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Congresso del PRC

A Spoleto si è concluso il congresso nazionale del PRC e Ferrero ha lasciato il posto a Maurizio Acerbo. Il PRC continua la sua rifondazione del comunismo. Sbagliare è umano perseverare è diabolico.


Congresso del PRC Credits: http://tuttoggi.info/strangozzi

Non si può certo dire che il nemico di classe - tanto per usare parole dal sapore antico, ma che tutt’ora sono le più adatte a descrivere il mondo, ovvero il capitalismo nella sua attuale dimensione imperialistica transnazionale - nasconda la sua natura barbarica. L’escalation di guerre che si succedono ormai ininterrottamente da 25 anni stanno lanciando l’umanità dritta verso la barbarie di un mondo sempre più polarizzato e diviso. Sfruttamento intensivo da una parte, in cui si lavora oltre dieci ore al giorno, e disoccupazione di massa dall’altra, dove viene congelata forza lavoro e spostata alla bisogna dove serve per mezzo di migrazioni di massa. Pochi uomini detengono la quasi totalità delle ricchezze e, per mantenerla e accrescerla, divorano le vite dell’intera umanità gettandola nella fame e nell’ignoranza. Anche nei paesi cosiddetti del “primo mondo” si registrano tendenze alla riduzione della speranza di vita. La sanità privatizzata è ormai garanzia di cura solo per pochi.

Dinanzi a tutto questo le masse di operai e disoccupati non si muovono efficacemente, non scendono in strada per bloccare tutto. Come mai? Dove sbagliamo? Questa è la domanda principale - una domanda gramsciana, direbbe Stefano Garroni [1] - alla quale il congresso del Prc, conclusosi lo scorso fine settimana nella splendida cittadina di Spoleto, avrebbe dovuto abbozzare una risposta. Si potrebbe dire, con i classici, e citando nuovamente Garroni, che se la classe non si muove non è colpa del capitalismo che mistifica e nasconde ma la colpa è di noi comunisti, nel senso che la classe non ha coscienza. E se non ha coscienza non ha evidentemente alla sua testa un partito di avanguardia, cioè il partito comunista; e se non c’è un partito comunista, in grado di vivificare la teoria marxista proponendosi come avanguardia e coscienza della classe, allora non esistono i comunisti.

Partendo da questo triste scenario che ci consegna con raccomandata veloce il postino della realtà (e non il pensiero di uno studioso da cameretta), l’obiettivo strategico in questa fase storica per gli aspiranti comunisti è quello di ricostruire l’organizzazione di classe. Tale organizzazione non può che prevedere degli aspetti dialetticamente collegati nel tempo: una formazione teorica robusta, un’organizzazione di quadri che, tendendo al radicamento di massa, si ponga come obiettivo principale quello di penetrare profondamente nella classe, all’interno delle forme in cui oggi essa tende (e tenta) di organizzarsi, ossia per mezzo di cellule coordinate tra loro al fine di conquistarne nel tempo l’avanguardia. Tali cellule avrebbero la funzione di promuovere strutture consiliari sia sui luoghi di lavoro, al fine di stimolare la nascita di embrioni di democrazia reale che agiscano in controtendenza alle burocrazie sindacali, sia nei territori per la lotta sul salario indiretto e la salvaguardia dell’ambiente che nei luoghi della formazione della forza lavoro.

Solo una organizzazione di questo tipo permetterebbe di vivificare la teoria marxista, operando nella realtà una prassi rivoluzionaria che, prendendo coscienza di se stessa, a sua volta contribuisca al divenire di una teoria rivoluzionaria nel tempo attuale. Inoltre è necessario un processo di selezione dei quadri basato sulla qualità e quantità di lavoro difficile e costante nel tempo piuttosto che sulla fedeltà al capo.

Il congresso del PRC ha purtroppo evitato di mettere al centro dell’attenzione tale problema, e tanti altri ancora, riconducendo la nostra incapacità di guida della classe al problema della “comunicazione” e dell’assenza di una tribuna parlamentare.

Per la maggioranza del PRC la ricostruzione del “blocco sociale” non può che avere come condizione necessaria il rientro nelle istituzioni sia italiane che europee (di qui la necessità di accreditarsi presso Maastricht con il programma della disobbedienza e non della rottura). Per raggiungere tale scopo, il PRC individua nel partito sociale, concepito come sommatoria di pratiche dal basso cioè di pratiche sociali basate sul mutualismo, la base materiale per divenire forza di governo. Questo programma sacrifica ogni lettura anticapitalista finalizzata all’elaborazione del programma minimo assoggettandosi pericolosamente alle fluttuazioni tattiche delle alleanze con i partiti socialdemocratici.

