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Piano di rigenerazione olivicola in Puglia e nuovo latifondo

Analizzando il Piano di rigenerazione olivicola della Puglia si nota la volontà di porre in essere il land grabbing (accorpamento fondiario), con finanziamenti pubblici alla piccola borghesia rurale, emanazione del grande capitale.


Piano di rigenerazione olivicola in Puglia e nuovo latifondo Credits: brumi.it

Se c'è una cosa che i gruppi di potere egemoni hanno imparato negli ultimi decenni è che i risultati migliori si ottengono con la persuasione, anziché con l'imposizione. Quest'ultima viene usata come extrema ratio qualora si costituisca un gruppo di potere subalterno che contesti razionalmente le scelte dei dominanti (è il caso, per esempio, dei movimenti no-tav, no-tap, ecc.).

Ma in contesti rurali largamente caratterizzati dal fatalismo ed egemonizzati dalla piccola borghesia, la persuasione si concretizza in contentini alle classi deboli e grandi favori alla classe di riferimento del capitale - come se non bastasse, in un sistematico quadro emergenziale - orientando l’azione pubblica verso l’accorpamento fondiario, ossia nuovo latifondo, definito land grabbing. Pare che - dopo diverse zone dell’Africa, America Latina o Spagna - tale pratica abbia preso piede anche in Puglia, a causa della questione del disseccamento degli Ulivi, che ha permesso alle associazioni di categoria, dopo 20 anni di lamenti, di attuare i progetti di modernizzazione del comparto agricolo, non solo in campo alimentare, ma anche energetico e industriale.

Com'era prevedibile, la persuasione capitalista sfrutta le risorse pubbliche e muove da due presupposti: 1) sottrarre terra ai piccoli produttori con il minor dispendio di risorse possibile, attraverso provvedimenti normativi e irrisori incentivi economici; 2) alimentare il lobbismo dando ingenti risorse alla classe piccolo-borghese, zoccolo duro del potere egemonico, che difatti costituisce la più grossa fetta delle associazioni di categoria in campo agricolo (un buon numero di frantoiani, oltre a numerose aziende agricole della micro impresa e PMI), le quali da diversi decenni lamentano la mancata industrializzazione del comparto agricolo in Puglia, l'eccessiva frammentazione delle terre e, soprattutto, l'ingombrante presenza di Ulivi autoctoni, anche monumentali, che infastidiscono i progetti di massima efficienza produttiva e dunque di massimo profitto nel quadro del mercato globale. Che tale visione cozzi con la volontà delle comunità locali di mantenere la produzione agraria per sostenere l'economia locale o, ancora, preservare storia e natura attraverso i propri simboli o semplicemente con il rispetto dell'ambiente, poco importa.

Ovviamente il progetto di accorpamento fondiario non sarebbe possibile senza la piaga dei disseccamenti degli ulivi pugliesi, causati da numerosi agenti patogeni, uno dei quali, la Xylella fastidiosa, ha aperto la strada alla politica degli abbattimenti, già da quando si sapeva poco del ceppo del batterio e in assenza di studi scientifici in grado di dimostrarne la patogenicità e definire le possibili cure. Su questo argomento è ancora aperta un'inchiesta (dapprima dalla Procura di Lecce, poi da quella di Bari) e ci riserviamo di scrivere ulteriori approfondimenti oltre a quelli già prodotti su questo giornale e richiamati nei precedenti link.

Qui ci basti riflettere sulle tecniche politico-normative in grado di accontentare la volontà del capitale e far fuori la piccola proprietà, restaurando il latifondo a vantaggio del libero ed indiscriminato sfruttamento della terra e del conseguente impoverimento delle comunità locali. La fonte normativa da cui scaturisce l'attuale progetto di accentramento e sfruttamento capitalistico delle terre è il c.d. Decreto Emergenze, predisposto dall'ex Ministro Centinaio (Lega), mentre il provvedimento conseguente, il "Piano straordinario per la rigenerazione olivicola della Puglia" è stato predisposto dagli attuali Ministri Bellanova (MIPAAF), Provenzano (Sud) e Patuanelli (Sviluppo economico) e approvato dalla Conferenza Stato-Regioni. Non occorrono ulteriori parole per dimostrare, ancora una volta, che gli attuali schieramenti politici di destra o sinistra (o qualunquisti) sono solo in apparenza avversari, ma in intima essenza rappresentano il capitale e non il popolo o la nazione. Basta leggere le dichiarazioni del Ministro Bellanova per comprendere il servilismo alle leggi di mercato dominanti.

