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La sorpresa di un accordo fra la Cina e la Santa Sede (prima parte)

Come Papa Francesco ha aperto alla Cina e questa ha accettato il Vaticano


La sorpresa di un accordo fra la Cina e la Santa Sede (prima parte) Credits: www.asianews.it

Quando il 22 settembre 2018 fu annunciata la firma di un accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare cinese sulla nomina dei vescovi, in occidente il mainstream mostrò scarso interesse, anche se la sorpresa fu forte. Il Vaticano e la Cina negoziavano da anni un accordo che risolvesse il problema della esistenza della chiesa cattolica cinese e della chiesa cattolica patriottica. Frutto di un processo graduale e mutuo avvicinamento, l’accordo ha modalità che periodicamente prevedono valutazioni periodiche per la sua attuazione. L’intesa stabilisce che il governo cinese approvi le elezioni dei vescovi da parte della conferenza episcopale cinese, e che al Papa spetti l'ultima parola. L’accordo prevede anche che il papa tolga la scomunica agli otto vescovi ordinati senza l'approvazione pontificia, ai quali è stata assegnata una diocesi di insediamento [1].

Nel febbraio del 2019 il Vaticano ha creato una nuova diocesi a Chengde dichiarata esser suffraganea dell'arcidiocesi di Pechino. Papa Francesco, che ha perorato molto questo accordo, il 26 settembre 2019 ha pubblicato un Messaggio ai cattolici cinesi, in cui li esorta all'unità e alla riconciliazione, dà delle indicazioni di carattere pastorale sul cammino da compiere e chiarisce le finalità e le ragioni dell'intesa con le autorità della Repubblica popolare cinese sulla nomina dei vescovi. A riprova dell’accordo, nell’ottobre 2019 due vescovi cinesi delle diocesi continentali, Giovanni Battista Yang Xaoting e Giuseppe Guo Jincai, hanno partecipato alla XV Assemblea generale del Sinodo dei vescovi sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Per prima volta dal 1949 vescovi cinesi hanno partecipato ad un Sinodo con il beneplacito delle autorità cinesi.

La reazione statunitense è stata piccata e allo stesso tempo sono affiorate voci sull’esistenza di una parte segreta dell’accordo. Contemporaneamente all’interno del Vaticano sono sorte voci e dissensi, sempre più insistenti tanto più si avvicina la data del settembre 2020, quando l’intesa dovrà essere confermata o modificata. Prima di affrontare questo punto farò un breve excursus sulla storia del cristianesimo in Cina e della differente sorte delle chiese cattoliche e protestanti, per chiarire meglio di ciò che sta avvenendo nel mondo cattolico cinese e Vaticano [2].

I rapporti tra cristianesimo e Cina sono millenari. Si può dire che risalgono ai primi missionari nestoriani in fuga da Costantinopoli, senza contare i contatti tra cristiani e cinesi ai tempi della dominazione mongola in Cina, senza dimenticare le missioni dei gesuiti nel secolo XVI, di cui la figura di Matteo Ricci è la più importante, ma non la sola. La presenza cattolica in Cina è dunque secolare, ma essa a partire dal XIX secolo ha dovuto subire la concorrenza estremamente dinamica e spregiudicata delle missioni protestanti di prevalente derivazione inglese. Successivamente, dalla metà del secolo XIX la chiesa cattolica verrà quasi del tutto sostituita dall’aggressiva penetrazione delle chiese protestanti americane. Nel 1860, grazie ad alcuni punti dei trattati che posero fine alla seconda guerra dell'oppio, l'intero paese si aprì all'attività missionaria protestante. I primi missionari americani in Cina erano già arrivati nel 1830; ben presto nel XIX secolo le due confessioni religiose, la cattolica e la protestante, giunsero a farsi concorrenza.

