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La posizione del Governo italiano nella vicenda greca

Le conseguenze dell’esito delle trattative tra Grecia e creditori potrebbero provocare una stretta sui governi dei Paesi dell’eurozona maggiormente indebitati, tra cui l’Italia, e mettere in difficoltà il governo Renzi, il quale sta mostrando i primi segni di logoramento. 


La posizione del Governo italiano nella vicenda greca

Le conseguenze dell’esito delle trattative tra Grecia e creditori potrebbero provocare una stretta sui governi dei Paesi dell’eurozona maggiormente indebitati, tra cui l’Italia, e mettere in difficoltà il governo Renzi, il quale sta mostrando i primi segni di logoramento.

di Carlo Seravalli

L’atteggiamento del governo Renzi verso Tsipras 

Leggendo i quotidiani italiani del giorno 14 luglio, il successivo alla stipula del patto tra istituzioni europee e governo greco, si può constatare come il ruolo giocato dall’Italia in questa importantissima vicenda sia stato sostanzialmente nullo. Tale realtà traspare chiaramente anche dagli organi della grande stampa che più sostengono l’esecutivo, come Repubblica e Corriere della Sera. Questa constatazione appare vera soltanto se si intende che Renzi non abbia avuto un ruolo di primo piano nelle trattative con la delegazione ellenica; ciò non toglie che una linea di condotta possa essere delineata.
Il governo italiano ha sempre osteggiato l’operato di Tsipras. Finché ha potuto, durante i cinque mesi di trattative successivi alle elezioni politiche in Grecia, Renzi ha nei fatti sin da subito assunto un atteggiamento ostile verso il governo ellenico, ma ha evitato di rendere esplicita tale scelta, attestandosi su una posizione riassumibile con enunciati del tipo: «Non ci vuole una nuova politica economica per la Grecia, ma una nuova politica economica per l’Europa» (dichiarazione rilasciata il 12 febbraio a Bruxelles); enunciati che, proprio per il fatto di non significare nulla, manifestavano la volontà dell’esecutivo italiano di lasciar decidere, senza disturbare, chi nella Ue veramente conta. La questione greca era «un problema che riguarda il primo ministro Tsipras, cui facciamo auguri di buon lavoro»; tradotto: non ti aspettare che io muova un dito per aiutarti. In un secondo momento, in occasione del referendum del 5 luglio, il primo ministro italiano, probabilmente su pressioni esercitate dalla Germania, ha assunto posizioni di esplicita contrapposizione, schierandosi apertamente per il sì e accodandosi agli altri governi dell’Unione.
Da ciò che viene riferito dai giornali, nell’ambito delle ultime trattative che hanno portato alla capitolazione di Tsipras, pare che l’operato italiano, se pur molto limitato ed incerto, sia stato volto ad evitare che la Grecia uscisse dall’eurozona. In questo senso l’Italia si è schierata al fianco della Francia, allo scopo di arginare l’aggressività tedesca ed evitare che la Grecia venisse estromessa dalla moneta unica. Dunque, un’Italia che, a rimorchio di Parigi, si impegna a garantire la stabilità dell’euro, in sinergia con l’operato di Mario Draghi. E qui mi sembra sia il punto saliente.

