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Capitalismo monopolistico di Stato e UE

L’ispirazione liberista della normativa dell’Unione Europea sugli aiuti di stato in epoca di pandemia. Il ruolo del capitalismo monopolistico di stato dipende dai rapporti di forza fra le classi


Capitalismo monopolistico di Stato e UE Credits: https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Il_Presidente_del_Consiglio_Giuseppe_Conte_e_la_Presidente_della_Commissione_Europea_eletta_Ursula_von_der_Leyen.jpg

Timori e tremori

Carlo Bonomi, eletto il 20 maggio scorso Presidente di Confindustria, nel suo discorso di investitura ha tracciato un programma dell’organizzazione (cfr “Il Sole - 24 Ore” del 21 maggio). Alcune cose importanti le ha già ottenute, altre si appresta a ottenerle. “Su nostra richiesta, lo Stato ha imboccato la via più rapida e naturale per sostenere imprese e lavoro: non prorogare i pagamenti ma abbonare le tasse, come avverrà con l’Irap”. Sorvolando disinvoltamente sui macroscopici interventi in favore delle imprese contenuti nel decreto legge 19 maggio 2020 n.34 (cosiddetto decreto ‘Rilancio’), Bonomi invoca “un credibile programma di riduzione strutturale del maxidebito pubblico”. Che strano! Ha chiesto, e ottenuto, centinaia di miliardi di sovvenzioni, abbuoni, crediti fiscali, garanzie pubbliche, tutti interventi effettuati a debito, e ora chiede un rientro credibile del nostro debito? Ma sì, egli pensa che gli altri dovranno stringere la cinghia per lui e quelli come lui.

“Per riprendere la via degli investimenti” egli prosegue “due sono i caposaldi: la ripresa e il potenziamento di ‘Industria 4.0’ e l’affiancamento di analoghi incentivi per ‘Fintech 4.0’”. La politica dovrà tagliare la spesa corrente e raddoppiare gli investimenti pubblici “nel campo delle infrastrutture di trasporto e logistiche, nella digitalizzazione e produttività dei servizi”. Quindi, riassumendo, nella visione ‘strategica’ di Bonomi abbiamo uno Stato (“la politica”) che abbona le tasse, trasferisce in vario modo 105/110 miliardi di euro (su 155) alle imprese con il decreto ‘Rilancio’, soldi per lo più procurati a debito, e che si impegna a ulteriori cospicue sovvenzioni. Ci si aspetterebbe allora un grazie alla “politica”. E invece, con un vero salto mortale, nuovi ingrati ‘caveat’! Le dure recessioni hanno creato “una vasta platea” di impoveriti da illudere elettoralmente e a cui promettere “risposte di reddito e lavoro”. Per questo scopo lo stato vorrà “estendersi sempre di più e tornare gestore dell’economia, raccogliendo sempre più tasse […]“. Ma a noi imprenditori, proclama Bonomi, “toccherà continuare a dire di no: reddito e lavoro a milioni di italiani possono darlo solo le imprese e i mercati […] e l’equilibrio della finanza pubblica”.

Bonomi non è solo. Luigi Abete, presidente di BNL, paventa un rischio di nazionalizzazioni, rischio che può presentarsi in modo formale, come accade con Alitalia, o in forma strisciante “che è quella che potrebbe venir fuori dagli effetti a cascata degli interventi statali a seguito dell’emergenza da Covid-19 [decreto Rilancio] […]. Dopo trent’anni c’è il rischio che lo Stato da regolatore torni ad essere gestore e si vada a sostituire al mercato” (“Il Sole - 24 Ore” dell’8 maggio).

