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Brexit: inizia la ristrutturazione da destra dell’Unione Europea – Parte II

La voglia di indipendenza di Scozia e Irlanda.


Brexit: inizia la ristrutturazione da destra dell’Unione Europea – Parte II Credits: https://www.flickr.com/photos/jza84/

Il cammino del Regno Unito verso la porta d’uscita dall’Unione Europea, continua. La Notifica di Ritiro dall’Unione Europea è stata approvata definitivamente dalla Camera dei Comuni che ha anche rigettato i due emendamenti approvati dalla Camera dei Lord – di cui avevamo parlato nella prima parte - sui diritti di residenza dei cittadini dell’Unione Europe e sul potere di veto del Parlamento rispetto all’accordo finale tra Unione Europea e Regno Unito.

Una svolta sgomberato il campo dai passaggi tattici, si possono mettere alcuni punti fermi:

  • La guerra scatenata dalla destra di Tony Blair dentro il Labour ha dato saldamente il controllo delle operazioni al governo conservatore di Theresa May. Per avviare formalmente la procedura, May dovrà invocare l’Articolo 50 del Trattato di Lisbona, cose che promette di fare entro la fine di Marzo;

  • Il campo del contendere ora si sposta sulla questione del commercio: il governo inglese vuole uscire dallo Spazio Economico Europeo (EEA) e contrattare un nuovo accordo commerciale. Quanto l’UE concederà su questo accordo commerciale? Quanto saranno liberi di muoversi i capitali dopo l’accordo? Come seconda questione, gli obblighi finanziari del Regno Unito verso l’Unione. May vuole disattendere i pagamenti sottoscritti a suo tempo da Cameron, l’Unione ovviamente vuole che vengano rispettati tutti gli impegni;
  • La Brexit ripropone l’indipendenza della Scozia e dell’Irlanda come opzioni politiche praticabili;
  • Insieme alla Brexit parte il processo di ristrutturazione dell’Unione Europea da destra.

Problemi a Edimburgo

Nicola Sturgeon, primo ministro del governo devoluto della Scozia, ha annunciato di voler indire un secondo referendum per l’indipendenza della Scozia. Un referendum da tenersi, nelle intenzioni della Sturgeon, prima dell’accordo definitivo tra UE e Regno Unito. Un referendum cui il governo inglese non intende dare nessun valore legale, almeno fino a quando Sturgeon insisterà per tenere la nuova consultazione prima del divorzio definitivo tra Regno Unito e Unione Europea.

Il referendum del 2014 era stato fortemente voluto dal Partito Nazionale Scozzese (SNP), il partito socialdemocratico largamente maggioritario in Scozia, e aveva visto il 44,7% degli elettori sostenere l’uscita dal Regno Unito. All’interno del voto per l’indipendenza, si manifestava anche un voto contro l’austerità, vissuta dagli scozzesi come un’imposizione di Londra.

I sondaggi sul nuovo referendum – per ora ancora ipotetico – segnalano un margine più ristretto ma pur sempre con il NO all’indipendenza in testa. Ovviamente, i sondaggi vanno maneggiati con cautela, soprattutto quando la consultazione non è ancora ufficialmente convocata e molti elettori non prestano attenzione al problema. In ogni caso, per quanto l’SNP possa vantare una chiarissima maggioranza relative (44% dei voti nel 2016) la vittoria dell’indipendenza non è scontata. Gli altri partiti continuano a sostenere l’adesione al Regno Unito e insieme hanno una – del tutto teorica - maggioranza: Labour col 22,6%, Conservatori col 22%, Liberal Democratici col 7,8%. Ma in una fase di grandi cambiamenti si corre il rischio di basarsi su precedenti ormai datati.

Il vero problema per Sturgeon potrebbe essere proprio la questione dell’Unione Europea. L’obiettivo dell’SNP sarebbe quello di una Scozia indipendente all’interno dell’UE. Nel referendum sulla Brexit, all’incirca un terzo degli elettori dell’SNP ha votato leave. C’è stato un elemento di ribellione contro l’austerità sia nel voto contro l’Unione Europea sia nel voto contro il Regno Unito. Le rilevazioni che costantemente vengono svolte stanno rilevando una crescita dei sentimenti anti UE anche in Scozia. Se ci dovesse essere un nuovo voto sul Regno Unito, non è chiaro quale contro andrebbe a prevalere.


Problemi a Belfast

Un referendum potrebbe arrivare anche in Irlanda. Dopo l’avanzamento del Sinn Fein nelle elezioni per il Parlamento dell’Irlanda del Nord i partiti fedeli al Regno Unito sono finiti per la prima volta sotto la maggioranza assoluta.

La sinistra nazionalista vuole sfruttare questa congiuntura per arrivare finalmente all’unificazione nazionale, all’interno dell’Unione Europea. La proposta di referendum scozzese ha attirato le attenzioni dei media internazionali ma il referendum più pericoloso per la disunione del Regno potrebbe venire proprio dall’Irlanda del Nord. Ovviamente il governo di Londra dichiara di non voler dare legittimità neanche a questo referendum. Ma, c’è un ma: il governo di Londra sarebbe legalmente obbligato. Secondo gli Accordi di Pace del Venerdì Santo, l’Irlanda del Nord ha il diritto di tenere un referendum sull’unificazione nazionale e Londra ha il dovere di rispettare gli esiti. Gli stessi Accordi di Pace prevedono che il governo di Belfast deve essere formato in coabitazione da partiti nazionalisti e partiti unionisti (cioè, fedeli a Londra). Ora il Sinn Fein è tornato a chiedere con forza il referendum, anche se non l’ha posto (ancora) come condizione per sostenere un nuovo governo e non innescare nuove elezioni anticipate.

La Brexit a Londra ha svoltato a destra, e non si ripeterà mai abbastanza che non è un destino ineluttabile ma il risultato del suicidio della socialdemocrazia. A Belfast e a Edimburgo la storia potrebbe essere diversa.

18/03/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: https://www.flickr.com/photos/jza84/

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L'Autore

Paolo Rizzi
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