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La mosca cocchiera della Bce

Cronaca di una crisi annunciata. I veri motivi della contesa. I soldi in gioco sono tanti e vengono al pettine i nodi delle incertezze del governo Conte in tema di welfare e lavoro.


La mosca cocchiera della Bce

Modello Ciampi o modello Monti? Mentre scriviamo il presidente Mattarella ha appena dato l’incarico a Mario Draghi di avviare le trattative per formare il nuovo governo. La destra è divisa tra astensione e attendismo, il Movimento 5 Stelle è sempre più spaccato, Leu e Pd a un bivio, e un eventuale voto a favore dell’esecutivo a guida Draghi sancirebbe la crisi irreversibile della sinistra ancora presente in parlamento con effetti nefasti sulle prossime elezioni politiche.

Scenari confusi e scelte tutt’altro che scontate. A noi preme entrare nel merito delle questioni dirimenti portando alla luce le principali contraddizioni. Mattarella ha già detto che le elezioni rappresenterebbero un rischio per il paese dopo il fallimento delle consultazioni promosse da Fico. Una posizione condivisa sia dai partiti, che in caso di voto perderebbero una buona parte dei loro parlamentari, sia in linea con i desiderata di Confindustria. L’apertura della Cgil al nuovo esecutivo conferma la natura subalterna del sindacato ai padroni e alla Bce.

La maggioranza che aveva sostenuto il Conte 2 non esiste più, divisa sul Mes, sulla scuola, sulla giustizia, sul piano vaccinale, sull’alta velocità, sul reddito di cittadinanza. Non siamo solo davanti all’ennesimo valzer di poltrone sui nomi dei ministri (una lettura semplicistica della realtà), tra richieste irricevibili, prepotenze e veti incrociati verso questo o quel nome. 

E chi, come Renzi, parlava di contenuti, finisce con il gettare la maschera avanzando pretese sui ministeri più importanti.

Il Pd punta il dito verso Italia Viva, con cui governa amorevolmente numerosi Enti locali, accusandola di avere portato a compimento una azione contro l’Italia. Si invocano interessi nazionali superiori per occultare i veri motivi della contesa.

Renzi è riuscito nel suo intento, ossia mandare a casa Giuseppe Conte il cui governo negli ultimi mesi ha avuto un calo vertiginoso di consensi nel paese. Le responsabilità del vecchio esecutivo sono evidenti ma anche frutto di equilibrismi su materie rilevanti come lavoro, welfare, giustizia. La fine del governo è legata alla volontà di Italia Viva, e di settori della destra, di dirottare il paese verso il Mes rivedendo lo stesso Recovery.

Con la strizzata d’occhio di Draghi e il consenso a denti stretti della “sinistra” (virgolette d’obbligo), il grande capitale si avventerà come un assatanato sui 209 miliardi del Recovery Fund, che poi alla fine della festa dovremo ripagare noi lavoratori. Si tratterà di un colossale trasferimento di ricchezza, roba che ricorda l’accumulazione originaria, e di questo non c’era assolutamente bisogno visto che già vi avevano provveduto in larga misura le conseguenze economiche del Covid-19 e le scelte politiche del governo. Il quale da parte sua non ha saputo rompere la gabbia dell’austerità e le regole di sostenibilità finanziaria tanto care alla Bce. Se lo avesse fatto, magari per assumere personale nella sanità, avrebbe dovuto anche estendere a tutto il 2021 il divieto di licenziamento accordando nuovi ammortizzatori sociali da finanziare con una legge patrimoniale invisa anche a settori che lo avevano sostenuto. Sta qui la principale contraddizione di un governo costruito sull’equilibrismo di quanti si sono coalizzati per scongiurare un esecutivo delle destre ma senza adottare politiche di rottura con il passato.

