Stampa questa pagina

L'Unità contro una CGIL troppo barricadera. Fosse almeno vero!

Difendere Susanna Camusso dall’ ingrato paragone con i suoi predecessori, è difficile. Perché il punto vero è che lei, come i suoi predecessori, non sono stati sulle barricate quando invece avrebbero dovuto esserlo.


L'Unità contro una CGIL troppo barricadera. Fosse almeno vero! Credits: http://www.inventati.org/rete_evasioni/wp-content/uploads/2014/04/pizzeria_milano.jpg

Tutto ci si potrebbe aspettare tranne vedere la segretaria della CGIL accusata di essere troppo barricadera dal direttore dell'Unità. Eppure succede anche questo nel teatrino dell'assurdo della politica italiana, in un mondo alla rovescia e senza alcun contatto con le dinamiche sociali reali.

In tono denigratorio, Sergio Staino ha riservato a Susanna Camusso parole arroganti, dicendole che non ha più niente da condividere con i suoi predecessori. In poche parole: basta Susanna dichiarare che i voucher sono pizzini mafiosi e lanciare referendum per la loro abolizione! Come ti permetti! Piuttosto utilizzali, come già fa il segretario dello SPI dell'Emilia Romagna.

Sarebbe da non crederci, di fronte a una CGIL che ha attraversato quasi immobile questo autunno e le tante vertenze contrattuali di questi mesi. Eppure il direttore dell'Unità ha davvero raccomandato a Susanna Camusso di essere più responsabile e di finirla di stare sulle barricate! Lama e Trentin: loro sì che erano capaci di "mantenere la barra di fronte alle focose rappresentazioni del sindacalismo rivoluzionario". Samuel Becket e Luigi Pirandello insieme non avrebbero potuto pensare un dialogo più assurdo.

Difendere Susanna Camusso dall’ ingrato paragone con i suoi predecessori, è difficile. Perché il punto vero è che lei, come i suoi predecessori, non sono stati sulle barricate quando invece avrebbero dovuto esserlo! Di fronte alla colpa di non aver mosso un dito nemmeno contro la riforma Fornero, non c'è nessuna possibile difesa, neanche in appello. Come non c’è per chi, sulle stesse pensioni, non si è comportato molto meglio, come Epifani con il protocollo del 2007 o Cofferati con la Dini nel 1995.

E in fondo ci si può anche risparmiare un analogo e rovinoso paragone tra l'attuale direttore dell'Unità e i suoi storici predecessori alla guida del giornale fondato da Antonio Gramsci. Ma una riflessione forse vale la pena farla, perché questa assurda querelle è davvero il segno dei tempi e la dice lunga sulla parabola che ha fatto l'Unità, e il PD di cui è l'organo di informazione, tanto quanto la CGIL.

Per farlo va prima ricostruita la premessa, andando indietro di qualche anno. Dopo l'autunno del 2014 e uno sciopero generale fuori tempo massimo, il gruppo dirigente della CGIL ha fermato le mobilitazioni contro il Jobs act, dichiarando che la strategia di resistenza passava dalle lotte generali alla contrattazione aziendale e nazionale. Il bilancio a due anni di distanza è catastrofico. Ed era d'altra parte prevedibile e quasi scontato. Si contano sulle dita d una mano le aziende in cui il sindacato è riuscito a contrattare condizioni che contrastano il Jobs act e i contratti nazionali nella migliore delle ipotesi non hanno affrontato il tema. Nessuno, tanto meno quello dei metalmeccanici firmato recentemente dalla FIOM.

Fermate le mobilitazioni e fallita la strategia contrattuale, l'unico appiglio che resta è quello referendario, con tutti i limiti e i rischi che esso comporta, soprattutto perché la CGIL non si sta nemmeno ponendo il dubbio di sostenere la campagna con una vasta mobilitazione nel paese.

Eppure, dopo la clamorosa sconfitta del 4 dicembre, il governo e il PD ne hanno così paura da auspicare il parere sfavorevole da parte della Consulta o minacciare viceversa elezioni anticipate, facendo appunto scrivere al direttore dell'Unità il suo pamphlet contro la segretaria d’ una CGIL che in realtà è tutt'altro che battagliera e conflittuale.

A questo punto, le considerazioni sono due.