Infine Marco Tronchetti Provera, amministratore delegato di Pirelli, alla domanda se condivida l’istituzione del Fondo (ora di 44 miliardi di euro) gestito da CDP per il sostegno pubblico alle aziende medio-grandi, risponde: “Sì, se il denaro immesso dalla mano pubblica nel capitale delle aziende viene considerato alla stregua di qualsiasi investimento in capitale di rischio, senza interferenze dello Stato nella gestione delle aziende”. E alla domanda se lo Stato che mette i soldi non possa intervenire né sulla gestione né sull’indirizzo strategico delle imprese, replica: “Ho ascoltato dal ministro Gualtieri parole rassicuranti a questo proposito. Se l’obiettivo dello stato è sostenere queste imprese in anni prevedibilmente difficili, il modello non può essere altro che l’investimento finanziario con un limite di tempo possibilmente lungo e una remunerazione legata ai risultati dell’azienda. Niente consiglieri, niente interferenze. Gli imprenditori non li accetterebbero. Lo Stato deve aiutali, non spaventarli.” (“La Repubblica - Affari e Finanza” del 18 maggio). Ce ne sarebbero molti altri, ma mi fermo qui.

Questi alti lai sono giustificati? Senz’altro no. Lo Stato in questa grave crisi è chiamato a svolgere la funzione che gli è propria di sostegno pubblico ‘sistematico’ al capitale finanziario, e agli altri settori capitalisti e non capitalisti subalterni: compito che può svolgere più agevolmente in un contesto, come quello attuale, di debolezza dei subalterni.

Capitalismo monopolistico di Stato e UE
“Quadro temporaneo” del 19 marzo 2020 e modifica del 3 aprile 2020.

La riorganizzazione del capitale durante la crisi pandemica e in vista di un dopo crisi ottimisticamente immaginato come ravvicinato, ha trovato una sua regolazione europea di cornice nella disciplina sugli aiuti di Stato, quella ordinaria già in vigore prima dell’emergenza Covid-19, e quella della nuova disciplina “in deroga” contenuta nelle “Comunicazioni” normative della Commissione europea in data 13 e 19 marzo, 3 aprile e 8 maggio 2020.

In questo complesso normativo troviamo un’ampia gamma di quelle che, nel precedente articolo sull’argomento, ho definito interventi esterni o indiretti nell’azione del capitalismo monopolistico di Stato, quali dazioni di denaro o capitale a fondo perduto, garanzie per il credito bancario o all’export, incentivi, indennizzi, sussidi di vario genere.

Nella Comunicazione del 13 marzo scorso “Risposta economica coordinata all’emergenza Covid-19”, la Commissione UE indica le azioni da intraprendere per contrastare lo “shock” economico causato dalla pandemia (caduta simultanea di offerta e domanda, incertezza economica, gravi problemi di liquidità delle imprese). Una di queste azioni, la più importante, è rappresentata dagli aiuti di Stato alle imprese. Già la disciplina ordinaria permette agli Stati membri di adottare misure “non selettive”, cioè applicabili a tutte le aziende e come tali non propriamente catalogabili come aiuti di Stato (ad esempio la sospensione generale del pagamento delle imposte sulle società, dell’IVA, dei contributi previdenziali, pagamento delle integrazioni salariali ed altro). La stessa disciplina ordinaria permette agli Stati di indennizzare i danni causati alle imprese da calamità naturali o da eventi eccezionali quali la pandemia (ad esempio gli indennizzi alle imprese di settori come il turismo, i trasporti, la cultura).

