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America Latina, convulsioni di un continente

Un’assemblea popolare tenuta vicino Roma ha dato voce alle lotte dei popoli latinoamericani


America Latina, convulsioni di un continente

Dal particolare al generale. Da un’iniziativa politica locale di discussione della situazione latinoamericana alla raccolta e alla elaborazione di preziose informazioni per comprendere la nuova fase di lotta dei popoli dell’Altra America, contro l’offensiva dell’imperialismo Usa e delle oligarchie al suo servizio.

Parliamo dell’assemblea pubblica “America Latina, convulsioni di un continente” che si è tenuta il 20 novembre scorso presso il circolo “Antonio Gramsci” di Rifondazione Comunista a Ciampino (Roma). Un’esperienza preziosa che vale la pena riportare su questo giornale e che ha visto protagonisti dei compagni latinoamericani che hanno dato modo di sviluppare una riflessione feconda su una situazione comune ai loro paesi: tra rivolte popolari, crisi economiche e tentativi di golpe ispirati dall’esterno. In particolare la discussione ha affrontato le vicende del Cile, della Bolivia e dell’Argentina per la quale il compagno Giorgio Ceriani (argentino e attivista di Rifondazione comunista a Roma) ha inquadrato la situazione economica e politica del suo paese nel contesto delle lotte del continente. Vi è stato poi un accenno al Brasile e alla scarcerazione di Lula, avvenuta in proprio in quei giorni.

La rivolta del popolo cileno, Allende e il Che

Particolarmente interessante è stato il contributo di Luciano Zerega sul Cile: accurato per la sua vicinanza alla difficile situazione del paese a cui è legato anche da vincoli familiari: “come posso tradurre quello che noi cileni all'estero sentiamo e abbiamo ricevuto come segni di solidarietà al nostro popolo per la dura lotta in cui è impegnato. Sono metà cileno, metà italiano. Vengo dal Cile, un paese piccolo, come diceva un certo Salvador Allende, che mai è stato più profetico nel suo ultimo discorso, e cito testualmente: ‘Il popolo deve difendersi, però non sacrificarsi. Il popolo non deve lasciarsi annientare né colpire, neanche può umiliarsi. Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Supereranno altri uomini questo momento grigio ed amaro nel quale il tradimento pretende imporsi. Continuate voi sapendo che, molto più presto che tardi, ancora una volta si apriranno i viali dove passerà l'uomo libero, per costruire una società migliore’”.

In Cile le ricchezze del paese sono tutte nelle mani delle banche e degli imprenditori stranieri con la classe medio–bassa in situazione di precarietà e di impoverimento a causa dei salari che non aumentano mentre contemporaneamente ci sono i rincari dei prezzi, ci si indebita per sopravvivere e per studiare. Il problema strutturale del paese è la diseguaglianza.

Ecco alcuni dati statistici evidenziati nella relazione: 

  1. Un quinto della popolazione percepisce un reddito pro-capite di circa 140 dollari al mese.
  2. Metà della popolazione percepisce un reddito all'incirca di 550 dollari al mese.
  3. Due terzi della società cilena pensa che sia ingiusto che chi ha di più possa permettersi un'istruzione ed una sanità migliore. 
  4. L'elaborato sistema di evasione fiscale delle società e dei gruppi più ricchi ha un costo di circa 1,5 miliardi di dollari annui per lo Stato.

Le proteste continuano e anche la repressione violenta ma questa volta il popolo sembra aver perso la paura per la repressione militare, già vista nel '73 con la dittatura di Augusto Pinochet, resistendo al grido di El pueblo unido jamas serà vencido, intonando canzoni di Victor Jara e il canto Bella Ciao, come ci dice Luciano che ci ricorda che: “Una cosa però appartiene al popolo cileno, la parola, non la rivoluzione armata, ma la rivoluzione popolare attraverso la manifestazione di piazza e l'organizzazione delle assemblee. Un qualcosa a cui si riferì il Che e che scrisse come dedica al caro Salvador Allende ‘A Salvador Allende che con altri mezzi cerca di ottenere la stessa cosa. Con affetto, Che’, Proprio, la parola”.

