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Autonomia scolastica: dentro o fuori dalla Costituzione?

La deformazione del significato autentico del termine autonomia è alla base dei cambiamenti avvenuti nella scuola pubblica negli ultimi venti anni.


Autonomia scolastica: dentro o fuori dalla Costituzione?

La deformazione del significato autentico del termine autonomia è alla base dei cambiamenti avvenuti nella scuola pubblica negli ultimi venti anni, che l’hanno indirizzata sempre di più verso il modello delle scuole private, tradendo così l’originario fine espresso nella Costituzione, ovvero di essere una funzione dello Stato garante della formazione democratica dei cittadini, nonché luogo di affermazione del diritto all’uguaglianza, alle pari opportunità, luogo del rispetto delle differenze e del pluralismo culturale.

di Antonia Sani

Il recente seminario organizzato a Roma dall’Associazione Nazionale “Per la scuola della Repubblica” ha portato in primo piano l’esigenza di penetrare nei meandri delle contraddizioni in cui il concetto di autonomia è sprofondato. L’abuso e l’uso improprio del termine rischiano di offuscare per sempre il suo significato autentico che fu traguardo di lotte di donne e uomini nei secoli, fondamento su cui posano i principi della nostra Costituzione.

Autonomo/a è chi, libero/a da qualsiasi forma di condizionamento, decide in piena indipendenza delle proprie scelte, dei propri comportamenti. Il termine greco “nomos-legge” è tuttavia stringente: l’autonomia non può essere disgiunta dal principio di responsabilità. In questo senso autonomia e libertà formano nella Costituzione italiana un nesso inscindibile in cui autonomia rappresenta l’esercizio della libertà secondo comportamenti liberamente scelti (ma non lesivi delle istituzioni democratiche e dei rapporti civili e sociali). “La libertà personale è inviolabile” recita l’Art.13/Cost, ma poi seguono i casi in cui può – nei limiti stabiliti dalla legge- essere violata…

L’Italia usciva dagli anni della dittatura fascista, del bavaglio e della sudditanza al regime pena la perdita del posto di lavoro. Autonomia per i padri costituenti è quindi prima di tutto indipendenza, libertà di coscienza, libertà di espressione, libertà di insegnamento, ma anche libertà di iniziativa economica privata purché non contrasti con l’utilità sociale.

La deformazione del significato autentico inizia a partire dall’ambito lavorativo, dove “lavoro autonomo”, da sinonimo di attività indipendente (libera professione, creazione-conduzione di azienda…) assume sempre più il significato di “iniziativa privata”, con tratti e caratteristiche “esclusive” che la distinguono dal “pubblico impiego”, vissuto dall’opinione pubblica come una sorta di calderone indistinto. La competitività viene individuata come valore cardine dell’impresa, tanto più perseguibile poiché il protagonista è coinvolto in prima persona o come partecipe di un assetto societario. Di contro, cresce la debolezza delle istituzioni (cui il pubblico impiego fa riferimento), al punto che oggi per dirimere eventuali controversie tra multinazionali e difesa dei diritti dei cittadini anche in campo internazionale, rispetto all’intervento della magistratura dei singoli Stati, i poteri forti possono tranquillamente indicare istituti come l’arbitrato.

Il fascino dell’apparente efficienza contenuta nell’icona del “privato” è avanzata anche sul terreno scolastico. Quella “qualità” con cui la scuola pubblica, secondo Piero Calamandrei, avrebbe affermato la propria superiorità sulle scuole private subisce un capovolgimento totale. E’ quanto viene sostenuto nel documento del 1994 “Una nuova idea per la scuola” sottoscritto da 31 intellettuali di Centrosinistra, in cui la “qualità” della scuola pubblica si ottiene modellando le scuole pubbliche sull’esempio degli istituti privati. Decisiva è la considerazione dell’autonomia di cui godono i singoli istituti privati quale chiave di volta per raggiungere livelli di efficienza interdetti al sistema scolastico pubblico, sommerso dalla burocrazia, privo di spinte autonome innovative.

Il documento penetrò come un cuneo nel percorso della democrazia scolastica avviato con l’istituzione degli Organi Collegiali ( Legge 477/1973) che intendevano realizzare nella scuola della Repubblica quella partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese prevista per tutti i lavoratori (Art.3/Cost).

Autonomia e decentramento sono i principi su cui posa la legislazione repubblicana,un decentramento non solo amministrativo ma “partecipato” dai cittadini dei territori, con un protagonismo diretto nell’organizzazione/gestione dei servizi pubblici. L’Art.5/Cost ce ne dà la misura laddove precisa “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.

Se la scuola fosse un servizio pubblico la sua gestione avrebbe potuto essere affidata a cooperative o associazioni di cittadini riconosciuti nelle loro organizzazioni dalle istituzioni locali. Ma la scuola della Repubblica non è un servizio, è una funzione dello Stato, in quanto garante della formazione democratica dei cittadini. Essa non è soltanto dispensatrice di istruzione, ma luogo di affermazione del diritto all’uguaglianza, alle pari opportunità, luogo del rispetto delle differenze, del pluralismo culturale. La scuola della Repubblica è laica, aperta a tutti e a tutte.