La nuova disciplina integrativa, di carattere eccezionale e transitorio, è quella introdotta con la Comunicazione del 19 marzo scorso “Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del Covid-19” (“Temporary Framework for State aid measures to support the economy in the current Covid-19 outbreak”). Nel “Quadro temporaneo” è individuata una serie di misure di aiuti di Stato che la Commissione ritiene compatibili per “porre rimedio a un grave turbamento dell’economia” (art. 107, par. 3, lett. b, del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE). Si tratta di misure di aiuti di Stato che i Paesi membri devono dimostrare, notificandole, essere “necessarie, adeguate e proporzionate”. La Commissione “ritiene che un aiuto di Stato sia giustificato e possa essere dichiarato compatibile con il mercato interno […] per un periodo limitato, per ovviare alle carenze di liquidità delle imprese e garantire che le perturbazioni causate dall’epidemia non ne compromettano la redditività, in particolare per le PMI”. Le finalità del controllo delle operazioni di aiuto di Stato a seguito della notifica dell’intervento da parte dello Stato membro è garantire “che il mercato interno dell’UE non venga frammentato e le condizioni di parità rimangano intatte. L’integrità del mercato interno […] evita pericolose corse alle sovvenzioni in cui Stati membri con mezzi più ingenti possano spendere più dei loro vicini a scapito della coesione all’interno dell’Unione”.

Una riflessione scaturisce dall’esame di questo primo gruppo di norme: da ognuna di esse trasuda un’impronta ideologica neoliberista. L’aiuto di Stato, pur invocato e utilizzato a piene mani in situazione di crisi, deve comunque essere eccezionale e provvisorio, necessario (cioè senza altre soluzioni), adeguato (cioè efficace) e proporzionato (non eccessivo e finalizzato solamente a ripristinare i margini di redditività perduta a seguito dell’evento emergenziale). Cosa significa nell’età del capitalismo monopolistico integrità del mercato e parità delle condizioni del mercato interno dell’UE? Forse parità di accesso?

È del tutto insensato pensare che esista per la generalità delle imprese. Più vicino alla realtà è pensare a una formale, teorica, tensione alla parità delle condizioni di mercato nella competizione intermonopolistica o meglio oligopolistica. D’altronde la precipua funzione dell’Antitrust europeo (e di quelli nazionali) e del Commissariato alla Concorrenza (ora presieduto dalla danese Margrethe Vestager) è quella di evitare che nella concorrenza oligopolistica emergano “posizioni dominanti” di uno o più gruppi di capitale finanziario. Fortemente propagandistica e subalterna è la tutela degli altri settori del capitale (soprattutto PMI), pur importanti nella fase del capitalismo monopolistico.

Un intervento non controllato dello Stato potrebbe distorcere, narra la propaganda UE, la competizione oligopolistica, permettere la nascita di posizioni dominanti o lasciare sul mercato aziende “malsane”, destinate invece all’estinzione.

È evidente la rappresentazione ideologica della ‘bestia’ (lo Stato), sempre vorace, che tassa le aziende e ne deprime i profitti, funziona malamente, è corrotto, e distrugge risorse con una spesa corrente fuori controllo.

La realtà ci racconta ben altro.

La Commissione nulla ha potuto fare per evitare che gli Stati membri, con mezzi più ingenti, abbiano speso più dei loro vicini in garanzie pubbliche prestate e in ricapitalizzazioni, minando in tal modo l’integrità del mercato interno UE e violando cospicuamente le condizioni di parità.

Scriveva D’Argenio su “La Repubblica” del 28 aprile: È in corso un’altra partita europea di importanza pari a quella dei Coronabond: la deroga al divieto di aiuti di Stato […]. Il timore che i partner settentrionali con debiti sovrani più bassi e quindi con maggiore capacità di spesa pubblica approfittino della sospensione delle regole sulle ricapitalizzazioni statali per rifare il look alla loro industria, sfruttando la crisi pandemica con effetti distorsivi permanenti del mercato interno […] dell’UE”. Adriana Cerretelli su “Il Sole - 24 Ore” dell’8 maggio rincara la dose: “La scelta del ‘liberi tutti’ ha tolto tetti a deficit, debiti, e anche all’erogazione di aiuti di Stato nazionali: chi ha più risorse le può mobilitare senza limiti, chi ne ha meno arranca invocando solidarietà che tarda a venire. Tra prestiti, sovvenzioni e garanzie pubbliche, a oggi la Commissione UE ha approvato 145 misure nazionali notificate da 26 Paesi per circa 1.930 miliardi di euro […]. Con oltre il 52% del totale la Germania distacca di gran lunga tutti: 1.000 miliardi contro i 450 della Francia e i circa 400 dell’Italia. […]. Qualsiasi nozione di ‘level playing field’ e di integrità del mercato unico è andata a farsi benedire”. L’aspetto contraddittorio dello scontro intercapitalistico e interstatuale è sempre presente e forte, ma tende anche alla coesistenza, tra squilibri e componimenti. Il mercato interno UE non strutturalmente frammentato è ancora un’esigenza importante per i Paesi economicamente e finanziariamente più forti, sia per l’interscambio che per la subfornitura.

