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Le statistiche sulla disoccupazione ed i regimi criminali

I recenti dati sulla disoccupazione appaiono positivi ma la crescita dei salari è stagnante. Ma le leggi del mercato non prescrivono che una riduzione nell’offerta di lavoro comporta un rialzo dei prezzi? Non è questo quello che sta accadendo.


Le statistiche sulla disoccupazione ed i regimi criminali

Sono uno storico, non un economista. Ma, come molti di voi, so che i titoli delle notizie spesso nascondono più di quanto rivelano, così vorrei fare tre brevi commenti sui dati più recenti riguardanti la disoccupazione negli USA. Il terzo mi racconta più di quanto io (e probabilmente anche voi) voglia conoscere.

Primo, noi non abbiamo effettivamente idea sul numero reale dei disoccupati. Il Bureau of Labor Statistics (ente federale che sovrintende alle statistiche sul mondo del lavoro negli USA, ndr) prende in considerazione soltanto gli americani “in cerca di lavoro”. Esso quindi ignora i lavoratori di mezza età rimasti senza lavoro e che hanno rinunciato a cercarne uno, i disabili che non possono trovare lavoro e sono letteralmente lasciati morire a causa dei tagli ai bilanci pubblici e dello smantellamento dei servizi sociali, e il vasto numero di detenuti che il nostro gigantesco sistema carcerario (il più grande al mondo!) rende non occupabili.

In secondo luogo è sorprendente, e creerebbe disorientamento anche tra gli economisti classici come Adam Smith e David Ricardo, che il basso livello di disoccupazione coincida con una modesta crescita dei salari. I salari e l’inflazione dovrebbero infatti procedere di pari passo. E questo sembra confondere gli economisti – progressisti o conservatori che siano – che ripongono ancora fede nella nozione di razionalità del mercato.

Ciò che invece viene ignorato è lo stato attuale dell’economia post-industriale in cui i lavoratori a contratto in tutte le parti del sistema (incluso il mondo accademico e il settore pubblico), come i lavoratori dei fast-food e dei call center, e chiunque viva nella dimensione di vita aziendale compartimentata, sono “occupati” in condizioni di incredibile precarietà, guadagnando salari al limite della sussistenza che a stento permettono loro di cavarsela e di ottenere benefici che in realtà sono inesistenti.

La ripresa economica, seguita alla recessione in caduta libera del 2007-08, ha allargato il divario nei livelli di benessere e reso urgente quel vecchio slogan di qualche decennio fa che recitava: “dov’è il mio piano di salvataggio?” Scusa, abbiamo risposto collettivamente, se sei talmente piccolo che è un bene per te che tu fallisca.

Di certo non ci si può attendere nessun aiuto da questa amministrazione di miliardari la cui corruzione è della stessa specie delle classi dirigenti che li hanno preceduti, ad eccezione del fatto che il loro retroterra, fondato sul culto della celebrità, li incoraggia a crogiolarcisi di fronte a tutti noi, qualora qualcuno osasse sfidare questo loro atteggiamento.

Ma c’è poi l’altro risvolto del minor polverone (almeno in questi giorni) che Trump ha sollevato rompendo ancora una volta gli schemi e annunciando il dato positivo del rapporto sulla disoccupazione prima che lo stesso Bureau of Labor Statistics potesse ufficialmente farlo. Sembra un fatto di poco conto per un leader che dispensa menzogne con sorprendente regolarità, talvolta esaltandosi per la sua abilità nel farlo, occasionalmente raccontando falsità contraddittorie nello spazio di una breve dichiarazione. In questo caso potrebbe aver violato una legge federale che considera tali annunci come abuso di informazioni riservate, sia pur di minore entità. Forse. O forse no.

Ma la questione di fondo attiene piuttosto alla leadership di Trump, tipica di un regime criminale. Mi rendo conto che questa è una frase al tempo stesso potente ed elastica, che potremmo applicare ai governi degli stati del Sud sotto Jim Crow, alla Germania nazista, all’oligarchia di Putin ed alla teocrazia della dinastia saudita in Arabia. Ma il regime di Trump funziona in questo modo per definizione. E il Presidente ne fa un motivo di orgoglio.

Egli ha infranto tutti i precedenti perchè sa che può permetterselo. Parliamo di colui che si è vantato di poter “piazzarsi nel bel mezzo della quinta strada (di New York, ndr) e mettersi a sparare a qualcuno” senza perdere voti.

Sono consapevole che un tweet del Presidente sulle statistiche della disoccupazione è un fatto di minore rilevanza rispetto a dichiarazioni su argomenti quali: la possibile collusione della campagna elettorale di Trump con regimi autoritari, le sue minacce rivolte a cittadini americani, il suo ricorso al termine “animali” per descrivere i componenti delle bande urbane nel tentativo di legittimare le atrocità contro ogni persona immigrata negli USA. E forse non è allo stesso livello degli attacchi a Samantha Bee per il suo uso di parole volgari riferite a sua figlia quando questo stesso uomo una volta disse a Howard Stern che lui avrebbe potuto chiamare Ivanka Trump una “pezzo di merda”.

Tutto questo è agghiacciante perchè offre un’ulteriore avvisaglia che lui sia capace di qualunque cosa. Bisognerebbe risvegliare i suoi sostenitori, prevalentemente bianchi e che spesso tendono a chiamarsi fuori dalle cose peggiori che questo paese è capace di compiere, facendoli riflettere sul fatto che lui sarebbe capace di fare qualcosa anche contro di loro, se ne avesse convenienza. E non è perché è un personaggio indecente. Non è che non che non ci siano già stati altri criminali ad occupare la sua posizione prima di lui. Non è che questo adesso voglia ostentarlo, che non tenga in alcun conto il rispetto della legge. Egli farà ciò che vuole di voi. E confida sul fatto che voi glielo lasciate fare.


Pubblicato su: Workers World, 13 giugno 2018

Traduzione dall’inglese di Zosimo

23/06/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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