Il Piano di che trattasi, dunque, attua l'art. 8-quater del Decreto Emergenze e prevede alcune misure che vanno lette in modo organico per comprenderne appieno la portata. Anzitutto il Piano reca una dotazione finanziaria di 300 milioni di euro, di cui 150 nell’anno 2020 e 150 nell’anno 2021, con una ripartizione dei fondi secondo lo schema seguente:

Da notare le voci “diversificazione dell'economia rurale e accorpamento fondiario” e “contratti di filiera e di distretto”, raggruppati sotto l'azione “rilancio economia rurale aree danneggiate”, che prevedono un finanziamento di 10 milioni di euro, ma solo nel 2021, perché sono conseguenti all'azione precedente (“ripristino potenzialità produttiva”, totale: 250 milioni) che prevede prima gli abbattimenti di massa degli ulivi autoctoni e i reimpianti, poi l'iniezione di ingenti finanziamenti alle imprese agricole, vivaistiche e frantoiane (ossia il blocco di potere piccolo-borghese) e, infine, dopo aver eliminato dal campo molti piccoli produttori, si provvederà a riunificare le forze produttive attraverso la riorganizzazione del comparto (10 milioni), acquisire le terre ormai incolte e prive di valore e suddividere il latifondo con colture diversificate (25 milioni). Già dalle cifre si comprende come si stia puntando tutto sul sostegno al reddito della piccola borghesia rurale con più della metà del finanziamento totale (160 milioni su 300).

Alla miriade di piccoli proprietari olivicoli andranno le briciole, come si evince facilmente dall'art. 4 del piano, che prevede solo un contributo forfettario per le operazioni di espianto degli ulivi non più produttivi e della relativa rimozione del materiale legnoso (si dice un massimo di 65 € ad albero abbattuto, in base alle zone). Si precisa che il contributo si riduce qualora vi siano ricavi dalla vendita del legname. È molto probabile che ad acquistare la legna (a fini energetici) saranno le aziende collegate ai passacarte che predisporranno la documentazione per l’erogazione dei contributi e dunque terranno per sé il contributo al netto dell’importo di acquisto della legna. In buona sostanza i piccoli olivicoltori si vedranno riconoscere solo il corrispettivo per la vendita della legna di ogni ulivo abbattuto e il contributo compenserà il minor ricavo.

Questo è tutto ciò che spetta ai piccoli proprietari, i quali detengono il 23,82% della quota di SAU (Superficie Agricola Utilizzata) nazionale e rappresentano la maggior parte delle aziende pugliesi (su poco più di 352.000 aziende pugliesi, quasi 310.000 sono piccoli conduttori) [1].

L'art. 6 del piano sembrerebbe orientato a favorire i reimpianti di cultivar resistenti al batterio (Leccino ed FS-17) da parte dei piccoli proprietari, in quanto prevede un contributo per reimpianto pari al 100% dei costi per superfici fino a 1 ettaro, all'80% fino a 5 ettari e al 50% con estensione superiore ai 5 ettari, con ciò dimostrando formalmente che il piano è rivolto ai piccoli proprietari. Tuttavia è tra le pieghe del piano che va letta l'intenzione di sfavorire costoro e gestire le risorse in modo accentrato (e quindi clientelare).

La norma stabilisce che sarà la Regione Puglia a definire, con regolamento, i criteri per la concessione dei contributi, però previo parere del Comitato di sorveglianza, composto dai Ministri redattori del piano. Tuttavia alla Regione spetta solo questo, in quanto il Piano accentra presso i Ministri competenti ogni definizione dettagliata in materia di contrasto alla diffusione del batterio (art. 3), abbattimenti (art. 4), riconversione verso altre colture (art. 7), salvaguardia degli ulivi secolari o monumentali (art. 8), diversificazione dell'economia rurale e accorpamento fondiario (art. 17), ricerca e sperimentazione (art. 19), potenziamento rete laboratori pubblici (art. 20), monitoraggio (art. 21).

La Regione è di fatto tagliata fuori dalle scelte strategiche, limitandosi a gestire parte dei finanziamenti e il Piano favorisce un protetto sistema di interscambio con i rappresentanti del partenariato istituzionale, economico e sociale (ossia le associazioni di categoria), anche considerando che tutte le loro richieste sono state accolte in sede di audizione parlamentare e confluite dapprima nel Decreto Emergenze e poi nel piano. Dunque saranno le associazioni di categoria le principali attrici delle scelte strategiche e della gestione delle risorse finanziarie.

Ma c'è un elemento fattuale che va considerato per comprendere la reale portata del piano in tema di reimpianti nei confronti dei piccoli proprietari. Un impianto di ulivi delle specie definite resistenti (ma che non lo sono, come si evince dalla foto, che ritrae un ulivo specie Leccino, anch’esso disseccato) richiede ingenti risorse idriche per essere gestito e pochissimi piccoli produttori dispongono di tali risorse, le quali, com'è noto, scarseggiano in Puglia [2].

Inoltre le piante di Leccino ed FS-17 (che è un portainnesto) hanno un ciclo di vita breve (10/15 anni se usata in modo intensivo, 30/40 anni se in modo tradizionale) e nessun piccolo produttore si potrà sobbarcare in futuro i costi di un nuovo reimpianto, anche considerando il complesso dei costi che già oggi rende antieconomica la produzione di olio [3].

Infine, in attesa del relativo provvedimento regionale (di cui all’art. 6.5 del Piano), possiamo già anticipare che qualora il piccolo proprietario decidesse di procedere ai reimpianti, accedendo ai relativi contributi, sarà condizionato a rispettare un determinato disciplinare, che riguarderà il numero di piante per ettaro (ossia si favorirà la produzione intensiva), il tipo di gestione del fondo, i mezzi da utilizzare (inclusi acqua e fitofarmaci), ecc., con ciò costringendo il proprietario a dare in gestione il fondo a chi detiene i mezzi per gestirlo.