Ma torniamo a questo punto al nostro discorso sul “Temporary Framework”. Nel “Quadro temporaneo” del 19 marzo la Commissione ha individuato cinque tipologie di misure d’aiuto che possono temporaneamente essere adottate dagli Stati per far fronte all’emergenza. Vediamone alcune.

  1. Aiuti sotto forma di sovvenzioni dirette, anticipi rimborsabili o agevolazioni fiscali (par. 3.1) per far fronte all’improvvisa carenza di liquidità delle imprese. L’aiuto deve essere d’importo limitato (non oltre 800 mila euro), non può essere concesso a imprese in difficoltà al 31 dicembre 2019 e dev’essere concesso entro il 31 dicembre 2020. In Italia il regime di sostegno alla liquidità tramite il Fondo centrale di garanzia per le PMI previsto dal d.l. 8 aprile 2020 n.23 (cd. decreto ‘Liquidità’) è disegnato su questa parte del “Quadro temporaneo”.
  2. Aiuti sotto forma di garanzie sui prestiti in forma di garanzie pubbliche, a condizione che sia previsto un livello minimo di remunerazione della garanzia, che le garanzie siano concesse entro il 31 dicembre 2020, che siano prestate in favore di imprese non in difficoltà al 31 dicembre 2019, che la durata della garanzia sia al massimo sei anni e non ecceda il 90% del capitale del prestito. In Italia il regime di garanzia pubblica sui prestiti previsto dall’art. 1 del d.l. ‘Liquidità’ è ispirato a questo modello.
  3. Aiuti sotto forma di tassi di interesse agevolato sui prestiti (par. 3.3). Il tasso non deve essere inferiore a un livello minimo, i contratti di prestito devono essere firmati entro il 31 dicembre 2020 e avere durata massima di sei anni.

 

Sorvolo per esigenze di spazio sulle altre due misure.

La modifica del “Quadro temporaneo” del 3 aprile 2020 ha esteso il regime di compatibilità a misure selettive e temporanee che riguardano solo alcuni settori, regioni, o tipologie di imprese. Vi rientrano gli aiuti di Stato per agevolare le attività di ricerca e sviluppo in campo sanitario.

Seconda modifica del “Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato”

La Commissione europea con comunicazione dell’8 maggio 2020 informa di aver adottato una seconda modifica del “Quadro temporaneo”, estendendone il campo di applicazione alle misure di capitalizzazione e debito subordinato, e stabilendo i “criteri sulla base dei quali gli Stati membri possono ricapitalizzare le imprese in difficoltà”. Dal momento che “la riduzione di capitale proprio delle imprese in mercati caratterizzati da scarsa domanda e perturbazione dell’offerta aumenta il rischio di una grave recessione economica […], interventi pubblici ben mirati volti a fornire strumenti di capitale […] alle imprese potrebbero ridurre il rischio che si verifichi un numero significativo di insolvenze nell’economia delL’UE” (art. 5).