Primo: se il PD si permette tale arroganza è perché il sindacato di Corso Italia lo ha abituato negli anni alla sua totale sottomissione, alzando la testa ogni volta che governava Berlusconi e riabbassandola educatamente di fronte ad ogni governo di centro-sinistra. Persino di fronte a quelli tecnici, che negli anni hanno fatto i danni peggiori. Così, la riforma dell'articolo 18 è stata bocciata quando si chiamava Sacconi e Maroni e lasciata passare quando si è chiamata Fornero e Renzi. Altrettanto per le pensioni e il mercato del lavoro. Quando ci si abitua alla fedeltà, poi la si pretende. Così oggi il giudizio della CGIL sul Jobs act e sui voucher a due anni dall'entrata in vigore è comunque troppo per il PD. Così come è stata indigeribile la presa di posizione a difesa della Costituzione da parte della CGIL al referendum del 4 dicembre (anche se nel 2006 la stessa posizione nel referendum sulle modifiche di Berlusconi non aveva sollevato nessun problema, ed anzi era stata salutata come ovvia e naturale).

Secondo: perché la CGIL si ostina a cercare una via concertativa dove essa è palesemente non praticabile, a causa della dichiarata mancanza di interesse da parte del Governo? Piaccia o meno, la concertazione per farla bisogna volerla in tre: sindacati, aziende e governo. In questo caso la vogliono soltanto i sindacati. E questo a prescindere dalla mia opinione sulla concertazione, che resta quella di una deriva verticistica dell’organizzazione sindacale, un disastro sul piano della sua autonomia rivendicativa e la negazione del suo ruolo di rappresentanza degli interessi di classe.

In Italia la concertazione ha sempre seguito una strada tortuosa e ammesso e non concesso che nella storia di altri paesi europei negli anni 70 essa abbia consentito anche elevati livelli di welfare, in questo paese ha avuto soltanto effetti negativi, sia dal punto di vista salariale che dei diritti e dello stato sociale. Negli anni 90, la concertazione italiana non ha spartito la crescita, ma i sacrifici: la cosiddetta responsabilità della CGIL ha dato luogo a uno scambio senza contropartite, in cui i lavoratori sono stati chiamati a pagare per primi il conto salato dell'ingresso in Europa e nell'euro.

Dal 2001 in poi, la concertazione è finita "da destra", con il blocco politico costituito da Berlusconi e dalla classe imprenditoriale legata alla piccola e media impresa del nord-est. I governi successivi, da Monti a Renzi, hanno proseguito più o meno apertamente questa strada, portando avanti le loro riforme senza sentire la necessità di trovare il consenso sociale. O meglio, rappresentando esplicitamente gli interessi della Confindustria e avendo la complicità dei sindacati più o meno gratuitamente.

È qui il punto. Perché insistere e ostinarsi a volere ancora una concertazione che non può esserci?! Finiamola una buona volta! E invece la risposta che i segretari generali di tutta la CGIL hanno mandato a Staino rivendica nel merito politico proprio la concertazione e la responsabilità della CGIL. Pur rispondendo a tono all'arroganza tutta personale del direttore contro Susanna Camusso e rivendicando persino il diritto di criticare, si conclude in una sorta di caro direttore, non è vero! Insieme a CISL e UIL abbiamo sempre ricercato la via del negoziato e dell'accordo e sottoscritto accordi importanti.

E invece è proprio questo l'errore. Purtroppo la Consulta non ha approvato il quesito centrale, quello sull'articolo 18. Avrebbe potuto essere un'occasione, per quanto difficile e fragile, per cambiare strada, elaborare il lutto della concertazione e tornare a contrattare mettendo in campo tutti i rapporti di forza di cui ancora la CGIL potrebbe essere capace. Ammesso che si arrivi mai al voto, restano in campo gli altri due referendum (sui voucher e sugli appalti), ma sarà ancora più difficile. E comunque può essere un'occasione soltanto a condizione che la CGIL non si limiti a organizzare una campagna elettorale, ma sostenga i referendum con il conflitto e con una vasta mobilitazione del paese sui temi del salario, dei diritti, delle pensioni. Quello che fa paura al Governo non sono i referendum in sé (con un quorum difficilissimo da raggiungere), ma la crisi di consenso e la sfiducia del paese.

Non ci conto, ma almeno la prossima volta che un direttore dell'Unità attaccasse la CGIL, lo farebbe per un buon motivo.

14/01/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: http://www.inventati.org/rete_evasioni/wp-content/uploads/2014/04/pizzeria_milano.jpg

Condividi

L'Autore

Eliana Como
<< Articolo precedente
Articolo successivo >>