Complessa è la vicenda del cristianesimo protestante e quello cattolico, ma va al di là dei limiti del presente scritto. In breve, per migliorare la comprensione dell’accordo fra la Cina e il Vaticano, una sintetica esposizione è necessaria. Nella seconda metà del XIX secolo i missionari, sia cattolici che protestanti, e le suore fondarono scuole femminili, orfanotrofi per bambini abbandonati, ospedali; introdussero nuove colture agricole e boschive. Nacquero le prime università cattoliche a Pechino, Aurora e Shanghai. I missionari protestanti non furono da meno. Anzi, presto le missioni protestanti presero il sopravvento e riuscirono a penetrare in profondità nel tessuto sociale cinese. Divennero la “quinta colonna del potere americano”. Indebolirono il potere centrale e si accattivarono gli strati più bassi della popolazione. Presto tra le forze del governo imperiale e i poteri locali crebbe a dismisura la febbre xenofoba contro il cristianesimo che accomunava protestanti e cattolici. I missionari protestanti statunitensi non si astenevano da azioni politiche, valga una per tutte, l’appoggio dato alla rivolta dei Tai Ping che scosse la Cina imperiale del XIX secolo. L’odio anticristiano in Cina deriva essenzialmente da questo evento e si accentuò con la rivolta dei Boxer che massacrarono sacerdoti e migliaia di cinesi cristiani, saccheggiarono missioni e distrussero tutto ciò che veniva dall’Occidente. Nel caso specifico dei Boxer, grande responsabilità era da addebitare ai missionari cattolici tedeschi che causavano instabilità e tensioni sociali con il loro proselitismo aggressivo.

Gli attacchi ai missionari e ai cristiani cinesi divennero molto comuni. Temporaneamente l’avversione cinese al cristianesimo protestante, ebbe una battuta d’arresto a partire dal 1911 quando l’impero fu abbattuto e nacque la repubblica cinese del primo presidente Sun Yat Sen. Negli Stati Uniti la giovane esperienza repubblicana era stata accolta con largo favore, grazie anche al ruolo svolto dai numerosi missionari americani che avevano guardato con simpatia al movimento repubblicano, anche perché molte personalità cinesi erano state educate nelle scuole missionarie protestanti. Non è un caso che Sun Yat Sen, che aveva studiato in una missione protestante, morì nel 1925 in un moderno ospedale missionario protestante a Pechino. Le due confessioni la cattolica e la protestante convissero con non poche frizioni fino all’avvento al potere del Partito comunista guidato da Mao.

Il destino delle missioni protestanti in Cina da allora fu segnato. Dopo la vittoria, il partito nel 1949 soppresse tutte le società missionarie protestanti. Espulse dalla Cina il capo missionario Arthur Matthews (un americano) e Rupert Clark (britannico) dopo averli posti agli arresti domiciliari, alla fine li spinse a lasciare nel 1953 il paese. L’eradicazione della religione cristiana protestante fu meticolosa e sistematica: ridusse a poche decine di adepti i cristiani evangelici che vantavano alla vigilia della Seconda guerra mondiale 1.000 000 di aderenti. Alla fine della Rivoluzione Culturale e all’inizio degli anni ’80, le chiese evangeliche divennero irrilevanti tanto che sotto Deng Xiao Ping diversi predicatori e pastori evangelici sono stati rilasciati dalle carceri, ma la chiesa protestante cinese non tornò più ad essere quello che era negli anni Trenta. In breve, i protestanti in Cina sono al di sotto dello 0,5% della popolazione totale cinese. Sono diventati un movimento indigeno, poco rilevante, del quale gli Stati Uniti non hanno nessun controllo politico.

Prima di affrontare la storia del cattolicesimo e dei suoi rapporti secolari con la Cina, è necessario chiarire alcuni punti. In oriente il cristianesimo è considerato una religione occidentale. D’altro canto, gli occidentali sono convinti che il cristianesimo si identifichi con la civiltà euroamericana. Questa idea non è però la sola che circola tra le mura vaticane. Fin dai tempi di Matteo Ricci, nel seno della Chiesa Cattolica si sono scontrate due posizioni. Una che ritiene che il cattolicesimo cinese debba essere dipendente dalla politica laica del Vaticano, l’altra che al contrario sostiene che la politica dei cattolici cinesi debba essere autonoma da quella del Vaticano.

La questione è ancora aperta: il cattolicesimo, in quanto religione universale, dovrà necessariamente emanciparsi dal suo substrato europeo e atlantico? Ma la millenaria storia della Chiesa Cattolica Romana alla fine ha risolto il contrasto tra occidente e oriente, (nello specifico la Cina), affermando il primato del Vaticano rispetto sulla politica dei singoli stati, medi o grandi potenze che siano. Gli ultimi due papi, Benedetto XVI e Francesco, lo attestano con le loro politiche che sono l’una il proseguo dell’altra, malgrado la vulgata anti-Bergoglio voglia far credere il contrario.