Con questa comunicazione si stabiliscono i criteri in base ai quali gli Stati membri possono erogare un sostegno pubblico per evitare “un‘uscita non necessaria di imprese che erano redditizie prima della pandemia. Le ricapitalizzazioni devono pertanto non superare il minimo necessario per garantire la redditività del beneficiario” (art. 6). La concessione del sostegno pubblico presuppone l’assenza di ogni “altra soluzione adeguata” e deve essere soggetta “a condizioni rigorose […] per quanto riguarda l‘entrata dello Stato nelle imprese interessate, la sua remunerazione e l’uscita da esse […] per limitare le distorsioni della concorrenza”.

All’art.10 è ribadito il principio fondamentale dell’UE sul ruolo dello Stato nell’economia: “La Commissione ricorda che il trattato sul funzionamento dell’UE è neutrale rispetto alla natura pubblica o privata della proprietà (art. 345 TFUE). Se gli Stati acquisiscono quote […] di imprese a prezzi di mercato o investono in condizioni di parità rispetto agli azionisti privati, ciò, di norma, non costituisce un aiuto di Stato. Analogamente se gli Stati membri decidono di acquisire azioni di nuova emissione e/o di concedere alle imprese altri tipi di sostegno al capitale o strumenti ibridi di capitale a condizioni di mercato, ossia a condizioni conformi al principio dell’operatore in economia di mercato, nemmeno ciò costituisce un aiuto di Stato”.

Vediamo ora alcune delle condizioni che si applicano alle ricapitalizzazioni chiamate dal documento “ricapitalizzazioni Covid-19”. Intanto esse non sono ammesse dopo il 30 giugno 2021 (art. 48) e sottostanno ad alcune condizioni quali il fallimento, senza l’intervento dello Stato, del beneficiario o il grave deterioramento del rapporto tra debito e patrimonio netto; l’impossibilità da parte dell’azienda di reperire finanziamenti sui mercati a condizioni accessibili; il suo stato di non decozione al 31 dicembre del 2019 (art. 49). È obbligatorio per gli Stati membri notificare preventivamente gli aiuti di Stato “superiori alla soglia di 250 milioni”. Vale anche per le ricapitalizzazioni la valutazione da parte della Commissione della loro adeguatezza e proporzionalità (art. 51). Gli strumenti di ricapitalizzazione possono essere “l’emissione di nuove azioni ordinarie o privilegiate e gli strumenti ibridi di capitale, quali […] le obbligazioni convertibili [in azioni] e le partecipazioni senza diritto di voto” (art. 52).

Lo Stato deve ricevere una remunerazione congrua per l’investimento e quanto più la remunerazione è a condizioni di mercato, minore è la distorsione della concorrenza. Tale remunerazione deve essere sufficientemente elevata “da incentivare le imprese a rimborsare e cercare capitale alternativo non appena le circostanze di mercato lo consentono (artt. 55, 56, 57, 58). Il conferimento di capitale da parte dello Stato viene effettuato al prezzo medio delle azioni del beneficiario nei 15 giorni precedenti la richiesta di conferimento […]. È previsto un meccanismo di incremento progressivo della remunerazione statale per incentivare il beneficiario a riacquistare i conferimenti statali di capitale, operazione che comunque egli può fare in ogni momento. (artt. 60, 61, 62, 63, 64). Finché non è stato riscattato almeno il 75% delle misure di ricapitalizzazione Covid-19, ai beneficiari diversi dalle PMI viene impedito di acquisire una partecipazione superiore al 10% in imprese concorrenti” (art. 74).

Fintantoché le misure di ricapitalizzazione non siano “interamente riscattate, i beneficiari non possono effettuare pagamenti di dividendi […] né riacquistare azioni se non in relazione allo Stato” (art. 77). Le imprese beneficiarie diverse dalle PMI che hanno ricevuto una ricapitalizzazione superiore al 25% del capitale proprio devono dimostrare di avere una strategia di uscita credibile per la partecipazione dello Stato membro e definire un vero e proprio “calendario di rimborso” dell’investimento pubblico (artt. 79 e 80). “Qualora sei anni dopo la ricapitalizzazione […] l’intervento dello Stato non sia stato ridotto al di sotto del 15% del capitale proprio del beneficiario, deve essere presentata alla Commissione, per l’approvazione, un piano di ristrutturazione in conformità degli orientamenti per il salvataggio e la ristrutturazione” (art. 85).

