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Con o senza Renzi, la manovra è di destra

La manovra del governo Gentiloni è in continuità con le politiche di Berlusconi, Renzi e del centrosinistra, cioè un insieme di misure di destra.


Con o senza Renzi, la manovra è di destra Credits: https://cdn.pixabay.com/photo/2015/10/30/11/06/wallet-1013789_960_720.jpg

È stato licenziata dal Senato ed è all'esame della Camera la manovra finanziaria per il prossimo anno. Già il Pd Cesare Damiano ha annunciato l'esistenza di accordi in Commissione Lavoro, da lui presieduta, per alcuni emendamenti su un testo che invece pochi giorni fa il Sole24 ore definiva “blindato”. Gli emendamenti riguarderebbero l'elevamento dell'indennità di licenziamento, senza peraltro mettere minimamente in discussione la logica del jobs act, e l'accollamento a carico dello stato degli oneri per l'anticipo pensionistico (Ape) di alcune categorie disagiate, pur confermando l'intoccabile legge Fornero. In discussione ci sono anche alcune modifiche alla web tax, istituita con questa manovra, i cui contorni quindi sono ancora alquanto incerti, nonostante se ne parli da anni. L'ipotesi che va per la maggiore è quella di uno sconto per le imprese del web italiane.

A parte la consueta incertezza fino all'ultimo – o fino alla fiducia – sui dettagli, il segno della manovra è chiaro e in piena continuità con le politiche renziane, sia pure verniciato (siamo ormai in campagna elettorale) con elemosine. Gentiloni, entusiasta sei suo lavoro, ha twittato: “#Senato Primo via libera alla legge di bilancio. Risorse per il lavoro dei giovani, la lotta alla povertà, le imprese 4.0, il rinnovo dei contratti statali, le famiglie, gli investimenti. Fiducia per la crescita”.

Lo stesso Renzi ha benedetto la manovra, dicendo di accogliere anche – con rammarico ma per venire incontro a Pisapia – l'abolizione dei superticket sui farmaci: “io non lo farei, ma per un accordo sono pronto a farmene carico”. Un'elemosina che vale il 6% dei ticket quando sappiamo che un italiano su 4 rinuncia a curarsi a causa del costo dei farmaci.

Ma vediamo più da vicino in cosa consiste questa manovra, sulla base dell'illeggibile testo già approvato al Senato.

L'aumento dell'Iva, di anno in anno rinviato, salta anche nel 2018, Ue permettendo. Nel biennio 2018-19 però l'Iva aumenterà de tre punti, indiscriminatamente, sia l'aliquota agevolata, che passerà dal 10 al 13 per cento che quella ordinaria, che passerà dal 22 al 25 per cento. Nel 2019 aumenteranno anche le accise sui carburanti.

Piuttosto che investire per migliorare i servizi pubblici, si ripercorre la via dei bonus fiscali: bonus treno, reiterazione del bonus Irpef di 80 euro, bonus assunzione giovani, bonus bebè, bonus famiglia con figli, bonus energia, bonus sisma, bonus ristrutturazione, bonus mobili, Bonus caregiver. E speriamo di non aver dimenticato qualcosa.

Il segno resta la monetizzazione dei disagi dovuti alle carenze dei servizi pubblici, del welfare e delle politiche del lavoro. Domandiamoci se una lavoratrice o un lavoratore con figli da accudire preferisca asili nido pubblici funzionanti o un bonus economico che consenta di alleviare l'onere derivante dal doversi rivolgere a un servizio privato. Senza considerare che sono beffati i giovani che a causa della loro disoccupazione o del lavoro precario non possono mettere su famiglia e avere figli. È un po' la stessa beffa subita dagli incapienti che non possono usufruire del bonus fiscale di 80 euro in quanto il loro reddito è talmente basso che non dà luogo un'imposta di 80 euro mensili da esentare. E che dire dei bonus sugli abbonamenti dei trasporti quando i servizi pubblici di trasporto sono disagiati e continuamente ridotti; o delle persone che debbono accudire disabili in assenza di servizi pubblici adeguati, cui si stacca un assegno e poi si arrangino. Certamente di tutta questa bontà sarà ben lieta la Compagnie delle Opere, braccio imprenditoriale di Comunione e Liberazione, o analoghe strutture che vanno gradualmente sostituendo i servizi pubblici.

Non poteva andar male invece alle imprese che godranno di dei benefici della industria 4.0. Pochi spiccioli per il 2018, ma 250 milioni nel 2019. Cioè contributi pubblici per introdurre innovazioni, generalmente acquistate all'estero, visto che in fatto di ricerca e produzioni tecnologiche siamo il fanalino di coda dell'Europa, e quindi non genereranno lavoro da noi. Innovazioni, che al contrario tenderanno a ridurre il fabbisogno di lavoro. In pratica i lavoratori, con le imposte – che, si sa, sono pagate quasi esclusivamente da loro – finanzieranno il loro licenziamento.