Senza dilungarsi in citazioni noiose, in cui si dovrebbe spiegare la differenza che intercorre tra pratica e prassi politica rivoluzionaria, è chiaro, a chi avesse digerito un po’ di esperienza storica, che il mutualismo come elemento programmatico non solo è impraticabile da un partito che conta più o meno tremila attivisti e poche centinaia di quadri militanti con un bilancio al limite, ma è anche strategicamente un errore. Infatti esso punta a sostituirsi al problema, invece che ad affrontarlo, contribuendo ad allungare il sonno delle coscienze di cui si accennava in premessa.

A ciò si aggiunge la riproposizione di obiettivi e di progetti sconfitti dalla realtà, ma sempre vivi nell’immaginario della maggioranza. In primis il “soggetto unico della sinistra” che si vorrebbe costruito dal basso, ma che nella realtà nasce sempre attraverso alleanze di vertice tra formazioni socialdemocratiche come Sinistra Italiana (che nel frattempo guardano con interesse ai fuoriusciti dal PD, Civati, ma anche Bersani e D’Alema). Per non parlare della cieca difesa della linea politica di Alexis Tsipras, schiantatasi contro il muro dell’arroganza di un UE irriformabile. Ed in affiancamento a questa eterna riproposizione di scelte fallimentari, la maggioranza ha sviluppato una chiara azione di modifica dello statuto che fa presagire il rischio di un uso politico del “collegio di garanzia”, con l’intento di indebolire ulteriormente le istanze della minoranza.

Su queste basi, a nostro avviso, il PRC è destinato ad estinguersi.

Tanto più che la dialettica interna al partito non ha ancora visto l’emersione di una alternativa forte, coesa e radicata su basi autenticamente marxiste leniniste, bensì di una alternativa debole e attualmente divisa su alcuni aspetti, con un documento congressuale costruito frettolosamente, dove alla sintesi è stata sostituita un’elencazione di sensibilità frutto solo di un’intesa fra i rappresentanti nazionali delle varie tendenze e discusso in maniera insufficiente con la base. Un processo di costruzione quindi assolutamente affrettato che tra le altre cose ha portato inevitabilmente ad una scelta dei rappresentanti legata più al rispetto di equilibri, sensibilità e richieste di alcuni dirigenti, che alla necessità di una completa rappresentanza territoriale o ad un’attenzione alle capacità ed all’insediamento sociale degli eletti.

Dai media inoltre è apparso che la minoranza nel PRC fosse incarnata unitariamente dalla compagna Eleonora Forenza, nostra parlamentare europea, che in questa tornata elettorale ha scelto di non sostenere più la fallimentare linea del “soggetto unico della sinistra” e ha deciso di passare all’opposizione. In realtà esistono altre posizioni oltre a quella dell’europarlamentare, tra l’altro maggioritarie nell’area di minoranza. Infatti, se la minoranza risulta unita sul rifiuto del “soggetto unico della sinistra” e sulla costruzione del blocco sociale dal basso, attraverso le lotte, esistono anche importanti punti di distinzione che, aldilà di differenze superficiali riguardanti i linguaggi utilizzati, con uno stile post-moderno/movimentista per la Forenza ed un linguaggio più classico/marxista per le altre tendenze di minoranza, si incarnano in alcuni aspetti essenziali. Da quelli relativi alla concezione sull’imperialismo di casa nostra (tesi su UE\Euro), a quelle inerenti la natura del partito (partito di quadri organizzato per cellule Vs partito-movimento ), a quelle legate alla necessità di ricostruire il partito (unità dei comunisti Vs riaggregazione nella rifondazione).

Esiste dunque una dialettica interna a questa opposizione in cui si fronteggiano posizioni per certi versi agli antipodi e il processo di coesione sarà difficilissimo se non impossibile. A meno che non si riesca finalmente a fare ciò che avrebbe dovuto essere fatto anche in fase precongressuale, cioè il coinvolgimento pieno nel dibattito di tutto il corpo di base. In questo senso è necessario che i compagni più coscienti si adoperino da subito per avviare un lungo lavoro di ricostruzione dell’opposizione che guardi dentro al PRC, ma anche e soprattutto fuori, dove ormai iniziano ad essere molti i compagni e le compagne organizzati o sciolti nel movimento, che sentono la necessità di riaggregare le esperienze per ricostruire il partito comunista utile e coerente, che affondi le sue radici nell’analisi del pensiero di Marx ed Engels.

In questo senso organizzare percorsi, progetti ed esperienze, rivolti ai “comunisti ovunque collocati” nell’ottica della ricostruzione del partito e della riaggregazione del blocco sociale, dovrà essere una delle priorità nel percorso dell’attuale minoranza del PRC. Speriamo di essere all’altezza di tale, gravoso, fondamentale compito.

 

[1] Stefano Garroni- GLOBALIZZAZIONE CRISI E GUERRA IMPERIALISTA-COMPITI DEI COMUNISTI 17-11-2001 https://www.youtube.com/watch?v=fQge_E1ifbs

08/04/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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