Il capitalismo monopolistico di Stato in ‘purezza’ ovvero la ricapitalizzazione e il capitale finanziario

Il totem ideologico neoliberista, nella visione della commissione UE, è totalizzante. È come un ritornello, anzi, una giaculatoria ripetuta con devozione e puntigliosità in ogni occasione. Scrivevo nel mio precedente intervento su “La Città Futura” del 10 maggio che il capitalismo monopolistico di Stato, se lasciato nelle mani dell’oligarchia finanziaria dominante, funziona come elemento strutturale dell’ordinamento capitalistico e come fattore di accumulazione. Questo sembra avvenire in questi tempi di crisi. Il “Quadro temporaneo”, cioè forse la più ampia regolamentazione mai prodotta dall’UE sulla “delicatissima” questione dell’intervento pubblico in economia, è un’assoluta novità.

Abbiamo visto prima che la questione giuridico-formale della “natura pubblica o privata della proprietà” è irrilevante per l’UE: fondamentale per essa è invece che lo Stato (o altro soggetto pubblico) agisca come un capitalista (finanziario) tra gli altri, con una logica capitalistica di profitto (la “remunerazione del capitale”) come gli altri, e che la sua ricapitalizzazione sia, per dirla con Tronchetti Provera, insieme un fattore stabilizzante e un investimento finanziario. Vale a dire un’operazione di breve durata, regolamentata preventivamente nelle modalità di entrata e di uscita, senza conferire voce in capitolo al soggetto pubblico apportante sia nella governance, sia nella formazione ed esecuzione dei progetti societari. Una presenza simile a quella che hanno nelle società di produzione di beni e di servizi i Fondi di ‘private equity’ o le SICAV o i Fondi di investimento.

È questo il significato della norma chiave dell’articolo 10 del “Quadro” allorché parla di investimenti a condizioni di mercato, cioè “a condizioni conformi al principio dell’operatore in economia di mercato”.

È questo l’habitat socio-economico-culturale dell’oligarchia finanziaria nella trama finanziarizzata dei tagliatori di cedole. Uno Stato a totale servizio del capitale finanziario, in una società sempre più disuguale, sempre più impoverita. L’esatto opposto del capitalismo monopolistico di Stato quale potrebbe essere se i rapporti di forza fra le classi fossero diversi e la voce dei subalterni riuscisse a farsi sentire.

A questo punto sarebbe utile parlare della diramazione italiana del “Quadro temporaneo” UE e sue modifiche, vale a dire del d.l. 19 maggio 2020, n.34 (cd. decreto ‘Rilancio’), il quale contiene la disciplina del ‘Contributo a fondo perduto’ per le piccole imprese (con fatturato non superiore a 5 milioni) che impegna 6,2 miliardi, del ‘Rafforzamento patrimoniale’ di quelle di medie dimensioni (con fatturato tra 5 e 50 milioni) gestito da Invitalia (che impegna 4 miliardi di euro), e del ‘Patrimonio destinato’ di 44 miliardi gestito da CDP per la ricapitalizzazione delle grandi imprese (con fatturato superiore a 50 milioni). Sarebbe inoltre utile descrivere analiticamente la canalizzazione in favore del capitale grande, medio e piccolo del 70% circa dei 155 miliardi mobilitati dal decreto, e pari a 105/110 miliardi di euro. Tutto questo aggiungerebbe molti elementi quantitativi al discorso, e forse lo appesantirebbe ulteriormente, ma cambierebbe di poco gli aspetti qualitativi, che ho cercato di delineare.

31/05/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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