Ciò spiega come sarà relativamente facile procedere alla seconda parte del piano: accorpamento fondiario e rafforzamento del sistema produttivo agricolo in ottica industriale (ricordiamo quanto è capitato in Spagna, nella provincia di Almeria, qui ben spiegato).

Tra svendite dei terreni e contributi pubblici condizionati, le terre saranno facilmente concesse alle aziende più grosse. Già oggi, cercando sui siti di compravendita immobiliare, è facile notare come siano crollati i prezzi dei terreni agricoli, specie nel Salento, scesi anche a meno di 2 € al metro quadrato!

Anche la diversificazione colturale è presto spiegata, sempre nella medesima ottica. Spulciando in rete si scopre che diverse grosse aziende vivaistiche (una in particolare, di origine israeliana) da anni ormai spingono per la riconversione colturale, puntando in particolare su melograni, mango e avocado. Dunque l'obiettivo è di diversificare le colture esattamente come una grande industria diversifica le sue produzioni e i suoi mercati. In tale ottica, ovviamente, il piccolo produttore va necessariamente escluso. Per farlo, s'è visto, si sta puntando tutto sulla piccola borghesia locale, non solo attraverso grossi incentivi ad aziende e frantoiani (che avranno risorse per acquisire i mezzi di produzione), ma attraverso l'uso dei GAL (gruppi di azione locali), che sono in tutto e per tutto società private al cui interno spesso si annidano logiche clientelari. L'art. 17 del piano, difatti, li coinvolge per incentivare l'accorpamento fondiario, garantendo loro 5 milioni di euro.

Infine l'art. 19 dimostra ancora una volta come i gruppi di potere egemonici, attraverso la politica, orientino la ricerca scientifica: un ingente finanziamento di 20 milioni di euro è condizionato alla produzione di programmi di ricerca orientati ad individuare altre cultivar resistenti o tolleranti, con ciò limitando fortemente la libertà della ricerca scientifica.

Appare del tutto evidente, da questo breve commento al Piano, che non v'è alcuna volontà di tutelare i piccoli produttori pugliesi o i braccianti che hanno subito danni dai disseccamenti degli ulivi, anzi, la consacrazione in norma della volontà di procedere all'accorpamento fondiario dimostra chiaramente quale direzione voglia seguire il governo italiano in materia di sviluppo in senso capitalistico dell'agricoltura, aderendo incondizionatamente alla pratica globale del land grabbing, il quale, sappiamo, finora ha prodotto povertà diffusa, maggiori flussi emigratori, danni ambientali a causa dell'uso intensivo delle terre e delle risorse naturali nonché conflitti sociali all’interno delle comunità. Anche le aziende che oggi guardano con entusiasmo alla modernizzazione non sanno che aderendo a tali logiche saranno fagocitate dal capitale e gradualmente schiavizzate.

L’accaparramento e la recinzione dei terreni, con la conseguente messa in miseria dei coltivatori, effettuata con mezzi diversi, è stata alla base della cosiddetta accumulazione originaria che secoli fa ha dato il via al modo di produzione capitalistico, consentendo di accentrare i mezzi di produzione in pochi mani e di disporre sul “libero mercato” forza-lavoro “libera” da tali mezzi e dai mezzi di sostentamento. Ma l’accumulazione originaria non ha fine, e il capitale vi ricorre costantemente, espropriando i piccoli produttori, particolarmente in tempi di crisi come questi.

In Italia questo fenomeno sta velocemente prendendo piede e occorre prendere coscienza che svendere terra e libertà per accontentarsi di irrisori contributi pubblici garantirà un insignificante capitale oggi e una povertà individuale e collettiva domani. E il domani è già alle porte.


Note

[1] Somma delle voci “con solo manodopera familiare” e “con manodopera familiare prevalente”. In tutte le fonti statistiche si parla di Azienda anche per indicare un privato che detiene la terra e ne produce i relativi frutti. Tra l'altro prassi vuole che per conferire le olive al frantoio i privati siano costretti ad iscriversi alla relativa cooperativa, ma di fatto non partecipano alla vita sociale della stessa. Tuttavia il numero di iscritti garantisce una forza contrattuale agli amministratori della cooperativa nelle associazioni di categoria.

[2]  Sia per la scarsità di risorse idriche che per l’elevata qualità dell’olio, in passato si sono diffuse le cultivar Ogliarola e Cellina di Nardò, in particolare nell’area salentina, oggi soggette ad abbattimento, le quali resistono alla siccità e hanno un ciclo di vita millenario.

[3]  Oltre ai numerosi costi di mantenimento del fondo (arature, potature, fresature, concimazione, ecc.) va evidenziato che negli anni precedenti i frantoiani pugliesi hanno progressivamente aumentato i costi di molitura, di fatto contribuendo all'abbandono delle terre, rendendo più antieconomica la produzione dell'olio da parte dei piccoli produttori.

29/02/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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Il Barbuto
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