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Unione Europea, spostarsi a destra e preparare la guerra

L’UE ha acuito la propria aggressività e il proprio militarismo allo scopo di meglio difendere i propri piani per quanto riguarda il “mercato unico” e le sempre maggiori spese per gli armamenti.


Unione Europea, spostarsi a destra e preparare la guerra Credits: http://www.tuaeu.co.uk/socialist-planning-and-the-single-market/

La struttura organizzativa dei vertici UE è stata fin dall’inizio profondamente antidemocratica e legata a doppio filo con gli interessi dei circa trentamila lobbisti “di stanza” permanente a Bruxelles. Ad affiancare questi personaggi nella determinazione delle politiche militari comunitarie sono i vari gruppi di interesse facenti capo alle varie industrie che si occupano della produzione di armamenti. Questi piani sono balzati agli onori della cronaca durante la campagna per il referendum circa la possibilità di rimanere o meno all’interno dell’UE. Ovviamente da parte di coloro che premevano per il “remain” c'è stato un atteggiamento di assoluto silenzio circa la conferma o meno di queste voci.

Una volta passato l’uragano-referendum i vertici europei sono tornati a battere sui tamburi di guerra. Come detto dai portavoce della Campagna Contro il Commercio delle Armi (CAAT) “la macchina UE si è progressivamente adattata al ruolo di sostegno agli interessi del complesso industriale militare”. Pertanto nei tempi più recenti si è assistito alla sempre maggiore militarizzazione dell’Unione Europea.

Nel 2016 è stato varato il Piano Europeo di Azione Difensiva (EDAP), seguito da un Programma di Ricerca (EDRP) con l’intento lucrativo di spendere circa tre miliardi e mezzo di euro nel periodo 2021 – 2027. Dopo un investimento pilota di circa novanta milioni di euro provenienti dai Fondi Comuni Europei per il periodo 2017 – 2019 la Commissione sta proponendo una spesa di cinquecento milioni per il biennio 2019 – 2020.

Tale cifra potrebbe salire a un miliardo e mezzo di euro entro il 2021.

Questo si aggiunge alle precedenti decisioni di creare un singolo canale per le operazioni di addestramento alle missioni militari all’estero oltre a un fondo di cinque miliardi e mezzo di euro volto a garantire per i vari stati membri la possibilità di acquistare gli armamenti più all’avanguardia.

Le esportazioni di armi sono cresciute di pari passo con le sempre più concilianti politiche UE nei confronti di alcuni tra i peggiori tiranni del mondo.

Tuttavia i riflettori si sono puntati più intensamente su queste politiche quando è tornata a balenare nell’aria la proposta di creare un esercito comune tra i vari paesi membri. Ventitré dei ventotto stati componenti l’UE hanno sottoscritto a Bruxelles un documento il giorno 13 novembre 2017 (un martedì) prima di effettuare una dichiarazione ufficiale in seno ad un recente summit europeo. Sigmar Gabriel, Ministro degli Esteri UE, ha chiamato tutto questo “una pietra miliare negli sviluppi dell’UE futura”. Gran Bretagna, Danimarca, Irlanda, Malta e Portogallo hanno per ora rifiutato di sottoscrivere il documento lasciando però intendere una possibile modifica di tale comportamento in futuro.

Gli accordi sulla difesa conosciuti come Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO) vedranno la partecipazione di stato che stanno sviluppando nuove tipologie di armamenti difensivi come carri armati e droni. Sembra anche che si intenda creare a livello europeo singoli canali per la logistica ed il supporto medico. Si tratta di politiche volte a svolgere una funzione ausiliaria nei confronti delle missioni militari a guida UE presenti e future. L’oscuro piano originario dei Federalisti Europei riguardo un’unica politica monetaria, agricola e migratoria oltre che un unico Parlamento controllato da istituzioni corporative ed un unico mercato protetto da una altrettanto unica politica militare e di difesa è divenuto realtà ed è positivo per le forze socialiste mondiali che almeno la Gran Bretagna abbia mangiato la foglia ed abbia optato per l’uscita dall’UE.

L’inizio del cataclisma è ufficiale: il Parlamento Europeo, nel mese di novembre, ha detto come le Politiche Comuni Europee sulla Sicurezza e sulla Difesa “dovrebbero portare alla creazione delle Forze Armate Europee”. Da allora si sta operando su più livelli per tradurre queste parole in realtà.

Il Servizio di Azione Esterna UE ha anche prodotto il suo Piano di Implementazione di Sicurezza e Difesa con l’intento di utilizzare le strutture difensive europee per le proprie strategie di politica estera. Una veloce occhiata a queste posizioni in politica estera appunto renderà immediatamente chiara la direzione sulla quale si intenda proseguire. L’imposizione di sanzioni nei confronti del Venezuela e l’aiuto dato all’opposizione antidemocratica all’interno del paese dovrebbero far capire come gli intenti siano tutt’altro che buoni.

Ma queste istanze sono tutto fuorché sconosciute.

