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Come gestire l’emergenza da Coronavirus

In Italia e in Europa ci sono le risorse per fronteggiare l’emergenza da Coronavirus ma bisogna prendercele


Come gestire l’emergenza da Coronavirus Credits: www.3isrl.it

Nella settimana appena trascorsa il governo ha esteso a tutto il territorio nazionale alcune misure per prevenire il contagio da Coronavirus. Scuole, università, cinema, teatri, eventi sportivi, rimarranno chiusi al pubblico. Stop a convegni, assemblee e manifestazioni. La speranza è che ciò possa ritardare e diluire il picco dei contagi e quindi l’afflusso dei malati negli ospedali ed in particolare nelle terapie intensive. Il COVID-19, infatti, può causare serie complicanze, gestibilissime se il paziente trova il posto letto, gli strumenti, i medicinali ed il personale adeguati, per numero e qualità. Ma dopo decenni di tagli, regionalizzazioni, aziendalizzazioni e privatizzazioni, ci troviamo con ventuno Servizi sanitari regionali organizzati per utilizzare a pieno tutte le risorse disponibili, che quindi si rivelano gravemente insufficienti quando da una situazione normale si passa ad una eccezionale.

La regionalizzazione e l’aziendalizzazione hanno prodotto una pletora di protocolli diversi. La maggior parte delle strutture sa come gestire le maxi-emergenze, come ad esempio lo scoppio di una bomba in metropolitana, ma negli ospedali nessuno sa veramente come gestire una emergenza continuativa come questa. La chirurgia elettiva non oncologica, vale a dire gli interventi programmati e che possono essere differiti, continua come se niente fosse, esponendo i pazienti che possono essere tenuti o rimandati a casa ad inutili rischi di contagio e sottraendo risorse preziose - posti letto, medici e infermieri - alla gestione dell’emergenza da Coronavirus. D’altronde, anche negli ospedali pubblici, più si opera più il budget cresce e con questo la potenza dei primari e dei direttori.

La tanto decantata sanità lombarda è al collasso. La situazione è quasi sfuggita di mano, si stanno montando ospedali da campo e gli addetti ai lavori propongono di allestire posti letto di terapia intensiva nelle sale operatorie, trasferire i pazienti in altre regioni, far venire anestesisti da fuori, utilizzare quelli ancora in via di specializzazione e gli specialisti con competenze simili, in particolare gli pneumologi. I militari si sono detti disponibili a dare una mano. Le università, invece, balbettano: combattere la scarsità di personale eliminando il numero chiuso nelle facoltà mediche e infermieristiche non sarebbe una cattiva idea. I preti e le suore, infine, tacciono. E con loro le cliniche e gli ospedali privati. D’altronde, in un’economia di mercato, se il paziente non è pagante non merita di essere salvato. Se lo si facesse, l’azienda vedrebbe aumentare i costi e si svalorizzerebbe, con grave danno per i suoi azionisti. Profit über alles.

Ma una soluzione ci sarebbe. Non possiamo fare come in Cina, dove hanno costruito due ospedali in sette giorni. Non perché ci mancano gli ingegneri e i muratori capaci, ma perché siamo talmente tanto intossicati dall’economia di mercato, dal mito dell’efficienza e della concorrenza, che ci manca la capacità di concepire una qualsiasi forma di pianificazione. Abbiamo però la possibilità di aumentare le risorse a disposizione ricorrendo ai privati che in questi anni hanno proliferato anche nella sanità. Ma siccome il tempo è poco e c’è un vincolo di bilancio che l’Unione europea sempre ci ricorda, ora più che mai dovremmo evitare di affittare o acquistare strutture, macchinari, medicinali, ecc. che inevitabilmente, data l’importanza che hanno assunto, ci costerebbero un occhio della testa, o forse anche tutti e due.

Per aumentare le risorse a disposizione basterebbe imporre prezzi politici e controllo del commercio sui beni necessari per fronteggiare l’emergenza in modo da evitare le speculazioni; vietare l’attività privata libero-professionale (la c.d. intramoenia) ai dipendenti del SSN in modo da bloccare gli interventi non urgenti e garantire la piena disponibilità del personale; e attuare quanto disposto dall’articolo 42 comma 3 della Costituzione della Repubblica italiana attualmente in vigore che così recita: “La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale”. All’articolo seguente, la Carta prevede anche la possibilità di trasferire “allo Stato, agli enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali”. Persino il codice civile di mussoliniana memoria ancora recita, all’articolo 835, che “quando ricorrono gravi e urgenti necessità pubbliche, militari o civili, può essere disposta la requisizione dei beni mobili o immobili”. Questo a prescindere da tutti i soldi pubblici spesi nel finanziamento della sanità privata che ora si capisce quanto avrebbero fatto più comodo se investiti nel servizio sanitario pubblico.

Potenziare il numero di posti nelle terapie intensive, dotarsi di macchinari, medicine, dispositivi di protezione individuale e tutto quanto è necessario per fronteggiare questa emergenza è la priorità. Per farlo è necessario disporre nel più breve tempo possibile di tutte le risorse, pubbliche e private. Gli strumenti legali ci sono, quello che manca è la volontà politica.

Fin qui ci siamo limitati ai possibili interventi dello Stato nazionale, sulla base di una Costituzione che Berlusconi ebbe a definire bolscevica. Magari(!), tuttavia già troppo avanzata per questa Unione Europea liberista, in cui purtroppo ci siamo infilati.

E allora vediamo cosa potrebbe fare l'UE nell’ambito di politiche più timidamente riformiste, ma solidali. Potrebbe per esempio emettere dei bond a tasso zero che la Banca Centrale Europea potrebbe acquistare emettendo moneta per pari importo. Le somme così raccolte potrebbero essere messe a disposizione degli stati colpiti sia per gli interventi pubblici diretti (presidi sanitari, assunzioni di personale, acquisti di attrezzature, trasporti ecc.), sia per risarcire lavoratori e imprese che hanno subito danni in conseguenza delle misure cautelari adottate.

Il costo e le conseguenze finanziarie di questa operazione verrebbero spalmati in maniera solidale fra tutti i popoli europei. L’inflazione che ne deriverebbe non sarebbe cosa grave, viste le cifre in rapporto alla grandezza dell’economia europea. E poi non era forse quello di aumentare i prezzi l’obiettivo del Quantitative Easing di Draghi? Ma a differenza di quello precedente, questa volta si immetterebbe liquidità direttamente nell’economia reale e non prevalentemente nella finanza.

Tutti i provvedimenti che abbiamo ipotizzato sarebbero possibili ed equilibrati, ma dobbiamo ragionevolmente temere che non verranno adottati da questa Europa e da questo governo. E allora il sovrappiù di morti che ne verrà sarà da addebitare non al Coronavirus ma a Conte, al suo governo, a tutto il Parlamento e alle Istituzioni europee.

08/03/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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