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Dal programma minimo al fronte anticapitalista

A partire dalla definizione del programma minimo di classe, occorre ricostruire un blocco sociale dei subalterni, a cominciare dalla realizzazione di un fronte anticapitalista, in grado di indicare una via d’uscita da sinistra dalla crisi.


Dal programma minimo al fronte anticapitalista Credits: https://www.lotta-continua.it/index.php?option=com_easyblog&view=entry&id=462&Itemid=319

Segue da “Lotta per il salario e la riduzione dell’orario” pubblicato nel numero precedente di questo giornale

Proviamo a individuare alcune priorità su cui vorremmo aprire il dibattito, valorizzando tutte le energie politiche, collettive e individuali, disponibili. Innanzitutto è essenziale lavorare per la ricostruzione di cellule di comunisti sui luoghi di lavoro, che favoriscano il ricostituirsi di consigli unitari di lavoratori, indipendentemente dalle sigle e burocrazie sindacali. In tal modo, sarà possibile rilanciare la lotta per il salario sociale di classe e per la riduzione dell’orario di lavoro. La ricostruzione di strutture consiliari, a partire dal rilancio del movimento degli autoconvocati, sarà funzionale alla costruzione di un vasto fronte sociale per l’alternativa a capitalismo e liberismo che riunisca in un’unica piattaforma le singole e parziali rivendicazioni. Proponiamo, perciò, di organizzare innanzitutto una conferenza nazionale di tutti i lavoratori comunisti ovunque collocati, che si mobiliti per rilanciare tre o quattro grosse assemblee pubbliche macro-regionali autoconvocate che raccolgano i temi salienti di quella zona del paese, quali le chiusure di strutture produttive, dopo la pandemia, che provocherà licenziamenti di massa e l’ulteriore precarizzazione delle condizioni di occupazione. Di contro a questo nuovo aumento dell’esercito industriale di riserva occorre rilanciare la parola d’ordine: lavorare meno per lavorare tutti, mentre di contro al tentativo del padronato di scaricare i costi negativi della crisi sulla forza-lavoro, sarà indispensabile rilanciare in modo unitario la difesa del salario sociale di classe. Queste due lotte vanno necessariamente declinate insieme, dal momento che senza una lotta che porti all’aumento del salario sociale difficilmente sarebbe accettabile da parte dei lavoratori la parola d’ordine del blocco degli straordinari, quale presupposto indispensabile alla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e ritmi.

Alla lotta per il prezzo della forza-lavoro e il tempo della sua alienazione, si lega anche la lotta per regolare il suo consumo, ovvero il suo sfruttamento da parte del padrone. In questo punto rientra la lotta per la sicurezza sul lavoro, per i diritti sul lavoro e per portare nei luoghi di lavoro almeno un minimo di democrazia, realizzabile unicamente con forme di controllo da parte dei lavoratori, uniti in consigli, sulla produzione. In ciò rientra, al primo punto, la lotta per il ripristino e l’estensione dell’articolo 18, della contrattazione collettiva, dello statuto dei lavoratori, del diritto di sciopero e per la più completa democrazia sindacale.

Infine per non restare preda di una posizione trade-unionista è indispensabile anche nel programma minimo battersi per obiettivi politici, che nel sistema capitalistico significano norme per rendere il più democratica possibile la dittatura di classe della borghesia sul proletariato. A tale proposito conviene ripartire dalla Costituzione per estendere i diritti ivi sanciti, frutto di un compromesso fra padroni e proletari reso possibile dalla resistenza. Ciò significa anche lotta per una legge proporzionale integrale, senza sbarramento; per il predominio del parlamento sull’esecutivo; per i diritti delle donne, degli immigrati; per la difesa dell’ambiente. A tutto ciò occorre infine connettere la lotta alla guerra e all’imperialismo, perché una politica di guerra imperialista all’esterno si traduce necessariamente in una restrizione degli spazi di democrazia anche all’interno, sempre più spesso sospesa dallo stato di eccezione.

