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Elezioni regionali, qualche riflessione in ordine sparso

A poche ore dallo scrutinio, una riflessione sui risultati e sulle prospettive future. L’irrilevanza elettorale dei comunisti alle elezioni politiche non può essere occultata dietro a risultati incoraggianti registrati in qualche città. 15 Regioni su 20 sono amministrate dal centrodestra, le altre 5 dal centrosinistra dell’autonomia differenziata.


Elezioni regionali, qualche riflessione in ordine sparso

Elezioni concluse con un sostanziale pareggio: tre regioni al centrodestra e tre al centrosinistra, arretramento elettorale della Lega, avanzamento di Fratelli d'Italia, crollo del Movimento 5 Stelle che perde in pochi anni due terzi dei consensi, tenuta del Pd e parziale recupero dei voti del centrosinistra.

Alcune zone tradizionalmente a sinistra registrano una preoccupante avanzata delle destre. Ma chi ha vinto alla fine? La sostenibilità del capitale e un’uscita capitalista dalla crisi che guarda ai soldi europei per portare avanti quei processi di ristrutturazione già avviati con Industria 4.0, con lo smart working nel lavoro privato e in quello pubblico.

È innegabile la crisi del Movimento 5 Stelle che in due anni ha perso due terzi dei consensi raggiunti con le elezioni del 2018, l’inizio della parabola discendente (ancora lunga) di Salvini in un Paese nel quale tuttavia 15 Regioni su 20 sono governate dal centrodestra.

In alcune regioni i comunisti si sono presentati con più liste raggiungendo nel migliore dei casi poco più dell’1% dei consensi, una frammentazione non superabile da listoni o convergenze elettoralistiche dell’ultimo momento. E in Toscana la lista di sinistra attorno al candidato Fattori passa dal 6,4 al 2,4% non entrando nel Consiglio regionale dove era presente con due consiglieri.

Alcuni partiti hanno strombazzato i risultati come consensi reali dentro un'ottica elettoralistica che stride con l’incapacità di portare avanti un’iniziativa costante nei luoghi di lavoro e nelle realtà sociali; aumentare di poche migliaia di consensi (con un voto identitario per lo più) può essere una strada percorribile, ma resta la scarsa incisività politica di questi percorsi.

Abbiamo analizzato i dati elettorali a Pisa e provincia appurando il recupero del centrosinistra nelle zone ZTL e in misura minore nei quartieri popolari. Le aree della provincia nelle quali il Pci superava il 40% dei voti vedono invece ancora diffusi i consensi verso le destre, frutto di anni di governo locale del Pd che hanno scontentato i ceti popolari.

In questo contesto la polarizzazione tipicamente maggioritaria tra i due schieramenti si è accentuata con il crollo del Movimento 5 Stelle per il quale la non-democrazia del sorteggio resta la soluzione praticabile per la loro mera sopravvivenza.

La vittoria schiacchiante del Sì al Referendum è un segnale preoccupante se non fosse che tra gli alfieri del No troviamo anche partiti  e gruppi di potere sostanzialmente conservatori che la Costituzione non hanno difeso ma affossato anno dopo anno attraverso il Partito unico del pareggio di bilancio nella Carta e i principi di sostenibilità finanziaria a gestire Regioni ed enti locali.

E in prospettiva l’ennesima riforma del sistema elettorale per soddisfare gli appetiti di potere dei vincenti di turno, magari con sbarramenti elettorali che lasceranno fuori dalla rappresentanza milioni di cittadini che voteranno piccoli partiti e raggruppamenti che meriterebbero, con il proporzionale puro, una presenza negli organi rappresentativi.

È evidente la disaffezione di parti rilevanti della popolazione alle contese elettorali, sicuramente ha pesato la pandemia ma soprattutto la distanza tra i settori popolari e i propri rappresentanti istituzionali.

Si sta andando verso un sistema americano nel quale metà della popolazione non partecipa al voto?
Le coalizioni di centrosinistra si sono alleate attorno a candidati impresentabili alle masse popolari, rappresentanti di interessi che con le classe lavoratrici hanno poco da spartire.

Il richiamo ideologico e identitario con la falce e martello non arriva al 2% dei voti; se poi guardiamo ai voti reali è innegabile che qualche partito comunista registri perfino un arretramento di voti rispetto alle elezioni regionali, a dimostrare che il bacino di consensi alle forze comuniste è sempre più risicato e residuale.

Che fare allora? Intanto dovremmo liberarci dalla necessità della presenza elettorale concentrandoci per lo più sulla presenza dei comunisti nei luoghi di lavoro e nelle realtà sociali; serve uno sforzo di umiltà perchè riconquistare consensi non sarà facile. Quartieri popolari dove il Pci prendeva il 45% oggi continuano a votare a destra e quando esprimono consensi a sinistra votano candidati che sosterranno politiche sociali devastanti per le classi subalterne.

La santa alleanza contro la Lega è la riedizione di quanto accaduto con l’Ulivo in funzione antiberlusconiana, se poi sposi le stesse politiche di austerità della controparte quei consensi ben presto saranno perduti.

Non sappiamo se una Costituente comunista o Stati generali siano francamente realizzabili, ma serve  comunque un radicale cambiamento di prospettiva, passare dal richiamo ideologico alla falce e martello a un programma minimo sul quale impegnarci a partire dall’internità alle lotte sindacali e sociali.

Sarebbe forse una prima e importante inversione di tendenza per superare l' elettorale e la supponente superiorità dei chiacchieroni ideologici; farlo da subito presuppone per tutti e tutte un bagno di umiltà e la comprensione di quanto sta accadendo oggi in Italia e in Europa.

06/10/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Federico Giusti
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