Le imprese godranno per tre anni anche di uno sgravio del 50 per cento dei contributi dovuti per nuove assunzioni di giovani con contratto a tutele crescenti, cioè di precariato stabile. Sgravio che sale al 100 per cento se si assumono i sopravvissuti dal lavoro gratis previsto dall'alternanza scuola-lavoro. Se poi il sistema pensionistico, a seguito di queste decontribuzoni, va in deficit, ha già provveduto a risanarlo il meccanismo automatico Sacconi-Fornero. I lavoratori più anziani espulsi dal lavoro, che nessuno vuole più e che grazie ai tagli al sistema previdenziale non possono avere una pensione, verranno invitati a pranzo dai nuovi assunti, che notoriamente potranno permetterselo con i loro trattamenti salariali di prim'ordine. Se invece non tornano i conti della sanità, la diminuzione dei servizi e la privatizzazione del sistema sono una costante degli ultimi decenni.

Dubito invece che gioiranno gli indigenti e i senza casa dello sconto del 36% per la sistemazione a verde di aree scoperte di edifici e immobili esistenti o per impianti di irrigazione, realizzazione di pozzi, copertura a verde e giardini pensili. Però viene ridotto dal 65% al 50% lo sgravio per il risparmio energetico, evidentemente nella convinzione che il nostro paese sia già all'avanguardia in materia.

Piccoli risparmiatori udite udite! Hanno pensato anche a voi. Dopo l'esperienza del bail-in e la truffa da voi subita ci pensa il governo con un fondo di ben 50 milioni di euro. Ne servirebbero diverse decine almeno per mettere al sicuro i risparmiatori dal fallimento delle banche troppo cariche di crediti deteriorati e di dubbia esigibilità (non performing loans, Npl). Ma il governo ha prontamente estratto dal cilindro il coniglio degli “strumenti di debito chirografario di secondo livello”, cosiddetti bond cuscinetto. Si tratta di una nuova tipologia di titoli che le banche possono emettere e che devono avere determinati requisiti, la cui descrizione risparmiamo al lettore, ma soprattutto (ecco la novità!) in caso di fallimento della banca “sono soddisfatti dopo tutti gli altri crediti chirografari e con preferenza rispetto ai crediti subordinati alla soddisfazione dei diritti di tutti i creditori non subordinati della società”. In termini terra terra, finora, in caso di fallimento, venivano soddisfatti prima i depositi, con precedenza di quelli al di sotto di un certo ammontare, poi le obbligazioni non subordinate e infine, se ancora rimanevano delle disponibilità, quelle subordinate. Ora fra le due tipologie obbligazioni, a fare appunto da cuscinetto, ci sono questi nuovi strumenti, il cui livello di rischio è quindi intermedio fra quello delle altre due tipologie di titoli già esistenti. Quindi acquistateli e dormite sonni tranquilli, tenendo anche di conto che nella manovra non compaiono più le misure per lo smaltimento dei Npl.

Viene invece aumentato di quasi 38 miliardi il fondo investimenti creato lo scorso anno e già finanziato fino al 2032, e che con la manovra viene previsto anche per il 2033. La parte del leone la fanno le infrastrutture, ma non è dato di sapere quali opere in concreto saranno messe in cantiere.

Ci fermiamo qui per non tediare ulteriormente con la serie di mini aggiustamenti e piccole regalie che riguardano le imprese, le famiglie, le aree terremotate, la tassazione nazionale e locale. Soffermiamoci invece sui tagli resi necessari per far quadrare i conti di una serie di elargizioni.

Comuni, province, sanità e pensioni sono stati negli ultimi anni il bancomat da cui attingere i soldi delle varie manovre. Fra il 2010 e il 2015, su circa 25 miliardi di riduzione del deficit pubblico, poco meno della metà è stata fatta pagare agli enti locali, i soggetti più vicini ai bisogni delle popolazioni che hanno dovuto tagliare servizi, assunzioni, manutenzioni e investimenti. Circa quattro quinti dei tagli hanno interessato il costo del personale grazie al blocco del turnover, dei contratti e di forti limitazioni alle assunzioni. E sussiste l'obbligo di trovare i soldi per assicurare i magri aumenti contrattuali recentemente sbloccati, con tagli al proprio bilancio. Da parte sua il sistema pensionistico, contrariamente a quello che si dice, non era in disavanzo, ma anzi ha finanziato una parte dei restanti miliardi. Infatti si è attinto ai contributi previdenziali dei lavoratori per finanziare l'assistenza, le crisi aziendali, e anche la fiscalità generale, visto che le pensioni sono regolarmente assoggettate all'Irpef, a differenza di quanto avviene in altre nazioni. Anche i tagli alle Regioni hanno determinato la diminuzione e il decadimento delle prestazioni del Servizio sanitario nazionale.

Progressivamente si sono inaridite le risorse dei i servizi essenziali e si sono imposti peggioramenti di fatto dei lavoratori di questi servizi, spesso dati in appalto con gare al ribasso, per far fronte al pagamento del debito o per salvare il sistema bancario, guardandosi bene però dal nazionalizzare gli istituti mal gestiti.

Insomma berlusconismo senza Berlusconi o renzismo senza Renzi, che poi non fa grande differenza con le politiche del centrosinistra.

09/12/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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