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Roma, molte ombre e pochi raggi per il M5S

Se per Lenin anche una cuoca poteva andare al governo attraversando un processo di soggettivazione politica, qui si tratta spesso di cittadini e cittadine autopromossisi in assenza clamorosa di soggettivazione politica


Roma, molte ombre e pochi raggi per il M5S Credits: www.riciclanews.it

Il fenomeno dei moderni populismi ha caratteristiche sociali, politiche, economiche, culturali. Qui non si tratta di ricordarne i termini storici e politici generali, dalle espressioni ottocentesche alle forme apparse fin dal secolo scorso in America Latina. Ci vorrebbe un trattato. Qui importa fondamentalmente accennare al fenomeno quale si è diffuso attualmente in Europa e in Italia.

Va osservato in primo luogo che alle origini c’è sicuramente la crisi delle formazioni politiche novecentesche, nel senso non dell’esaurirsi della loro funzione ma della crisi della loro capacità di “rappresentare” pezzi della società, o ceti, o classi (nel caso delle formazioni di sinistra): su questa perdita di “senso sociale” si è abbattuta la grave crisi economica degli ultimi decenni, con le implicazioni economico-finanziarie, la diffusione del senso di sfiducia, di isolamento, di vera e propria solitudine di larghi strati di popolazione caduti in un individualismo corporativo. Assistiamo quasi impotenti ad un intreccio tra ristrutturazione oligarchica dei poteri e disgregazione corporativa e atomistica della società.

In Europa la protesta – e l’indignazione – nei confronti del dominio del capitalismo finanziario ha assunto prevalentemente le forme di una destra razzista, xenofoba, nazionalista; lì tuttavia c’è la presenza di forze organizzate che si richiamano in maniera più o meno consapevole, più o meno dichiarata, alla tradizione della sinistra “aggiornata” e “contaminata” dai nuovi movimenti.

In Italia c’è un fenomeno originale: a contendere il consenso tra i settori sociali colpiti dalla crisi, alle formazioni razziste e xenofobe come Lega e FI, si è “affiancato” il Movimento 5 Stelle che ha caratteristiche particolari. Gli ideatori, un brillante comico e un imprenditore di software di formazione di destra, hanno dato voce e corpo a forme di movimentismo e di protesta messe in atto da uomini e donne che appaiono (e spesso vogliono apparire) senza storia, senza politica, senza passato: autodefinendosi “cittadini” ma senza avere un’idea del significato complesso del temine e delle pratiche di cittadinanza.

La parola d’ordine “né di destra né di sinistra” è uno slogan “fortunato” nell’attuale spoliticizzazione di massa. In Europa ci si può alleare con Farage, in Veneto votare i provvedimenti leghisti contro rom e sinti, altrove si possono assumere posizioni No Tav e contro le speculazioni immobiliari. Tutto pescando con disinvoltura nelle classi popolari colpite e “imbarbarite” dalla crisi, in un ceto medio frustrato o in una “sinistra” sociale senza più riferimenti. Molti/e di noi abbiamo finito con il considerarli l’unico argine al dilagare di Renzi e del renzismo; molti/e di noi speriamo che, acquistando la cosiddetta cultura di governo, essi riescano ad aprirsi ad “alleanze” con la sinistra. Al contrario: non si tratta di scarsa cultura di governo, si tratta di un modo di intendere il governo come gestione dell’esistente, per sostituzione, con molti compromessi sociali e nessuna idea-guida o prevalente. Dunque sostituzione e non trasformazione del Potere.

Dentro questa strategia il sistema di governo propugnato come “nuovo” e “anticasta” dal M5S è quello della presunta alterità e superiorità morale dei tecnici rispetto ai politici. Nulla di più falso e pericoloso. Falso perché questi “tecnici” campano da sempre, con le loro consulenze e attività lobbystiche, dentro le maglie proprio di quelle politiche liberiste e affaristiche e non vengono dal Paese di Bengodi. Pericoloso perché le direttive sono sempre politiche e semmai sono le “strade” per applicarle che richiedono personale preparato per l’applicazione concreta. Il modello “tecnocratico”, invece, in questi anni è stata una mera variante del modello liberista che il capitalismo sostiene in tutti i paesi europei, in particolare in quelli strozzati dal debito e sotto “tutela” della BCE. Ed è stata una variante usata proprio per “espropriare” le decisioni politiche a qualsiasi luogo di confronto politico democratico (persino quelli meramente formali) e fregarsene di eventuali opposizioni o movimenti popolari.

