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Gli sprechi della Pubblica Amministrazione. La trave e la pagliuzza

La Cgia di Mestre di nuovo all’attacco degli sprechi della Pubblica Amministrazione. Le cause principali però sono le politiche che quell’associazione auspica.


Gli sprechi della Pubblica Amministrazione. La trave e la pagliuzza

Gli sprechi della Pubblica Amministrazione costerebbero alla collettività il doppio dell’evasione fiscale.

A riportarlo è l’ufficio studi della Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre Cgia, che associa le piccole imprese del Nordest e che periodicamente cavalca questo suo cavallo di battaglia della lotta alla burocrazia.

Questa volta, però, è la stessa associazione a definire il suo report una “provocazione”.

Nel momento in cui il gabinetto Draghi, per mano di Brunetta, intende mettere le mani sulla Pubblica Amministrazione secondo i criteri dettati dal punto di vista del capitale, per il quale i servizi pubblici sono solo un costo da tagliare, l’uscita di Cgia si configura, oggettivamente, come un assist all’esecutivo. Del resto questa associazione rappresenta la piccola borghesia la quale è entrata, con i suoi partiti di riferimento, nel governo che subentra a quelli a egemonia Pd, subalterni al grande capitale, e quindi ha un motivo in più per esternare tale “provocazione”.

Nel suo intervento presenta un confronto fra la propria stima degli sperperi e delle inefficienze dell’apparato pubblico, ricavata da fonti diverse, che ammonterebbero a più di 200 miliardi di euro, e la stima del ministero dell’economia e delle finanze, secondo cui l’evasione fiscale in Italia ammonta a circa 110 miliardi.

Nella lista degli “orrori” della Pa, l’associazione di categoria veneta pone i debiti commerciali con le aziende fornitrici, i tempi lunghissimi della giustizia civile, la corruzione, il deficit logistico-strutturale ecc.

Bisogna porsi innanzitutto una domanda: quanto c’è di realistico e quanto di meramente provocatorio nei calcoli dell’ufficio studi di Cgia di Mestre?

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Alcuni dei punti riportati nel documento della Cgia di Mestre appaiono, almeno parzialmente, convincenti, pur considerando che la stessa associazione, rispetto alla comparazione tra sprechi pubblici ed evasione fiscale, utilizza formule introduttive non rassicuranti per il lettore come la seguente:

“Sebbene entrambi non siano comparabili da un punto di vista strettamente statistico, possiamo comunque affermare con buona approssimazione…”

Elenchiamoli:

1) I debiti commerciali dell’amministrazione pubblica con le imprese fornitrici costituiscono un problema reale, sebbene sulla reale entità di questo fenomeno ci siano dei dubbi. La Cgia di Mestre da tempo li calcola intorno ai 53 miliardi di euro, però i dati ricavati dalla Banca d’Italia si riferiscono al 2018, si fondano su indagini campionarie e sono frutto di segnalazioni di vigilanza. Quindi, come già ammesso in occasioni precedenti dalla stessa Cgia, non possiedono una certezza puntuale. Occorrerebbe tuttavia distinguere quanti di questi debiti sono il risultato di inefficienze e quanti sono il portato inevitabile di norme che pongono vincoli anche sui movimenti di cassa della Pubblica Amministrazione e della carenza di liquidità dovuta all’ordinamento della finanza pubblica.

2) I tempi “infiniti” della giustizia civile italiana se fossero invece quelli dell’apparato giudiziario tedesco indurrebbero un risparmio di 40 miliardi, secondo dati di Cer-Eures, presentati però nell’ottobre del 2017. Anche in questo caso ci sarebbe da eccepire che la politica avrebbe dovuto prendere provvedimenti per colmare questo handicap con semplificazioni delle procedure, assunzioni di personale e forme di risoluzione di alcuni contenziosi senza il ricorso ai tribunali amministrativi.