Vediamo come il Vaticano è giunto ad un accordo con la Cina, osteggiato da importanti centri di studio e di politica cattolici in Europa e Asia e come alla fine anche la chiesa cinese fedele al Vaticano abbia accettato l’intesa del 22 settembre 2018.

Quando Mao prese il potere organizzò il partito secondo il marxismo-leninismo e le sue idee che sulla religione non furono cambiate da Deng Xiao Ping. Le autorità cinesi attuarono una politica religiosa che non aveva nulla a che fare con la teologia, la liturgia o la spiritualità, ma si rivolgeva unicamente all’amministrazione e alla politica della chiesa cattolica. Pragmaticamente Mao considerava la religione oppio dei popoli, però non tentò di sradicarla dalla Cina, considerando la cosa essere poco possibile e non perseguitò i cinesi cattolici; tuttavia, nel 1953 cacciò i vertici delle chiese protestanti concepiti come un braccio del potere statunitense. Lo slogan era: gli enti religiosi e gli affari religiosi non devono essere soggetti ad alcuna dominazione straniera. A suo avviso la religione sarebbe scomparsa con l’affermarsi del socialismo. Così per il cattolicesimo in Cina ci furono anni di pacifica convivenza tra cattolicesimo e governo (1949-66) in cui i cattolici beneficiarono di una limitata libertà di culto e anni meno buoni come durante la Rivoluzione Culturale (1966-76), quando tutte le attività e le istituzioni religiose furono soppresse.

Sostanzialmente il leader cinese continuò a guardare al cristianesimo come una religione dell’occidente, quindi minacciosa per la rivoluzione. Il cattolicesimo romano cinese, con i legami del Vaticano con gli USA, durante la guerra fredda era particolarmente vulnerabile agli attacchi del PCC. Mao concepì cristianesimo come una forma surrettizia di "imperialismo culturale" diffuso dai missionari stranieri. La campagna per sradicare l’imperialismo dalla Cina si saldò alla lotta per sradicare la religione occidentale dal paese.  La risposta dei cattolici cinesi fu la creazione nel 1957 dell'Associazione patriottica cattolica, che finì sotto la supervisione dell'Ufficio per gli affari religiosi del Consiglio di Stato, che garantisce il culto e i riti cattolici.

L'Associazione patriottica cattolica cinese (CCPA) non è una chiesa ma "ponte" tra la chiesa e lo Stato, un'organizzazione politica e non religiosa, il cui lo scopo è di incoraggiare i cattolici ad amare la loro nazione e sostenere il governo. La condizione dei cattolici cinesi migliorò con l’arrivo al potere di Deng Xiao Ping ed essi parteciparono alle quattro modernizzazioni. Fra il 1986 e il 1994 la popolazione cattolica in Cina aumentò da 3,3 milioni ad oltre 12 milioni.

Ovviamente tra questi milioni di cattolici devono essere annoverati i cattolici del silenzio le cui attività svolte in modo indipendente non godevano della protezione dello Stato. La nuova Costituzione fece una chiara distinzione tra libertà di religione e libertà di attività religiosa. Inoltre, in essa si afferma chiaramente che la religione non può essere dominata da forze straniere, compreso il Vaticano. [4] A ciò si aggiunga che, se da un lato il governo cinese tollerava le attività religiose poste sotto controllo, dall’altro, promuoveva vigorosamente l'ateismo.

Nel 1990 un rapporto del governo cinese asseriva che le relazioni tra la Chiesa cattolica ufficiale e il governo erano migliorate e allo stesso tempo minacciava la chiesa sotterranea di misure repressive. Il documento avvertiva il Vaticano di non interferire negli affari interni della Cina e di interrompere le relazioni diplomatiche con Taiwan prima ancora che iniziasse dialogo tra le due parti. Una nota positiva non mancava. Il documento consentiva ai cattolici di riconoscere l'autorità spirituale del Papa.  Nel suo discorso ai leader religiosi il 28 gennaio 1992, Jiang Zemin li esortava a rafforzare il controllo sulle attività religiose, giacché i fedeli debbono cooperare con il governo per realizzare gli obiettivi socialisti del paese.

Continua sul prossimo numero.

Note
[1] Accordo Santa Sede-Cina. Quella breccia aperta fra Pechino e San Pietro
[2] A. Spadaro, Il nuovo mondo di Francesco come il Vaticano sta cambiando la politica globale, Marsilio, 2018.

13/09/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Orazio Di Mauro
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