Basti pensare alla questione delle nomine assessorili della giunta Raggi a Roma dove, nelle fila grilline, si grida continuamente (spesso a ragione) al complotto dei “poteri forti” sui mezzi di informazione per screditare il M5S e offuscare le responsabilità passate di chi ha mal governato la città. Ma oltre alle strumentalizzazioni indecenti, per motivi di opportunismo politico, di destre e PD ci si può stupire delle reazioni di mezzi di informazione le cui proprietà sono proprio di gran parte di quei “poteri forti”?

Questo rende evidente semmai che per contrastare i “poteri forti” del capitalismo, a Roma come nel resto del paese, non bastano gli slogan elettorali. Arrivati a conquistare gli scranni governativi bisognerebbe essere già preparati a questo tipo scontro e col personale politico adeguato. E per avere un personale politico adeguato a “rovesciare” il modello-Roma degli ultimi 20 anni bisogna avere però prima una linea alternativa chiara, che questo personale dovrebbe incarnare, e non cercare curricula in rete o tra cordate politiche discutibili. Il M5S fino ad oggi, invece, si è accontentato di pochi assi di ragionamento molto superficiali e sloganistici come “onestà”, “trasparenza” e “competenza” che di per sé non intaccano nulla del modello liberista e affaristico che ha governato la città di Roma da un punto di vista politico e che la governa ancora da un punto di vista economico.

I nodi da affrontare per rovesciare questo modello sono ancora tutti sul tavolo e l’alternatività delle risposte del M5S ancora non si vede.

Il debito illegittimo di Roma Capitale, il Patto di Stabilità e il Fiscal Compact che incombono sui bilanci delle amministrazioni locali: si rispettano quei vincoli chiedendone semplicemente la “trasparenza” oppure li si rifiutano e le risorse vengono dirottate sui redditi più bassi e sui servizi pubblici?
Le privatizzazioni e gli effetti del DDL Madia sui servizi pubblici locali: si accettano limitandosi a chiedere gare e appalti “onesti”, oppure ci si scontra con queste misure liberiste e si va verso internalizzazioni e ripubblicizzazioni?
La precarietà e lo schiacciamento dei salari di lavoratori dei SPL e esternalizzati: si prosegue nel solco della cancellazione del salario accessorio, dell’attacco al diritto di sciopero, del sostegno al modello flessibile, precarizzante e “volontario” del lavoro, purché controllato da amministratori “competenti”, o al contrario si va verso stabilizzazioni, rifiuto del lavoro gratuito e sottopagato, sostegno ai redditi dei lavoratori intermittenti?

Il M5S non sta affrontando nessuno di questi nodi con una vera “discontinuità”, ma galleggia senza prendere decisioni nette paralizzato da due fazioni che pare vogliano utilizzare l’occasione del governo di Roma come trampolino per il possibile futuro governo del Paese. Anzi le ultime nomine (se queste reggeranno) hanno riportato alla ribalta addirittura figure di fautori delle privatizzazioni come Mazzillo e Colomban.

Inoltre tra le due “tendenze” che si stanno confrontando nel M5S all’ombra della vittoria della Raggi, emergono provenienze culturali antitetiche tra loro, tra cui una da ambienti della vecchia destra governista e affaristica, che non possono lasciare tranquilli nemmeno come “onestà” oltre che come profilo “alternativo”.

