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Barcellona 17 Agosto 2017

Tentare di capire qualcosa di più sulla strategia del terrorismo islamista ci porta in Paesi Nord-africani.


Barcellona 17 Agosto 2017

RABAT. Giovedì 17 agosto 2017 sarà ricordato per l’attacco terroristico di matrice islamista radicale a Barcellona e in un centro turistico a qualche chilometro di distanza, sulla costa catalana. La cronaca e i commenti con le prime analisi li consideriamo già seguiti e conosciuti. Resta sottesa la domanda a cui si dovrebbe dare risposta: Qual è adesso la strategia del terrore islamista?anche se spesso la Storia e la geo-politica ci hanno insegnato che molte risposte arrivano senza che si pongano le domande. Partiamo, allora, dal ricordo di dove nasce l’idea di Stato Islamico e la sua concretizzazione.

Si fa cenno a sporadiche manifestazioni di antica militanza oltranzista religiosa condotta con metodi sanguinari da sette in Persia e negli ex-domini fatimidi di Egitto e Siria. Si fa cenno anche a episodi più rilevanti nel secondo dopoguerra, a opera di organizzazioni che hanno fatto ricorso ad attentati dinamitardi, rapimenti, dirottamenti aerei, omicidi e attentati suicidi. Tutto sempre per l’instaurazione di un nuovo ordine sociale legato ai valori dalla propria fede per contrastare le sfide del presente volute dal mondo circostante. Dopo il 750, con la fine del califfato omayyade, i sostenitori della dinastia abbattuta dagli Abbasidi attendevano il Sufyāni, il deposto casato omayyade del ramo sufyanide, ciò che avrebbe ripreso per volere divino la Umma con la sua purezza originaria. Nel 1258 la presa di Baghdad da parte dei Mongoli con l’eliminazione del califfato abbaside venne letta dal teologo hanbalita Ibn Taymiyya come allontanamento della comunità dei credenti dalla retta via della prima Umma musulmana.

Attualmente le azioni dei gruppi oltranzisti sono il nuovo tentativo di ricreare una società perfetta secondo i dettami del Corano senza le ingiustizie sociali, politiche ed economiche che sono dei regimi secolarizzati del mondo occidentale, infedele e asservito al Cristianesimo e al sionismo, ostili all’Islam più puro. C’è chi sottolinea come non vadano dimenticati episodi come la rivoluzione iraniana, il ritiro sovietico dall’Afghanistan e il tentativo di rivitalizzazione della religione a livello globale dopo gli anni della guerra fredda. Nel 1979 la rivoluzione islamica in Iran impose l’ayatollah Khomeini che instaurò la shari’a nel Paese e finanziò gli Hezbollah in Libano, poi gruppi radicali islamici in Giordania, Arabia Saudita ed Egitto

Meno recente è la nascita del primo movimento che pensò alla lotta per ripristinare lo stile di vita ortodosso dei primi credenti (salaf al-ṣalihīn) salafiti: fu quello dei Fratelli Musulmani, fondato in Egitto nel 1928 da Hasan al-Banna e che si diffuse in Siria, Giordania e Sudan e alla fine degli anni Quaranta contava su circa 500.000 adepti, ma ancora il salafismo non era rigidamente fondamentalista.

Dobbiamo passare alla prima fase della guerra afghano-sovietica e all’impegno di Ayman al-Zawāhirī e Abd Allāh al-Azzām, la cui predicazione influenzò Bin Laden e la sua organizzazione Maktab al-Khidamat (MAK), che gestiva l’afflusso di volontari e fondi per sostenere i mujaheddin. La più netta trasformazione del terrorismo islamico nasce con nuovi Stati con grandi disponibilità finanziarie come l’Arabia Saudita e gli emirati del Golfo Persico, dove i governi si influenzano con gli ambienti clericali islamici e con le dottrine legate a correnti di pensiero integraliste come il wahhabismo. Questi Stati hanno direttamente e anche indirettamente finanziato gruppi legati al terrorismo. Gli analisti sottolineano che non esiste un automatismo tra donazione e finanziamento diretto al terrorismo, ma è provato che parte dei soldi destinati a opere assistenziali è stata usata per gestire istituzioni di accoglienza in aree come il Pakistan, da cui gli stranieri provenienti dal Golfo Persico, dalle Filippine o da altri Paesi con una popolazione almeno in parte islamica sono stati smistati presso i campi di addestramento situati in Afghanistan, dove è stata fatta una ulteriore selezione tra i candidati, destinandone alcuni a corsi specifici di uso degli esplosivi e demolizione o gestione degli ostaggi. In alcuni casi i fondi sono stati usati per finanziare direttamente spedizioni di armi, come avvenuto a opera dell’Alto Commissariato saudita per i rifugiati all’Alleanza Nazionale Somala (SNA) di Mohammed Farrah Aidid, in cui armi e munizioni provenienti da Sudan e Iraq sarebbero stati trasportati dai Sauditi, insieme a beni di necessità, nascoste nei doppi fondi di container fino ai magazzini della SNA a Mogadiscio.

Qui sorgono alcune domande: se le motivazioni dei terroristi o supposti tali siano di auto-difesa o espansionistiche, di autodeterminazione popolare o di supremazia islamica, gli obiettivi dei terroristi o supposti tali sono non esclusivamente di tipo militaristico? L’Islam perdona o giustifica, e in quali casi, il terrorismo? Alcuni attentati vanno compresi in un disegno generale di terrorismo islamista o sono da considerare semplici atti di terrorismo attuati da singoli musulmani, magari esaltati? Quanto appoggio concreto c’è nel mondo musulmano e per quale tipo di terrorismo islamista propende? Il conflitto arabo-israeliano sta alla radice del terrorismo islamista o ne è una semplice concausa? E, a pensarci su un po’ magari in compagnia di qualche giovane studioso musulmano marocchino, si tratta di quelle risposte che ci sono senza fare domande. Chi svolge analisi geo-politica da queste parti sostiene che il modo con il quale il terrorismo viene combattuto dagli Stati Uniti d’America non è efficace. Viene, a esempio, raccolto un eccesso di informazioni, ma poi non vengono analizzate. Manca un efficace coordinamento tra le troppe agenzie federali statunitensi.