Per queste ragioni, il principio della partecipazione nell’istituzione scolastica assume caratteri specifici. La legge istitutiva degli Organi Collegiali ha tenuto conto dell’insopprimibile carattere nazionale dell’istituzione scolastica (Art33/Cost. ) La partecipazione delle componenti del mondo della scuola all’autogoverno dei singoli istituti scolastici e delle loro reti territoriali è stata inserita in un quadro normativo nazionale, in cui gli Organi Collegiali coniugano le esigenze del decentramento con la partecipazione autonoma/collettiva dei cittadini.

La loro autonomia è rappresentata dalle articolate posizioni politiche che i diversi consessi esprimono, ma il carattere pubblico degli istituti non viene mai meno.

Si è detto che il concetto di autonomia mutuato dalle scuole private entrò nel 1994 come un cuneo in quel percorso, riuscendo a distorcerlo e a interromperlo. Si cominciò a parlare di Carta dei servizi, Piano dell’offerta formativa, in seguito di “Patto con le famiglie”. Autonomia doveva significare che anche le scuole pubbliche dovevano differenziarsi e rendersi competitive in base ai servizi offerti, ascoltare i suggerimenti delle famiglie…

Insomma, la scuola dello Stato avrebbe raggiunto l’efficienza solo rinunciando alla sua natura democratica….

A questo punto, una riflessione sulla natura delle scuole private si impone.

Esse sono previste dalla Costituzione, ma come imprese private, di tendenza . Godono della stessa libertà che viene riconosciuta a imprese di natura economica. I loro alunni e alunne godranno di un trattamento equipollente in ossequio al riconoscimento della libertà di scelta, ma le scuole da cui provengono sono altra cosa rispetto alla scuola della Repubblica che ha per fine l’attuazione del diritto all’istruzione di tutti e tutte in un clima di pluralismo e laicità.

Il documento del 1994, (al quale 70 intellettuali che vi avevano ravvisato il vulnus alla Costituzione risposero immediatamente col documento “dalla scuola del Ministero alla scuola della Repubblica”) poneva le basi di quell’autonomia inconcepibile nel sistema scolastico pubblico che oggi vede il suo coronamento nella legge 107 e in un’opinione pubblica incapace di opporre distinzioni.

Fu la legge 62/2000 durante un governo di centrosinistra a violare definitivamente la distinzione costituzionale tra scuola dello Stato e scuole private ponendo sullo stesso piano in un unico sistema nazionale scuole pubbliche e scuole private definite “paritarie”. Entrambe sono oggi definite nella legge 107 con l’appellativo di “scuola dell’autonomia”.

Ci si è arrivati passo dopo passo, attraverso mistificazioni di ogni sorta.

Un passaggio significativo è contenuto nella legge 59/97 ( nota come Legge Bassanini). All’art. 21 si legge: “L’autonomia delle istituzioni scolastiche e degli istituti educativi si inserisce nel processo di realizzazione dell’autonomia e della riorganizzazione dell’intero sistema formativo”.

La lesione all’Art.33/Cost è evidente nell’assimilazione degli istituti educativi alle istituzioni scolastiche statali,….ma quella frase riferita “all’autonomia dell’intero sistema formativo” indica una strada NON RACCOLTA ma ricca di prospettive. E’ la prima volta che in un testo normativo si parla di “autonomia dell’intero sistema formativo”, senza la quale non si dovrebbe parlare di autonomia dei singoli istituti (se ne parla,invece, addirittura in Costituzione, dove all’art.117 del Tit.V modificato nel 2001, a proposito di legislazione concorrente tra Stato e Regioni si legge “fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche”)…

Illegittima è quindi l’attribuzione dell’autonomia ai singoli istituti statali in assenza di una cornice di riferimento!

La via interrotta dal documento del 1994, e ambiguamente accennata nella Legge Bassanini del 1997, l’abbiamo ripresa come Coordinamento Nazionale per la Scuola della Costituzione.

Si tratta di perseguire il completamento dell’iter degli Organi Collegiali. I Decreti Delegati rappresentano a tutt’oggi lo strumento di democrazia scolastica per l’autogoverno della scuola (non sono stati abrogati in toto dalla 107!).

Essi restano tuttavia privi del loro effettivo potere in quanto monchi del loro massimo livello, mai istituito, privi di quell’autonomia che solo un Consiglio Nazionale per la Pubblica Istruzione (CNPI) eletto dal mondo della scuola nella prosecuzione democratica degli Organi Collegiali di istituto e territoriali può garantire; un organismo che concluda l’iter della gestione democratica della scuola non riconducendola - come oggi avviene - alle dipendenze del MIUR, annullandone le potenzialità e tradendo le aspettative di chi nei Consigli d’Istituto ha profuso il suo impegno.

L’autonomia del sistema scolastico statale (a quando l’abrogazione della legge 62?) nel rispetto dei principi costituzionali del decentramento e della partecipazione sarebbe così pienamente “dentro la Costituzione”. Il ruolo del MIUR resterebbe rilevante, in quanto garanzia amministrativa dell’unitarietà del sistema scolastico statale su tutto il territorio nazionale, ma non sarebbe più di intralcio - in ossequio a un vetero centralismo - all’attuazione di una reale gestione democratica della scuola.

06/11/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Antonia Sani

presidente WILPF Italia, Womens International League for Peace and Freedom

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