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Cosa vuol dire un Governo Draghi?

Il mondo della finanza, ufficialmente al potere col governo Draghi, tenta di salvare il sistema capitalistico morente, in contraddizione con la distruzione del genere umano e del pianeta stesso che tale sistema implica strutturalmente.


Cosa vuol dire un Governo Draghi?

Un governo Draghi – e non solo per l’Italia – non può che voler dire due cose: o la spietata clava del neo-neoliberismo che tenta in extremis di salvare il capitalismo con i soliti vecchi mezzi, o la gentile (e forzata) mano di una indispensabile politica sociale atta pur sempre a salvare il sistema capitalistico. Quest’ultimo, oggi, è virtuale come non mai: si trova in una dimensione mediana fra il vecchio e il nuovo, fra quelle forze del capitalismo dominanti prima della pandemia e quelle forze supposte (ma sconosciute) di un imminente nuovo scenario geopolitico. Il governo Draghi, qui, è l’emblema del capitalismo che intende salvare se stesso, anche a costo di dover agire al di là delle privatizzazioni e a favore dello Stato, dei cittadini.

Mario Draghi, ex governatore della Bce, divenendo premier fonde in modo definitivo e formale la politica e la finanza; fusione questa che plasma il volto di un nuovo status quo e dà origine a una nuova era globale. Con ciò non si vuole intendere che prima dell’avvento di Draghi o della pandemia di Covid la politica non fosse già, in qualche modo, fusa con la finanza o addirittura da questa sostituita; si vuole invece dire che l’atto formale dell’investitura (da premier) è ciò che più di ogni altra cosa rende tale commistione lapalissiana, evidente al punto tale da essere innegabile e fortemente interiorizzata dal singolo cittadino. I giuochi politici, lo show dei Renzi e così via, si pongono semplicemente al servizio del volere del capitalismo che, esanime, mette in moto tutti i propri mezzi (politica, finanza, salute, cultura ecc.) per salvarsi la pelle. Se ci sia o meno una precisa volontà/strategia politica da parte di chi ha innescato la crisi di governo non è importante, in quanto, per i fini più alti del capitalismo, questi sono solo mezzi che esulano dalla volontà del singolo e vertono verso la volontà universale (che, fino a questo preciso momento, corrisponde alla volontà del capitalismo). Perciò, il punto non è se l’azione sia stata più o meno pianificata, se ci fosse o meno già prima un disegno precostituito, bensì solamente che c’è stata e che ha risvolti ben precisi.

Ciò che oggi accade in Italia, con molta probabilità, accadrà, forse in modi diversi, anche nel resto del mondo. La pandemia, infatti, è uno di quegli eventi che la storia non passa in sordina, ma che, al contrario, fa la storia. Essa è la cosiddetta – e tanto attesa – goccia che fa traboccare il vaso; e il vaso in questione non è il capitalismo ma il mondo intero (inteso esattamente come pianeta Terra). Il capitalismo ha riempito questo vaso talmente tanto che esso non può più contenerlo e, di conseguenza, lo rigetta perché soverchiante. A questo punto rimangono due soluzioni: o si cambia il vaso o si getta l’acqua. Se l’acqua in questione fosse pura, se fosse limpida, allora avrebbe senso cambiare il vaso, invece essa è putrida e il suo putridume rischia di far marcire anche il vaso. Ergo, l’acqua va cambiata.

Ma che l’acqua vada cambiata il capitalismo non lo sa – o meglio, non vuole saperlo, non lo accetta – e dunque prova fino all’ultimo a costruire le condizioni della sua sopravvivenza. Il problema, però, è che le condizioni della sua sopravvivenza equivalgono, né più né meno, allo sfacelo totale del mondo intero. La questione ambientale, la questione economico-sociale e la questione biologica (della vita dell’intera razza umana) superano di gran lunga le pretese del capitalismo e si battono affinché tali pretese spariscano nel nulla. Ciascuna di tali questioni, però, non è prettamente il frutto della volontà degli esseri umani di vivere e vivere meglio (o quanto meno di sopravvivere decentemente a ciò che ci attende) bensì emergono come conseguenze dirette delle stesse misure capitalistiche attuate sino ad oggi, le quali, seguendo ciecamente la volontà del capitale, hanno permesso lo scaturire delle stesse forze destinate a distruggerlo. In una parola, la cecità del capitale è la sua rovina.