Stati Uniti e Israele rimangono ufficialmente gli obiettivi primari da colpire per il terrorismo islamista, anche se poi gli attentati avvengono per lo più in altri Paesi e contro altri obiettivi, tutti concorrenziali al dominio degli Usa. Già a metà degli anni Novanta: in Francia, dopo la guerra civile algerina; in Russia, dopo la seconda guerra cecena; in Cina, dopo l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai voluta per combattere i movimenti islamici in Asia centrale. Non dimentichiamo, poi, le continue guerre nei Paesi arabi e musulmani, le migliaia di attentati con migliaia di morti. Tra il 2005 e il 2007 l’Iraq fu il luogo dove si concentrò maggiormente l’attività terroristica e solo nel 2005 oltre 8.000 iracheni morirono a causa di attentati.

Dobbiamo anche ricordare che l’attività dei terroristi islamisti è indicata come jihad, che vuole significare sforzo, impegno, bellico. Negli ultimissimi anni anche in Italia si è riscontrato un deciso aumento della cyber-jihad, cioè dell’attività terroristica programmata ed effettuata via web..

L’esercito dello Stato Islamico in guerra su vasti territori medio-orientali è di questi tempi un esercito in disfatta, può essere sconfitto laddove ancora combatte pur avendo perso, oltre a migliaia di soldati, i suoi capi. Quelli che hanno addestrato centinaia di miliziani, arrivati nei luoghi del Califfato anche da Paesi occidentali, soprattutto europei. Indottrinamento, preparazione tecnica, esercizi sui campi di battaglia, poi ritorno nei Paesi di provenienza come cellule pronte per azioni terroristiche, a volte individuali e altre volte collettive. La preparazione continuata via Internet e i social-web.

Qui, nel territorio del Marocco, dopo aver percorso a ritroso il viaggio di molti foreign fighters, non è semplice colloquiare, la stampa occidentale è considerata complice tra nemici da sterminare, con ogni mezzo, per la vittoria e la supremazia dello Stato Islamico. Eppure proprio la svolta degli Ulema del Marocco ha frenato il radicalismo estremo. “Quello che ha reso davvero forte lo Stato Islamico, sino a ora, è stato il suo forte potere attrattivo verso tanti giovani musulmani scontenti della propria vita, in cerca di rivincita e disposti ad addossarsi l’etichetta di foreign fighters pur di mettere piede in quella che è una sorta di “terra promessa” del radicalismo. Questa sua forte propensione attrattiva ha costituito il suo vero punto di forza che si è  posto alle fondamenta per la creazione di un vero e proprio  Stato situato tra Siria e Iraq” (ndr, mi sento ripetere). Cosa hanno fatto gli Ulema, ovvero i dotti islamici? “Ladecisione degli ulema del Marocco di non voler punire con la pena di morte chi decide di abbandonare la religione o di convertirsi potrebbe essere una svolta importantissima nei confronti di chi, con ogni mezzo, strumentalizza l’Islam per scopi criminali. Nello Stato abusivo di Al Baghdadi, infatti, chi rinnega la religione islamica viene, ancora oggi nei giorni della disfatta, barbaramente assassinato”.

Il Marocco ha anche sviluppato i servizi anti-terrorismo e la loro collaborazione con quelli spagnoli, italiani, francesi e algerini è intensa. Ciò nonostante i fatti del 17 agosto 2017 a Barcellona sono lì a far nascere domande che una risposta vorrebbero ottenerla. .

Esplose una bomba in un caffè di Marrakech e subito dopo il governo di Rabat, per impulso del re Mohammed Sesto, ha preso provvedimenti radicali e complessi: ha monitorato capillarmente le migliaia di moschee del Paese, espellendo tutti i predicatori e gli Imam ambigui o addirittura complici nei confronti del salafismo e dello jihadismo. Da tempo tutte le moschee marocchine sono sottoposte al controllo fiscale del Segretariato del Consiglio degli Ulema, i cui vertici rispondono direttamente al sovrano, che ha il ruolo costituzionale di Emiro dei Credenti, non solo dei musulmani, ma anche dei Cristiani e degli Ebrei.

Il re, con il ministro degli Habous (del Culto), ha radunato nella Rabida, tutti i migliori ideologi e teologi musulmani, sotto la guida del professor Jalal, affidando loro il compito di monitorare il tessuto sociale e religioso marocchino, elaborando e attivando corsi capillari in tutto il Paese, scuole e quartieri, contro la radicalizzazione” mi dicono. Cos’altro si può aggiungere per ribadire che la “primavera” marocchina ha lasciato qualche effetto? “Particolare attenzione viene dedicata in Marocco alle carceri con la decisione di rendere autonomo il Dgapr, il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria e il Reinserimento, dal ministero della Giustizia, al cui vertice è stato posto un ex prigioniero politico. Questa struttura ha in custodia 3.600 jihadisti detenuti e applica efficienti protocolli di de-radicalizzazione che hanno già portato a eccellenti risultati, tanto che sono state già deliberate dal re su proposta del Dgapr 100 amnistie totali” è una risposta.

26/08/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Guido Capizzi
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