3) Sprechi e inefficienze del trasporto pubblico locale assommerebbero a 12,5 miliardi di euro all’anno stando a dati di provenienza The European House Ambrosetti e Ferrovie dello Stato. In questo caso, intanto, si scrive “trasporto pubblico locale”, ma si legge trasporto privato, viste le privatizzazioni effettuate nel settore. Inoltre se molti di questi servizi sono inefficienti è anche a causa del modello di trasporti imposto al nostro paese dall’industria automobilistica, che ha privilegiato i trasporti individuali su quelli collettivi, riducendo questi ultimi a un ruolo marginale (l’utenza degli studenti e dei pensionati prevalentemente).

4) Infine, sprechi e corruzione nella sanità ammonterebbero a 21,5 miliardi di euro. Ma anche qui a fianco di voci tutto sommato incontestabili come frode e abusi per 4,73 miliardi di euro, troviamo acquisti a costi eccessivi per 2,15 miliardi che ovviamente sarebbero stati pagati dal committente pubblico ad aziende private e che pertanto, se possono essere annoverate tra i danni alla collettività, devono però rientrare tra i vantaggi per le imprese. Che dire poi dell’eccessivo peso della burocrazia e dell’edilizia sanitaria dovuto ancora a scelte politiche.

Stesso discorso per la voce sovrautilizzo pari a 6,45 miliardi, considerando che con questo termine si intendono prestazioni mediche o diagnostiche inefficaci o inappropriate che però data l’esistenza di un vasto mondo di sanità privata di nuovo ricadono tra i profitti per le aziende

Il processo di privatizzazione della sanità, infatti, non ha migliorato la situazione, facendo soffrire la medicina territoriale e la prevenzione, perché il privato guadagna se le persone si ammalano non se sono sane. Le difficoltà ad affrontare il Covid ne sono la dimostrazione e dovrebbero indurre un’associazione dei piccoli imprenditori a meditare di più sui danni economici patiti da questa categoria a causa di un sistema sanitario che ha emarginato la prevenzione. Allo spreco finanziario si aggiunge in questo caso lo spreco economico e quello di un bene chiamato salute, che non ci pare meno importante ma che, naturalmente, nello studio non viene preso in considerazione.

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Poi ci sono altre voci che la Cgia elenca e che invece inficiano abbastanza tutta la comparazione tra sprechi pubblici ed evasione fiscale e la rendono per certi versi anche diseducativa, dato che comunque l’evasione fiscale è un reato grave, che lo Stato, tra condoni variamente denominati, tollera fin troppo, mentre le inefficienze della Pubblica Amministrazione solo in casi particolari rientrano in questa categoria e spesso sono attribuibili a scelte politiche. 

Ma andiamo a vedere i punti in questione.

L’associazione di categoria veneta ci dice che il costo annuo delle imprese per la gestione dei rapporti la pubblica amministrazione consiste in 57 miliardi di euro ricavati da dati di The European House Ambrosetti. Ma a parte la genericità di questa voce bisognerebbe ricordare a mero titolo di esempio che al contrario degli altri paesi europei, l’Italia possiede il record negativo di avere almeno quattro organizzazioni criminali che esercitano un controllo pervasivo sul territorio di alcune regioni del sud e ramificazioni nel resto del paese. Questo implica la necessità di provvedere a una ponderosa documentazione antimafia che di certo appesantisce gli adempimenti, ma che dovrebbe garantire un corretto andamento della vita economica, anche nell’interesse delle piccole imprese sane. Così come, in genere le procedure di spesa e contrattuali, che debbono passare per fasi e controlli doverosi. L’imparzialità e la prevenzione della corruzione ha senza dubbio un costo che però è doveroso sostenere.

L’eccesso di spesa pubblica che, a detta di alcuni esponenti della Commissione europea, pesano per 24 miliardi di euro e che non consentirebbero di abbassare la pressione fiscale è frutto di scelte della politica e non della Pubblica Amministrazione. Su questo punto specifico bisognerebbe chiedere quanto pesino i contributi diretti e indiretti di sostegno alle imprese, dato che invece le spese per i servizi sociali sono tra le più basse in Europa, oltre che il pagamento degli interessi sul debito pubblico, tra i più alti dell’Ue e inferiore solo a quello greco, che ingrassa il capitale finanziario.