È noto come ai tempi i vertici UE abbiano fatto finta di niente quando la Germania decise di riconoscere il governo ribelle croato dando inizio al conflitto interno alla Jugoslavia. In egual modo il sorgere della minaccia fascista in Ucraina e i consistenti spostamenti di popolazione conseguenti alle migrazioni provenienti dai paesi dell’Europa Orientale entrati nell’UE hanno ulteriormente favorito la Germania nel proseguimento della propria strategia. I vertici europei, senza farne mistero, vorrebbero caldamente l’ingresso della Turchia nell’Unione. Nemmeno le attuali politiche di Erdogan volte allo sterminio della minoranza curda sembrano costituire un impedimento al coronamento di questo disegno.

Una sorta di infatuazione per l’Unione Europea ha portato a sottovalutare le sue mire di stampo quasi coloniale. I vertici UE con l’appoggio del governo tedesco e dei circoli militari si sono impadroniti della Grecia e tengono tuttora in scacco i governi dell’Europa Meridionale che non possono o non vogliono sottostare senza batter ciglio alle politiche di austerità imposte da Bruxelles.

Ugualmente, la strenua difesa del mercato unico da parte di esponenti del nostro stesso “lato” politico può portare le future generazioni ad una strenua lotta intestina per accaparrarsi le briciole di un sistema produttivo controllato da pochi eletti che continuano a reggerne le redini al sicuro da qualsiasi rischio di capovolgimento dei rapporti di forza attuali.

Le stesse tensioni diplomatiche tra stati che al momento si affacciano sullo scenario internazionale possono portare in futuro a vere e proprie guerre. Perché quindi i vertici UE intendono perseguire nel disegno di implementare una politica di difesa comune?

C'è da pensare che essi intendano arrivare a porsi come ulteriore polo di potere internazionale in rivalità con gli Stati Uniti, la Russia e la Cina. Gli stessi paesi che basano una parte consistente della propria economia sulle esportazioni possono trovarsi un domani nella condizione di obbedire forzatamente ai dettami europei dietro la minaccia di vedersi chiuso ogni accesso commerciale a questo immenso mercato per i loro prodotti. L’adesione di alcuni paesi africani ai dettami della corrente agenda economica UE ha portato a una situazione problematica dal punto di vista del poter far fronte alle esigenze alimentari interne.

Come forze socialiste mondiali è opportuno anche denunciare il furto delle risorse dei paesi africani ed asiatici da parte europea con lo scopo di soddisfare la sempre crescente domanda interna mentre andrebbero adottate politiche volte a garantire che questi stessi paesi possano impiegare le proprie ricchezze naturali al fine di sviluppare maggiormente le proprie economie.

Si può dire che l’UE piuttosto che adottare una nuova politica economica volta a garantire uno sviluppo futuro solido e sostenibile ai propri paesi membri sia perlopiù interessata a proseguire nell’attuazione di una serie di politiche di stampo neoliberista, le stesse messe in atto dai vari governi negli ultimi trent’anni. Tutto ciò non farà altro che avvantaggiare le multinazionali a scapito dei diritti dei lavoratori di tutto il mondo.

I difensori del progetto europeo sembrano dimenticare come le forze politiche dominanti all’interno del Parlamento di Bruxelles siano proprio quelle espressione dell’agenda economica neoliberista. Dei settecentocinquanta deputati componenti il Parlamento UE solo una cinquantina fanno riferimento a compagini politiche socialiste o comunque di sinistra.

Si tratta di una cifra molto minore di quella relativa non solo alle forze politiche di destra, ma anche a quelle del gruppo politico dominante nell’assemblea (facente capo al Partito Popolare Europeo) e al numero dei singoli deputati di provenienza tedesca. In un altro contesto, se fosse varata una proposta per l’abrogazione delle correnti politiche economiche e militari dell’Unione Europea, sarebbe opportuno supporre come solo un centinaio di deputati (in regime di voto libero) si esprimerebbero in favore del mantenimento di queste ultime. Volendo essere particolarmente generosi nelle stime, includendo cioè tra i voti contrari anche quelli degli appartenenti al gruppo Alleanza Progressista dei Democratici e dei Socialisti (PASD) di cui fa parte anche la quota di deputati del Partito Laburista di Gran Bretagna, si otterrebbe una cifra di circa centonovanta voti contrari a fronte di circa cinquecentosessantuno favorevoli all’abrogazione.

La natura eminentemente reazionaria dell’UE si evince dalla crescente presa di potere delle forze di destra in molti paesi membri, inclusi quelli dell’area scandinava. Con il proseguimento di scelte in politica economica che si sono finora rese responsabili della perdita per circa venti milioni di lavoratori dei loro rispettivi posti i vertici UE sono sicuramente una delle cause principali della crescente forza di queste compagini politiche.

Le forze politiche socialiste e i sindacati devono sostenere la posizione del “leave” al referendum che avrà luogo in via formale il giorno 29 marzo 2019, impegnandosi a ricordare che quando ci si appresta a trattare con il diavolo bisogna essere pronti a rifiutare qualunque proposta agli faccia, per quanto allettante possa essere.

Doug Nicholls è portavoce di Sindacalisti Contro l’Unione Europea, una rete di sindacalisti britannici che ha fatto campagna per l’uscita e che ora sostiene un programma progressista incentrato sul lavoro. L’articolo ci è arrivato in inglese ed è stato tradotto da Fabio Martoccia

03/03/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: http://www.tuaeu.co.uk/socialist-planning-and-the-single-market/

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