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Scioperi! Proteste!

Una panoramica degli scioperi e delle proteste contro la concreta ipotesi che l’attuale gravissima crisi la facciano pagare ai lavoratori.


Scioperi! Proteste!

Stiamo vivendo tempi molto difficili scanditi da grandi trasformazioni, da grandi conflitti e contraddizioni che sembrerebbero aprire la porta a cambiamenti radicali, il cui esito però non è scontato e può prendere ancora una volta la china deleteria della cosiddetta globalizzazione neoliberista. Con essa, dopo le vittorie dei lavoratori nei paesi capitalistici avanzati, abbiamo assistito pressoché inermi alla rottura del compromesso capitale-lavoro del secondo dopoguerra e alla restaurazione del potere capitalistico. Tuttavia, oggi la classe dominante si è ristrutturata ed è costituita da coloro che, secondo Kees Van Der Pijl, controllano la finanza, la produzione di larga scala, i media, le università, i governi, il sistemi di salute e si consultano tramite associazioni quali Bilderberg, Atlantic Council, Trilateral Commission ect., operando dunque a livello internazionale, mentre i lavoratori sono frantumati nel loro stesso paese.

In questo complicato contesto non mancano gli scioperi, le proteste, le manifestazioni, ma purtroppo per ora siamo ben lontani da un movimento coerente, organico e deciso a farla veramente finita con il capitalismo, responsabile di tutti questi gravi problemi e difficoltà. Come qualcuno scrisse nel 1938, le condizioni oggettive per un’avanzata dei lavoratori sono più che mature, purtroppo manca un’adeguata coscienza a dimostrazione che l’appartenenza di classe non è solo legata a una determinata collocazione socio-economica, ma necessita anche della consapevolezza del proprio ruolo.

Farò qui un breve elenco non esaustivo dei recenti scioperi e manifestazioni in varie parti del mondo, nei quali i lavoratori sono scesi nelle strade per ottenere rivalutazioni salariali, migliori condizioni di lavoro, esprimendo spesso la loro opposizione alle politiche autoritarie inaugurate con la pandemia, ancora persistente, nonostante se ne parli poco, e alla guerra.

Cominciamo con l’Italia dove in questa settimana si sono svolti degli scioperi generali regionali di 24 ore dei settori privati e pubblici, proclamati dalla CGIL e dalla UIL contro la legge di Bilancio

Da varie settimane la Gran Bretagna, avvolta da una gravissima crisi, è scossa da importanti scioperi, che il governo conservatore capeggiato dal solito miliardario intende reprimere con forza, pensando addirittura di promulgare leggi più dure contro il diritto di sciopero. Nei prossimi giorni centinaia di migliaia di impiegati delle compagnie aeree, infermieri, conducenti di ambulanze, funzionari pubblici, controllori delle frontiere, sostituiti dall’esercito, si uniranno agli scioperi nazionali, che durano da vario tempo, dei ferrovieri e dei lavoratori delle poste. Il blocco dei trasporti non si fermerà durante le vacanze natalizie, a dimostrazione dell’esasperazione dei lavoratori, tra i quali dobbiamo annoverare anche circa 350 ingegneri che lavorano per la Great Western Rail, che hanno avuto i loro stipendi congelati. Gli insegnanti delle scuole secondarie di tutta la Scozia si sono astenuti per due giorni dal lavoro per rivendicare aumenti salariali non al di sotto dell’inflazione che sta rendendo sempre più difficile la vita dei lavoratori del Regno Unito.

Almeno da novembre in Francia abbiamo assistito alla quasi paralisi del trasporto pubblico dovuta allo sciopero dei lavoratori, che ha suscitato simpatie nei settori popolari colpiti dalla crisi sistemica e dalla pandemia. Nel mese di ottobre c’erano stati i grandi scioperi dei lavoratori delle raffinerie che avevano provocato la scarsità dei carburanti, ma anche il settore educativo ha espresso con forza il suo malcontento, dato che circa il 20% dei docenti non ha un posto stabile a detrimento dell’insegnamento. 

In Spagna i medici di base e pediatri continuano lo sciopero a tempo indeterminato, insieme ad altri operatori sanitari, sicuramente uno dei settori più colpiti dalla pandemia, e stanno aspettando dal 2 dicembre che il governo convochi il comitato degli scioperanti, i quali si lamentano del sovraccarico lavorativo e della crisi del sistema di cure primarie. Per manifestare la loro protesta si sono concentrati dinanzi ai principali ospedali di Madrid, gridando slogan efficaci a difesa della salute pubblica. 

Merita di essere ricordata anche la manifestazione dei lavoratori bulgari contro l’ipotesi di abbandonare la moneta nazionale e di adottare l’euro, misura che – come si è riscontrato anche nel nostro paese - peggiorerebbe di molto le condizioni di vita delle masse popolari. Evidentemente i bulgari non si sentono a loro agio nel territorio coltivato dal giardiniere europeo, tal Joseph Borrell.