Non è l’uovo di Colombo ma, in un contesto di egemonia reazionaria nella crisi e, quindi, di scarsissima coscienza di classe nel moderno proletariato, essendo esclusa la praticabilità immediata della transizione rivoluzionaria socialista, occorre ripartire dalla costruzione di un nuovo blocco sociale di riferimento attraverso un programma minimo di classe. Esso deve assumere e riconnettere, in un progetto che sia una sorta di fronte unico anticapitalista e antiliberista, le differenti battaglie dei movimenti di opposizione agli effetti della crisi capitalistica. Tali lotte ci sono, seppur deboli o discontinue, ma non dialogano in una piattaforma organica che ne rafforzi le prospettive immediate e che costituisca, per i comunisti, un laboratorio di accumulazione dal quale ripartire per ricostruire la connessione sentimentale coi settori della classe a partire dalla ricomposizione fra lavoratori italiani e immigrati.

In questa fase, tale “programma minimo” avrebbe in primo luogo un carattere popolare, democratico e di resistenza sociale di massa, ma sarebbe al contempo un’occasione anche per individuare alcune battaglie di carattere generale – riduzione d’orario a parità di salario e ritmi, nuova scala mobile, etc. – che permeino differenti settori in mobilitazione, creando le basi per una più vasta unità di classe. Ciò permetterebbe non solo di resistere “meglio”, dimostrando l’utilità dell’unità nella lotta, ma anche di agire nelle contraddizioni e debolezze del fronte avversario e di non cedere questo terreno alle forze antipolitiche.

Per non ripetere gli errori del passato bisogna approfittare della difficoltosa, ma inevitabile ripresa dell’opposizione e della lotta contro il tentativo del padronato, del governo e dell’opposizione parlamentare di far pagare il conto della crisi ai ceti sociali subalterni, per costruire una piattaforma anticapitalista che sappia rappresentare stabilmente, in questa fase presumibilmente non breve, gli interessi delle classi sfruttate riconnettendo il ruolo di “utilità” dei comunisti alla difesa di quegli stessi interessi. Le occasioni ci sono già state negli anni scorsi e si ripresenteranno nei prossimi, dal momento che gli effetti della crisi previsti saranno ancora più devastanti in termini di licenziamenti di massa e cassa integrazione.

Per questo non è sufficiente una semplice unità elettorale o solo un’unità dei partiti comunisti attualmente esistenti. Bisogna restituire protagonismo diretto ai lavoratori e ai movimenti di lotta e i comunisti devono essere in prima fila nel perseguimento di questo obiettivo. Attorno a questi interessi bisogna promuovere un vasto movimento popolare per l’alternativa di sistema e l’unità d’azione nelle battaglie politiche e sociali.

Non è certo riproponendo una “santa alleanza contro la destra” a verdi e socialdemocratici ridotti a satelliti del PD che si esce da questo pantano. Questo non vuol dire ovviamente che si rinunci ad aggregare in maniera larga. E, specie in una fase particolarmente arretrata come questa, è indispensabile contendere ai riformisti l’egemonia sul variegato “popolo della sinistra”. A tal fine occorre porsi al centro dell’azione nel conflitto e in alcune battaglie di “difesa democratica”.

Occorre, infine, riproporre al centro del dibattito politico la necessità di una costituente finalizzata all’unificazione di tutti i comunisti ovunque collocati. D’altra parte la costruzione in parallelo di un vasto movimento popolare e anticapitalista per l’alternativa di sistema richiede che il percorso dell’unità dei comunisti si sviluppi dal basso e si sperimenti nelle lotte per un programma minimo di classe condiviso. Su questo siamo convinti che, insieme, possiamo giocare un ruolo importante e non testimoniale anche in questa così difficile fase storica. Per quanto concerne le forme organizzative, non si tratta tanto di destrutturare le organizzazioni esistenti per farne una unitaria mediante una “fusione a freddo”, ma imporre un metodo che possa indurre tutti, ovunque collocati, a lavorare per l’Alternativa. Alternativa di progetto, di programma e, infine di società: in sostanza un processo politico per la transizione al socialismo nel XXI secolo che non sia solo una proposta culturale con cui ricavarsi spazi di discussione, bensì un processo percepito e praticato da una parte consistente del proletariato.

16/08/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo
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