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Lo schiaffo della Fiom al Pd, partito-azienda

La reazione del Pd alle parole di Landini dal palco di piazza Duomo il 14 novembre è stata piuttosto nervosa. Si sono arrabbiati tutti, da Epifani a Damiano, passando per Orfini e la variegata lista delle opposizioni interne.


Lo schiaffo della Fiom al Pd, partito-azienda

La reazione del Pd alle parole di Landini dal palco di piazza Duomo il 14 novembre è stata piuttosto nervosa. Si sono arrabbiati tutti, da Epifani a Damiano, passando per Orfini e la variegata lista delle opposizioni interne. Ma questo partito è ancora capace di qualsiasi relazione con la società civile e col mondo del lavoro?

“Se la poteva risparmiare”, ha commentato l’ex segretario della Cgil. Landini ha sfruttato il varco aperto da Susanna Camusso, che poco prima aveva fatto osservare come le modifiche contrattate tra Renzi e le “anime inquiete” fossero del tutto inservibili. Il segretario della Fiom è andato giù dritto parlando di “presa in giro, utile a qualche deputato per conservare il posto”.

Landini ha colpito il punto debole del Pd. Ecco perché la reazione è stata così stizzita. Il Pd è ancora un partito? Domanda lecita, non tanto per il fatto che tutti i deputati, compresi quelli dell’opposizione interna, tengono alla sedia più che ai cardini della battaglia politica. Non tanto per il suicidio del doppio incarico a Renzi, presidente del Consiglio e segretario del partito. Il punto, credo, è un partito ormai incapace di qualsiasi relazione con la società civile e i settori del mondo del lavoro. Di un partito incapace di gestire la dialettica interna, anche la più banale o, se volete, incapace di riuscire a trovare una posizione unitaria reale di fronte ai “lidi perigliosi” del programma di governo; si può dire senza ombra di dubbio che il salto della quaglia l’ha fatto, senza nemmeno andare a vedere quali sono i suoi programmi.
E’ attorno a questa considerazione che ruota il ragionamento sulla possibile spaccatura del Partito democratico. Landini ha voluto sottolineare forse l’aspetto più visibile della cosiddetta “dialettica interna”. Rimane tutto il resto. E non è poco.

Innanzitutto, il Pd è un partito che tesse le sue maglie forti a livello locale. E’ il suo patrimonio vero e proprio, il tesoro che resiste a tutti i tentativi di scasso. Ha saputo in qualche modo tener testa alle varie ondate del leghismo e del berlusconismo, nelle versioni in cui si è presentato. Ora, questo localismo, è il punto di forza di Renzi, per il semplice motivo che lui sa benissimo come una crepa per quanto evidente e netta a livello nazionale ha scarse possibilità di trasmettersi “per li rami” fino alla realtà locali. E poi, non dimentichiamo che nelle regioni e nei comuni è in atto una vigorosa ristrutturazione amministrativa ed economica. Il manico di questa operazione che comporta tagli, accorpamenti, e vere e proprie cancellazioni ce l’ha Renzi. Basta vedere a questo proposito come ha gestito la vicenda del disessto di Roma. E questo gli consegna un alto potere di contrattazione. Sparisce in un attimo qualsiasi strategia basata su liste civiche e alleanze trasversali e spericolate. Il “deus ex machina” creato da Napolitano perché rispondesse a certi requisiti tutto vede e tutto punisce. E quindi non c’è scampo.
Il taglio delle società partecipate dagli enti locali, da questo punto di vista, è fino in fondo una operazione politica che mantiene la sola maschera della spending review proprio per consentire a Renzi di avere maggiori possibilità di riuscita senza perdersi in troppe e defatiganti mediazioni.
Infine, non passa giorno che Renzi non esibisca questa o quella amicizia o “relazione privilegiata” con il mondo dell’imprenditoria. Una ostentazione quasi irritante che ha a che vedere non tanto con la “composizione sociale” del Pd quanto con un messaggio politico che sottolinea il referente politico. Da un partito della classe operaia al partito dei cittadini e via così fino al partito dei tanti che hanno le mani in pasta con banche, istituti finanziari, consorterie economiche di varia natura.

Sembra evidente a questo punto che parlare di “spaccatura del Pd” da una parte è un puro esercizio retorico dal chiaro segno passatista, dall'altra ha poco senso perché non tiene conto delle conseguenze effettive che il fatto in se potrebbe avere a livello pratico. Sarebbe in poche parole una spaccatura di bandiera, assolutamente inutile nel quadro politico italiano. Sarà, se ci sarà, una spaccatura senza rumore. E questo non per la scarsa importanza degli eventuali artefici, bensì perché si paleserebbe quella caratteristica di sterilità della dialettica democratica che il Pd ha dapprima voluto imporre al paese e che ora gli ritorna indietro configurando il suo profilo come quello di un vero e proprio partito azienda.

23/11/2014 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Fabio Sebastiani
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