Il rapporto tra il governo Renzi e le istituzioni europee 

Altra annotazione ripetutamente fatta dal governo italiano, e amplificata da vari commenti e interviste sui quotidiani nazionali, riguarda il fatto che l’Italia non starebbe più sul banco degli imputati per infrazione dei vincoli europei. «Nessuno ha ammonito il nostro Paese per i “compiti a casa” non completati. È come se la vicenda greca avesse accertato l’uscita dell’Italia dalla “black list”», sintetizza Claudio Tito su Repubblica (14 luglio). Al di là del fatto che nell’ambito delle recenti trattative con il governo ellenico, per ovvi motivi, nessuno Stato si trovava sul banco degli imputati tranne la Grecia, tale annotazione è degna di essere commentata. Molti pareri critici nei confronti dell’accordo firmato da Tsipras con le istituzioni europee hanno denunciato il fatto che la Grecia, accettando le condizioni dei creditori, diverrà uno Stato commissariato e privo di qualsiasi forma di sovranità: nei fatti si tratta di un golpe sotto mentite spoglie. Queste osservazioni sono del tutto corrette. La cosa che qui interessa tuttavia è notare alcuni aspetti di similarità tra la situazione greca e quella italiana, e per fare ciò dobbiamo ripercorrere brevemente alcuni salienti eventi politici, risalendo di qualche anno. Anche l’Italia infatti ha ricevuto da parte delle istituzioni europee indicazioni molto stringenti relative ai più importanti ambiti: si tratta della lettera della Bce (firmata da Jean-Claude Trichet, allora presidente della Bce, e da Draghi, allora governatore della Banca d’Italia), datata 4 agosto 2011, e inviata al governo italiano, al tempo presieduto da Berlusconi. In questo testo si facevano richieste molto esplicite: riformare il sistema pensionistico, rivedere le norme che regolano le assunzioni e i licenziamenti, potenziare la contrattazione decentrata, introdurre in Costituzione i vincoli di bilancio, riformare il settore pubblico allo scopo di renderlo più efficiente ed economico (non si escludevano tagli di stipendio), introdurre indicatori di performance nella scuola, nella sanità e nella giustizia, abolire le Province. Appare evidente come tali richieste (ulteriormente dettagliate in una seconda lettera, inviata al governo il 4 novembre e articolata in 39 domande) abbiano rappresentato nei fatti il programma degli esecutivi succeduti a quello di Berlusconi. Ciò è avvenuto non soltanto in occasione del governo Monti, che ha rappresentato un vero e proprio commissariamento del Paese, ma anche con Letta e con Renzi. Quest’ultimo ha infatti messo in atto la deregolamentazione dei licenziamenti con il jobs act, ha introdotto la gerarchizzazione nel sistema scolastico con la legge della Buona scuola, ha cancellato le Province e si prepara a rivedere i contratti collettivi e a riformare la pubblica amministrazione esattamente nel senso richiesto dalla Bce. In cosa altro si caratterizza l’operato dell’attuale governo italiano? Soltanto l’Italicum non è direttamente riconducibile alle indicazioni delle istituzioni europee, ma la nuova legge elettorale, rafforzando l’esecutivo, è nei fatti funzionale alla gestione della ristrutturazione del Paese.
La lettera della Bce, quindi, rappresenta le condizioni di sopravvivenza degli esecutivi in Italia, la via dalla quale nessun primo ministro può allontanarsi. Berlusconi, che risultava inaffidabile, è stato fatto fuori. Renzi è evidentemente consapevole che le cose stanno così e se ne fa addirittura un vanto. Il suo scopo pare sia quello di ottenere il permesso per mettere in atto una qualche forma di politica espansiva, chiedendo una interpretazione meno rigida dei vincoli di bilancio pubblico; si tratta della famosa «flessibilità in cambio di riforme». Ma la vicenda greca ha dimostrato in modo plateale che la Germania non è disposta a concedere flessibilità. Inoltre appare opportuno chiedersi: quali sono le future prospettive dell’Unione europea e quali ripercussioni potrebbero avere sull’Italia? 