Draghi non sarà controllabile dalle forze politiche come lo è stato Giuseppe Conte, un suo governo risponderebbe direttamente alle autorità finanziarie ed economiche. Renzi ha provocato la crisi lanciando la volata all’ex presidente della Bce facendone propria la critica al Recovery Plan che dovrebbe favorire solo alcuni progetti destinati a contenere l’indebitamento pubblico. Ecco spiegato l’arcano, il piano nazionale di Resilienza è giudicato inadeguato e l’arrivo di Draghi rivedrebbe l’agenda degli impegni italiani sostenendo solo alcuni progetti giudicati prioritari da Confindustria e dalle autorità finanziarie.

E a proposito del rapporto G-30 sulla crisi, poche settimane fa Draghi avvertiva il governo di indirizzare i prestiti europei solo ai cambiamenti strutturali che poi sono la svolta energetica, l’alta velocità in antitesi alla logica dei sussidi che per l’uomo della Bce sarebbero gli aiuti al lavoro, l’incremento degli ammortizzatori sociali e la deroga al divieto di licenziamento. Non lo ha detto esplicitamente, ma il pensiero della finanza va sempre nella stessa direzione: attaccare il lavoro e contenere il debito, se si tratta di spesa per il welfare e per il lavoro; se invece è per socializzare le perdite e rimpinguare il capitale il debito diventa un obbligo.

Per capire meglio le scelte future sarebbe il caso di ricordare l’assenso di Draghi alla letteraccia di Tritchet nell’agosto 2011 che portò alla fine del governo Berlusconi e alle misure draconiane del governo Monti e della Fornero. Altro che sovranità nazionale! Siamo in presenza di poteri economici e finanziari forti che poi sono gli stessi ad avere sostenuto il governo Monti e con esso l’innalzamento dell’età pensionabile e le controriforme in materia di redditi e pensioni.

Non sfugga poi alla nostra attenzione la coincidenza, per nulla insolita, tra l’incarico a Draghi e la diffusione dei dati congiunturali con il Pil italiano giù dell’8,8%, ossia due punti in più dei paesi dell’Eurozona, 2,4 in più se prendiamo in esame i paesi dell’Ue, stando ai dati Eurostat.

Sempre nei primi giorni di febbraio arriva la notizia di destinare l’ulteriore prestito Ue, di 4,45 miliardi di euro, al lavoro. Parliamo del programma Sure che assegna un temporaneo sostegno ai lavoratori in cassa integrazione e alle imprese in crisi per la pandemia. Il nostro paese dovrebbe ricevere in toto 27,4 miliardi di euro. Siamo il paese che beneficerà più degli altri di questi prestiti che vanno per lo più alle imprese e non rappresentano un aiuto ai lavoratori se non per via indiretta.

Ma attenzione, non si tratta di fondi senza contropartita: la Bce chiede la riforma, l’ennesima, del lavoro e degli ammortizzatori sociali, nonché delle politiche attive del lavoro. Il Pd avrebbe potuto cancellare la riforma Del Rio che smantellò le province e con esse anche le attività legate alla formazione e al lavoro, ma al Pd è mancato il coraggio di cancellare le controriforme dei governi Monti e Renzi. 

Con l’arrivo dei dati sulla perdita di 444 mila posti di lavoro nel 2020, rivedere gli ammortizzatori sociali allungandone la platea dei beneficiari e la durata e allungare a tutto il 2021 il divieto dei licenziamenti sarebbero state scelte obbligate per il governo Conte, scelte invece avversate dalle sirene finanziarie e da Italia Viva ma anche da settori del Pd e del Movimento 5 Stelle. 

L’attendismo e la codardia politica del centro-sinistra ha finito con il favorire l’ascesa di Draghi e la vittoria politica di Renzi, ecco spiegata in una battuta la natura della crisi governativa che ha spianato la strada a un futuro esecutivo guidato dai poteri forti, ieri favorevoli all’austerità e oggi interessati alla gestione del Recovery Fund.

05/02/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Federico Giusti
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