Bolivia, cronaca di un golpe reazionario

Il caso della Bolivia evidenzia l’interesse degli Stati Uniti nelle risorse del Paese e l’opposizione al “Decreto Supremo” del primo governo di Evo Morales che poneva a suo tempo una nuova definizione politica della gestione dell’economia e delle ricchezze minerarie nazionali e la conseguente centralizzazione dell’impresa statale YPFP, Yacimientos Petroliferos Fiscales Bolivianos. Da quel momento le imprese boliviane che rappresentavano o erano intermediarie delle multinazionali non hanno potuto più spadroneggiare sulla vendita del gas in Bolivia. Il gruppo che sembra aver maggiormente risentito di questa nazionalizzazione è stata la Compañia Camacho che monopolizzava la vendita del gas boliviano al Brasile. È forse un caso che a guidare le proteste contro Evo Morales sia stato proprio Luis Fernando Camacho?

L’altra decisione politica determinante in Bolivia, risalente al terzo governo di Evo Morales, è stata la legge che sviluppava la Estrategia Nacional de Industrialización (strategia nazionale di industrializzazione) che nel 2016 prevedeva la realizzazione di grandi progetti industriali collegati con l’estrazione e la trasformazione di minerali (litio e cloruro di potassio, ma anche cobalto, torio, uranio e gallio). È opportuno ricordare che la Bolivia è il principale produttore di litio al mondo con una riserva di 9 milioni di tonnellate metriche (secondo il servizio geologico degli Stati Uniti, che lo considera cruciale per l’economia statunitense, le cui agenzie valutano il rischio geopolitico dei progetti di esplorazione).

Il governo di Evo Morales stava preparando la bozza per possibili accordi di cooperazione con Argentina, Russia, Francia e Iran per arricchire l’uranio in vista del programa civil de energia nuclear che prevedeva di investire 2 miliardi di dollari per la costruzione di due centrali nucleari. Da ricordare che nei grandi progetti di Morales figurava anche l’ampliamento di una fabbrica di batterie al litio per le auto elettriche e una fabbrica di auto elettriche per coprire il mercato latinoamericano. Camacho e i suoi alleati (in Brasile) lavoravano invece per la privatizzazione delle risorse del paese. Non è un caso che il presidente del Brasile, Bolsonaro è stato il primo a riconoscere il nuovo governo in Bolivia.

Camacho avrebbe garantito al ministro Ernesto Araujo la realizzazione di un programma di privatizzazione come quello brasiliano e la privatizzazione della YPFB, l’azienda statale del gas. Ciò che ha pesato sulla decisione di Evo Morales di concorrere a tutti i costi per la quarta volta alle elezioni riguarda il cambio politico che una eventuale vittoria di Carlos Mesa avrebbe imposto al popolo boliviano con il ritorno delle privatizzazioni distruggendo tutto quello che era stato costruito durante tre governi. In pratica quello che Moreno sta facendo in Ecuador e quello che Bolsonaro ha già fatto in Brasile.

Di tutto questo è auspicabile che si torni a parlare in tutta Italia, un paese che evidenzia l’emergere di una destra razzista con alcuni caratteri simili a quelli delle compagini pro-oligarchiche in America Latina. Noi del circolo Gramsci di Ciampino certamente lo faremo cercando di far parlare i protagonisti di queste lotte.

Dati statistici: La Bolivia è un paese dove il 58% della popolazione è etnicamente indigeno (28% sono Quechuas, 19% Aymaras e 11% di altri gruppi etnici indigeni), poi il 30% è formato dai mestizos (figli di europei con indigeni) e solo il 12% di origine europea.

08/12/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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