Talora i media lasciano trapelare qualche notizia sulla difficilissima situazione dei lavoratori negli Usa, dai quali ci arrivata l’espressione working poor per designare coloro che, pur lavorando, non riescono a far fronte alle loro più elementari esigenze come, del resto, avveniva prima della crescita espansiva del secondo dopoguerra. Per quello che so, nulla ci è stato comunicato sugli intensi scioperi di 48.000 lavoratori dell’Università della California, costretti a vivere con 2.000 dollari al mese in uno dei luoghi più cari al mondo. Lo sciopero, sostenuto dagli studenti e dagli operai, rischia di finire miseramente perché i sindacati sembrano disposti a firmare un accordo insoddisfacente per i ricercatori accademici e per i dottori di ricerca, che fanno la maggior parte della didattica, spezzando così il movimento finora unitario. In tutto questi ultimi sono 12.000, mentre gli altri 36.000, tra i quali per esempio gli assistenti didattici, sembrano intenzionati a continuare la lotta da soli. Tutti questi lavoratori sono precari e la loro condizione è il risultato delle politiche neoliberiste applicate anche in Italia in tutti i settori, ma in particolare in quello educativo, le cui componenti in verità ad oggi non si sono mostrate finora molto combattive. 

Non è questo l’unico sciopero che sconvolge gli Usa; ce ne sono molti altri tra i quali ricordo la lunga astensione dal lavoro di circa 1.000 operai che stanno protestando da sette mesi contro la CNH Industrial, che produce macchine agricole e da costruzione. Probabilmente è la lotta più lunga portata avanti dagli iscritti al sindacato United Auto Workers dopo quella durata 17 mesi condotta dai lavoratori della Caterpillar nel 1994-95. Più significativo è lo sciopero di 120.000 ferrovieri, cui l’amministrazione Biden e il cosiddetto Partito di Wall Street (ossia repubblicani e democratici uniti) si sono mossi rapidamente per bloccare la protesta ed imporre contratti favorevoli alle aziende ferroviarie, sostenendo due falsità: gli aumenti salariali provocano l’inflazione e gli scioperi dei treni danneggiano le famiglie. L’inflazione è invece generata dall’aumento dei margini di profitto delle aziende come al solito insaziabili.

Passando ad un altro continente, osserviamo che, nella Russia asiatica, stanno scioperando centinaia di lavoratori del giacimento di gas di Kirinskoye, che produce centinaia di milioni di metri cubi di gas all'anno e che è situato a 28 km dall'isola Sakhalin nel Pacifico settentrionale. Sono in agitazione dalla fine di novembre, perché i loro salari non sono stati pagati, nonostante i lauti guadagni della compagnia. Sempre in Asia abbiamo visto le proteste in Sri Lanka contro il governo antipopolare, in Cina contro la politica “covid zero”, che sembrerebbe esser stata mitigata dal governo, anche su pressione delle grandi potenze per le sue ripercussioni sul sistema economico globale. In precedenza c’era stato un grande sciopero nella Corea del Sud, paese alleato degli Usa, contro gli attacchi ai diritti del lavoratori e per esigere la liberazione del presidente di un importante sindacato ingiustamente arrestato. 

In America Latina, in particolare in Colombia, Bolivia o Perù, si sono verificate varie proteste scaturite dalla mancanza di sintonia con i governi nazionali e locali (eclatante è il caso del Perù dove è stato realizzato il solito colpo di Stato), dalla collera per la corruzione dei politici, dalla crisi economica, dalla violenza di genere etc. La settimana passata studenti e gruppi femministi sono scesi nelle strade di Bogotá per esprimere il loro disappunto per i casi riscontrati di abuso sessuale e per esigere il miglioramento delle infrastrutture universitarie e serie misure contro la corruzione. 

Anche i lavoratori africani sono in agitazione e mostrano sempre più la loro ostilità verso le potenze neocoloniali che continuano la loro opera di espoliazione e di rapina ai danni del continente. In Sud Africa il 6 ottobre scorso i lavoratori del settore della logistica hanno dato il via a uno sciopero per ottenere aumenti salariali e un trattamento più umano. La sospensione del lavoro è stata fatta per colpire la corporazione Transnet, che opera nei porti e nelle ferrovie, ed ha di fatto paralizzato le esportazioni che comprendono carbone, minerale di ferro, cromo e manganese. Questo blocco è stato molto importante perché i porti sudafricani sono utilizzati anche da altri paesi del continente come la Zambia, lo Zimbabwe e la Repubblica Democratica del Congo, che è il maggior produttore al mondo di cobalto.

Anche in un continente privilegiato come quello australiano, se non teniamo in conto le condizioni miserabili di vita degli aborigeni sopravvissuti allo sterminio, si stanno verificando gli stessi fenomeni. Per esempio, i lavoratori dello Apple Store faranno sciopero negli ultimi giorni del mese di dicembre in coincidenza con le feste natalizie e con un periodo quindi di grandi vendite. Per evitare questo disastro Apple sta trattando con i lavoratori, i quali hanno implementato una campagna di sindacalizzazione (cosa che sta accadendo anche negli Usa) per combattere la precarietà che rende sempre più ardue le condizioni di vita delle masse popolari.

Come si vede, in tutti i continenti si notano scintille di sommovimenti il cui obiettivo è il cambiamento radicale del sistema sociale in tutti i suoi aspetti, dato che ogni forma di aggiustamento sembra ormai impraticabile, il nostro auspicio è che si trasformino in qualcosa di più consistente e collegato a livello internazionale, prendendo a imitazione il comportamento degli attuali padroni del mondo.

16/12/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

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