Il deficit logistico-strutturale che secondo dati del ministero delle Infrastrutture penalizza il sistema economico italiano per 40 miliardi di euro è anche in questo caso attribuibile alle scelte della politica e non al funzionamento dell’amministrazione pubblica. Si veda, per esempio, la scelta di sperperare cifre astronomiche in grandi opere di scarsa utilità, tra l’altro sollecitate da Cgia, trascurando notevolmente gli interventi strutturali capillari in tema di comunicazioni e anche di telecomunicazioni, oppure cedendo a privati pezzi enormi di questo comparto, col risultato che i ponti autostradali crollano come castelli di carta e per la banda larga e ultralarga assistiamo a guerre fra monopoli che ostacolano uno sviluppo razionale. Anche di questo dovrebbe preoccuparsi chi rappresenta gli interessi degli artigiani e dei commercianti.

Un altro compito dello Stato e delle sue amministrazioni locali è quello della protezione sociale dei più deboli, che certamente non potrebbero permettersi i prezzi di mercato. In questo campo si è tagliata notevolmente la spesa, mentre sarebbe necessario spendere molto di più, visto che la povertà aumenta e che purtroppo oggi anche molti piccoli imprenditori stanno rischiando di caderci.

Una fonte effettiva di spreco, che l’associazione di Mestre non pare rilevare è dato da attività inutili introdotte da “riforme” della Pubblica amministrazione varate per farla somigliare al privato: misuratori di produttività, necessariamente cervellotici perché il prodotto del comparto pubblico non è prevalentemente una merce; valutazione dei risultati a cui vengono legate anche le retribuzioni, che ufficialmente dovrebbero premiare la meritocrazia e invece premiano prevalentemente il servilismo, redazione di progetti e consuntivi fantasiosi per giustificare le retribuzioni di risultato. Tutto questo comporta una mole di adempimenti che sottraggono risorse alle attività effettivamente utili.

Infine, non va dimenticato che la pubblica amministrazione del nostro paese si avvale di un numero di dipendenti tra i più bassi in Europa e con l’età anagrafica più alta, effetto delle politiche di contenimento della spesa pubblica che Cgia da sempre propugna.

Questa associazione, visto che ama misurare gli sperperi, avrebbe potuto mettere sul piatto anche gli sprechi del privato. 

Della sanità privata che gonfia il “mercato” e aborre la prevenzione, abbiamo già detto.

Nessuno dell’associazione ha mai ricevuto chiamate da un call center (ai comuni mortali capita quasi quotidianamente) per essere indotto a cambiare gestore elettrico, del gas, telefonico ecc. in una concorrenza assurda voluta dalle “liberalizzazioni” dei servizi a rete, che sarebbero monopoli naturali e quindi suscettibili di essere gestiti dalla collettività? Quanto costa tutto ciò? E le spese per la pubblicità, con tanto di super retribuzioni a calciatori e star dello spettacolo?

E “lo spreco di gente”, come diceva una vecchia canzone, gli esuberi e la precarietà sull’altare del massimo profitto, così come lo spreco di beni ambientali e di risorse naturali?

Per non parlare delle guerre dovute alla fame di profitto.

Ci domandiamo se sia veramente nell’interesse delle piccole imprese preoccuparci solo di tagliare la spesa pubblica per ridurre le tasse.

La Pubblica Amministrazione non raggiunge l'efficienza” del privato perché il suo scopo non è il profitto. E nemmeno deve cercarlo. Ma non sempre il profitto coincide con il benessere comune. Al contrario in questa fase declinante del capitalismo il sacrificio di tutto il resto a tale obiettivo è divenuto un limite al progresso sociale. Ma questo la Cgia non lo dice.

19/03/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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