Alla luce di quanto sta accadendo, la famosa frase “whatever it takes” non può più essere riferita semplicemente all’Euro; ripetuta oggi suonerebbe: “faremo tutto ciò che è in nostro potere per salvare il capitale!”. Nel momento storico in cui fu pronunciata questa frase, di fatto, la facciata del capitalismo si chiamava Euro, e ciò che era necessario era solo salvarlo e nulla più. Mentre oggi, nel mondo post-covid (non nel senso che ne siamo usciti o che ne usciremo ma nel senso che un mondo pre-covid può solo appartenere alla dimensione storica del passato e a quella psicologica del ricordo), il capitalismo non si presenta più tramite una facciata, mascherato da neoliberismo o camuffato con gli abiti della democrazia ecc., ma nudo e crudo nel suo autentico sembiante: la pulsione di morte (vedi S. Freud, Al di là del principio di piacere, 1920). Per la psicoanalisi la pulsione di morte è ciò che tende, incessantemente, alla ripetizione di se stessa; ed è in questo senso che il capitalismo, denudato delle sue maschere, è la pulsione di morte. Esso tende a ripetersi continuamente, e ogni volta che sta per collassare si riprende, ferito, malconcio, ma ancora imperante. Questa volta sarà il suo ultimo tentativo di ripetersi? È forse la pandemia di Covid il colpo di grazia che ne determina la sorte? No, di sicuro. È però l’inizio di una serie di colpi mortali (vedi S.  Žižek in VIRUS. Catastrofe e società, Ponte alle Grazie, 2020) che già da adesso sortiscono i loro effetti (vedi la dichiarazione di Mario Draghi del 25 Marzo 2020 sul “Financial Times”). L’alta finanza sa benissimo in che condizioni versi il mondo; ed è proprio per questo che non può fare a meno di imporsi anche ai vertici decisionali della politica attraverso i propri esponenti di spicco. Draghi, in buona sostanza, è il capitalismo incarnatosi che prende le sembianze umane – che si fa uomo – non per espiare le colpe dell’umanità ma per evitare di essere egli stesso annientato.

Inoltre, Draghi rappresenta anche la parte consapevole della finanza: quella che meglio ha intuito il destino del capitalismo (vedi C. Marx in Il Capitale, UTET, 2017), quella che ha letto Marx e l’ha nascosto nel cassetto più recondito della sua biblioteca. Le sue conoscenze al riguardo non gli permettono di non sapere, ossia non gli permettono di essere ingenuo e dunque lo costringono ad agire. E quali azioni dovrebbe fare un uomo incaricato dal presidente della repubblica (ma soprattutto dall’Europa) per risanare le sorti dello Stato? Evidentemente porre in atto politiche sociali e non più privatistiche. Se ciò si avvererà, Mario Draghi sarà ricordato come l’uomo che prima si è sporcato le mani col sangue della Grecia e poi le ha lavate con i soldi del Recovery Fund. Questi soldi rappresentano le sottili bende che cercano di tenere unita una gamba mozzata al resto del corpo; sono la morfina che si dà al morituro per illuderlo che c’è ancora vita nel suo corpo. Questi soldi non sono la rivoluzione ma solo l’estrema mossa che il capitalismo, in modo quasi ridicolo, attua per sopravvivere. La vera rivoluzione, quella che lo stesso capitalismo ha generato con la prima catena di montaggio, non indossa la giacca e la cravatta ma ha i vestiti sgualciti e sporchi e viene dalle baraccopoli di tutto il mondo.

12/02/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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