Tutto questo non ci dice che erano meglio il PD, Marino, Alemanno o le giunte commissariali di Renzi. Gli avversari e accusatori dei 5 Stelle a Roma non brillano, infatti, per «innocenza» e dal «pulpito» da cui predica il PD vengono occultati i suoi illustri indagati e le sue gravissime responsabilità sullo sfascio economico-sociale. Per non parlare del centrodestra e dell’ignobile esperienza della giunta Alemanno e delle collusioni fascio-mafiose emerse. Anzi, il successo del M5S è alimentato proprio dalla indecenza e dai fallimenti delle loro politiche privatistiche, consociative, clientelari, affaristiche e fascio-mafiose (tutte varianti del modello liberista imperante). Del loro attuale fallimento elettorale non si può che essere contenti anche in vista dello scontro referendario prossimo. 

Ma queste sacrosante riflessioni non possono e non devono offuscare le nostre capacità critiche. Anzi questo deve far riflettere i comunisti e la sinistra anticapitalista su alcune questioni.

Sbagliava e continua a sbagliare chi ha pensato che queste amministrazioni possano essere apertamente alleate dei movimenti di lotta e degli interessi delle classi subalterne. Possono rappresentare un’occasione importante, perché sicuramente il M5S è un movimento più “permeabile” alle pressioni popolari. Ma questo vuol dire che il problema non è schierarsi e mobilitarsi a difesa degli esponenti del M5S, quanto piuttosto aprire un “braccio di ferro” e una stagione di conflittualità che li costringa, di fronte alle contraddizioni che dicevamo sopra, a prendersi la responsabilità di sostenere scelte di rottura oppure denunciarne il “continuismo”.

Altra questione che emerge è l’inadeguatezza totale della concezione propugnata dai grillini della fine assoluta della “forma partito” e del loro modello di movimento liquido e “digitale”. In realtà quello che è fallito è il modello di partiti e soggetti burocratizzati attorno a carrozzoni elettorali e governisti che hanno l’unico obiettivo della conquista degli “scranni” istituzionali. Questi soggetti politici a sinistra, ad esempio, hanno perso proprio in questo modo il contatto col tessuto sociale e oscurato il loro compito di far irrompere nelle istituzioni il conflitto sociale: anzi spesso si fanno portatori delle istanze istituzionali per contenerlo e renderlo compatibile.

Ma il modello del M5S sta dimostrando come porti solo alla formazione di cordate e leaderismi dove, in assenza di un progetto collettivo chiaro, ognuno porta avanti la propria linea ed è tirato da destra o da sinistra. Quindi alla giusta critica a una concezione corruttiva (e compatibile) della forma partito non si affianca un’alternativa credibile. Questo verticismo esasperato è in antitesi con qualsiasi idea di un “movimento” vero e proprio. Siamo di fronte piuttosto ad una forza politica ingrassata sul malcontento, sulla crisi, sull’insofferenza verso gli immigrati, sulla sfiducia del “popolo” verso i suoi rappresentanti. E, diciamocelo, sull’assenza di una forza comunista radicata e all’altezza dello scontro di classe oggi, nonché di una sinistra progettualmente alternativa al modello capitalistico, capace ossia di interpretare la crisi e di ricondurre disagio e malcontento a una proposta di trasformazione. Insomma sull’assenza di un’“antitesi vigorosa” (Gramsci).

Quello che sicuramente va tenuto in considerazione a sinistra - in particolare dai comunisti – non è tanto quindi l’ipotesi di improbabili “entrismi” nel M5S o alleanze che vadano al di là di singole sacrosante battaglie, quanto piuttosto come contendergli il consenso in quei settori sociali colpiti dalla crisi che questa forza politica oggi, più di altre, sembra incarnare (soprattutto tra operai*, precari* e disoccupat*) e che dovrebbero essere il nostro referente naturale mentre, invece continuiamo a inseguire quella parte di “ceto medio riflessivo” in crisi col PD. È evidente che qui più che mai si avverte l’assenza di un partito comunista portatore delle istanze di una nuova concezione di classe (inclusiva di precari*, migranti, emarginati*).

Insomma se per Lenin anche una cuoca poteva andare al governo, in quanto capace di vivere e attraversare un processo di soggettivazione politica, qui si tratta invece spesso di cittadini e cittadine autopromossisi in assenza clamorosa di soggettivazione politica.

15/10/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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