Le prospettive europee e la posizione dell’Italia 

L’accordo proposto ai greci e sottoscritto da Tsipras risulta essere una sorta di compromesso tra la volontà della Germania da una parte, intenzionata sia a punire esemplarmente la Grecia fino a spingerla fuori dall’eurozona sia ad affermare in modo indiscutibile il proprio dominio nell’Unione, e la volontà della Francia (di Mario Draghi e in ultima istanza degli Stati Uniti), a cui si è accodata l’Italia, di evitare la Grexit. Il risultato è un testo che raccoglie tutte le richieste di Berlino, ma che non prevede la rottura dell’unità monetaria con la fuoriuscita di Atene. A mio parere, risulta tuttavia molto dubbio che un tale accordo possa garantire la stabilità dell’eurozona e in generale dell’Unione europea. I fenomeni di destabilizzazione sembrano tutt’altro che superati. In primo luogo è difficile ipotizzare che il problema della Grecia sia risolto in questo modo: non soltanto la stabilità finanziaria del Paese continuerà ad essere estremamente precaria, la crisi economica si aggraverà e non ci sarà alcuna crescita, ma l’attuazione del piano europeo creerà necessariamente una fortissima instabilità politica i cui esiti in questo momento risulta arduo prevedere. I greci difficilmente manderanno giù senza lottare le assurde misure che il piano prevede, anche se ad attuarle sarà lo stesso Tsipras. Instabilità da parte del governo, scioperi e proteste saranno all’ordine del giorno.
Questo fattore peserà fortemente sulla fiducia che gli investitori hanno nei confronti dell’euro.
Ma la vicenda greca ha anche messo in circolazione l’idea che il capitale tedesco (o almeno una parte predominante di esso) sia disposto a scaricare i Paesi più indebitati e che pongono maggiori problemi, estromettendoli dall’eurozona. Per la prima volta è stata messa sul tavolo la possibilità che l’unione monetaria venga spezzata. Per oggi la rottura è stata evitata. Ma che accadrà un domani, quando si riproporrà il problema della Grecia o di un altro dei Paesi mediterranei fortemente indebitati? Insomma da oggi chi investe in un Paese come l’Italia può temere di fare l’investimento in euro e trovarsi domani le lire. Il fatto che tale paura circoli realmente negli ambienti finanziari e imprenditoriali attivi in Italia è confermato da un articolo di Maurizio Ricci su Repubblica, opportunamente ripreso da Contropiano.org (14 luglio), nel quale viene segnalato come una grande multinazionale straniera (di cui non si fa il nome) stia facendo firmare ai suoi fornitori italiani contratti che chiariscono l’eventuale procedura da mettere in atto in caso di ritorno alla lira. Ciò spiega molto della preoccupazione di Renzi circa l’eventualità di una Grexit.

Conclusioni 

Non è da escludere che il tentativo di Renzi di ottenere «flessibilità in cambio di riforme» possa in una certa misura andare in porto. In questo caso il primo ministro italiano avrebbe la possibilità di sparigliare almeno un po' le carte e indorare la pillola della ristrutturazione liberale che rappresenta la vera ragion d’essere del suo governo. Un’iniziativa del genere ha già avuto successo in occasione dell’operazione degli 80 euro in busta paga, messa in atto dal governo non appena entrato in carica. Giorni fa i quotidiani ventilavano un grande taglio delle tasse da mettere in atto in autunno.
Vedremo.
Il quadro or ora delineato tuttavia ci spinge ad ipotizzare un secondo panorama. L’incertezza sulla tenuta dell’euro, manifestata dai mercati in conseguenza della gestione della crisi greca, potrebbe provocare una stretta su tutti i governi potenzialmente a rischio di trovarsi in situazioni simili a quelle del Paese ellenico. Come abbiamo visto sopra, l’Italia è già dal 2011 uno Stato parzialmente sotto sorveglianza. Che tale sorveglianza diventi ancora più stringente per garantire l’affidabilità della moneta unica? Una prospettiva da non escludere. La Germania opponendosi a qualsiasi concessione, anche di facciata, verso la Grecia ha lanciato un segnale a tutti i membri dell’eurozona.
Se le cose andranno così la situazione per il governo italiano diverrà non facile da gestire. Finora Renzi ha tenuto botta ed è andato avanti contro tutto e tutti, anche a costo di perdere fette consistenti di elettorato. L’approvazione del jobs act prima e, soprattutto, la riforma della scuola hanno logorato profondamente il consenso intorno all’esecutivo. Il governo rischia di mostrare in modo inequivocabile di fronte all’opinione pubblica italiana la propria essenza reazionaria. Renzi si deve inventare qualcosa, ne è consapevole! Ma le possibilità di manovra, da quello che possiamo vedere, non dipenderanno realmente da lui, ma dalla strategia che predominerà a Francoforte e a Bruxelles, e in ultima analisi, dalle valutazioni che verranno fatte a Berlino. 

18/07/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Carlo Seravalli
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