione ha avuto un peso e conseguenze importanti per la mancata e piena attuazione della nostra Costituzione. E vorrei rilevare che le sono mancati molti tra i suoi sostenitori più determinati; la migliore delle costituzioni non può nulla se gli uomini che la mettono in pratica sono corrotti o si corrompono o non ne sono a misura.[2]

La democrazia ha bisogno di una vitalità e di un continuo dialogo, di una verifica nel confronto tra governanti e governati; come dice Rousseau nel contratto sociale, non termina nel momento in cui il Contratto viene stabilito, ci deve essere per il popolo la possibilità di controllo e di intervento, per modularlo secondo le esigenze contingenti e i cambiamenti reali, altrimenti il popolo torna ad essere suddito. Infatti: “La sovranità appartiene al popolo…” è scritto nell’ art. 1 della nostra Costituzione. “La prima e la più importante conseguenza dei principi fin qui stabiliti è che solo la volontà generale può dirigere le forze dello Stato secondo il fine per cui esso fu istituito, che è il bene comune; infatti, se l’opposizione degli interessi privati ha reso necessaria l’istituzione della società, è l’accordo di questi stessi interessi che l’ha resa possibile. È ciò che vi è di comune fra questi differenti interessi che forma il vincolo sociale; e se non ci fossero alcuni punti sui quali tutti gli interessi si accordano, nessuna società potrebbe esistere. Ora è sulla base di questo interesse comune che la società dev’essere governata.” (da Il contratto sociale di Jean-Jacques Rousseau, cap. I, La sovranità è inalienabile).

Tra i dieci punti necessari alla democrazia di cui Zagrebelsky scrive nel suo testo, vorrei citare il sesto: La diffidenza verso le decisioni irrimediabili. Proprio perché all’origine mi aveva fatto venire molti dubbi. Poi mi si è svelato il significato al rigo in cui è scritto che: la strada per dire ’ci siamo sbagliati’ deve essere sempre aperta. Già, perché le scelte irreversibili hanno qualcosa a che fare con le soluzioni finali, definitive, che non consentono riflessione e correzioni laddove ci si accorge che non si sono tenute in conto variabili o si sono acquisiti nuovi elementi. Se non si ammette la replica, non si accetta il dialogo, non si consente di avere il tempo per riflettere per aggiustare qualcosa e per migliorarlo, dato che è possibile farlo solo nella relazione e nel dialogo, cosa caratteristica invece della democrazia. La scelta irreversibile è tipica dell’autoritarismo che non cerca né il confronto né la verifica del suo operato al di là della sua propria esistenza.

Note:

[1] Concetto espresso da Gustavo Zagrebelsky in Imparare democrazia; Einaudi 2007

[2] G. Zagrebelsky, op. cit.

26/02/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Laura Nanni

Roma, docente di Storia e Filosofia nel liceo. Fondatrice, progetta nell’ A.P.S. Art'Incantiere. Specializzata in politica internazionale e filosofia del Novecento, è impegnata nel campo della migrazione e dell’integrazione sociale. Artista performer. Commissione PPOO a Cori‐LT; Forum delle donne del PRC; Stati Generali delle Donne.

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