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La lotta di classe tra stato di emergenza e distrazione di massa

La campagna di distrazione di massa: dittatura sanitaria contro la lotta di classe; “stato di emergenza”, ma non per i licenziamenti; la Costituzione tra responsabilità sociale e interessi confindustriali; la campagna vaccinale e l’obbligo di Green Pass: libertà individuali contro diritti sociali.


La lotta di classe tra stato di emergenza e distrazione di massa

1. La campagna di distrazione di massa: dittatura sanitaria vs lotta di classe

In queste settimane stiamo assistendo a un’organica campagna di distrazione di massa, preordinata e sviluppata dalle destre (col doppio ruolo di opposizione con Fratelli d’Italia e di governo con la Lega e, in maniera più defilata e compromissoria, Forza Italia). Stiamo assistendo a un’offensiva volta a esercitare “egemonia culturale” (se vogliamo usare un termine fin troppo nobilitante) che utilizza, manipola e stravolge lo spirito dei principi costituzionali esasperandone la lettera e rovesciandone il senso: la libertà personale viene ridotta a libertà meramente individuale, avulsa dai diritti sociali (della salute pubblica, dell’occupazione, della crescita socio-economica), in cui si declina il diritto al lavoro in chiave nazionalistica o al reddito in senso particolaristico, riferendosi ai destini dei singoli individui. La campagna contro una presunta “dittatura sanitaria”, che anche componenti sparse della sinistra libertaria, diffusa (e a mio parere un po’ confusa) stanno portando avanti senza tener conto del numero drammatico delle vittime complessive del Covid-19 (e, dovremmo dire, anche del Covid-20 e 21) e dei diritti dei più fragili a non essere infettati, si incentra su una visione “letterale” e restrittiva (anche mistificante, a mio avviso) dei principi costituzionali che mette la libertà individuale al di sopra della necessaria protezione sociale della collettività e soprattutto delle persone più esposte (per età o patologie).

Le mobilitazioni contro l’autoritarismo del governo si oppongono a una forma di “disciplinamento sociale” dei singoli, ma non hanno assunto finora carattere di classe: è un approccio fondamentalmente borghese e liberale, mischiato e mascherato da principi libertari, che mistifica la libertà, o meglio la riduce a una questione meramente individualistica.

L’accusa che l’esecutivo sia agli ordini di Big Pharma è una semplificazione di una realtà esistente, ma che viene formulata in modo volutamente superficiale: gli interessi delle aziende farmaceutiche non si possono sottovalutare, ma in realtà sono frammentati secondo la logica del mercato e della concorrenza spietata, come dimostra la campagna denigratoria contro Astra Zeneca che ha portato al risultato dell’esclusione dal mercato europeo del vaccino meno costoso, per motivi di sicurezza che risultano piuttosto marginali rispetto ai benefici.

In realtà Draghi e la compagine governativa ai suoi ordini rispondono sostanzialmente agli interessi del padronato e di Confindustria, anche se non coincidono: la visione radicalmente ordoliberista (intervento dello Stato finalizzato esclusivamente a mettere a punto le regole del mercato) di Draghi ha come obiettivo il rilancio dell’economia capitalistica dopo due acutizzazioni della crisi di sistema in atto (una economico-finanziaria, l’altra sanitaria, equivalente a un conflitto bellico), e solo in questo senso persegue gli interessi (spesso miopi e poco lungimiranti) del padronato italiano. Lo scenario su cui intende intervenire Draghi ha un orizzonte ben più ampio, quantomeno europeo, ma in realtà euro-atlantico.

Di fatto, in questi mesi la discussione e le resistenze (attive e passive) su vaccinazione e Green Pass hanno di fatto avuto una funzione di oscuramento e di distrazione rispetto al vero dramma sociale che si sta già manifestando, con le migliaia di licenziamenti già avviati in un mese e mezzo, e che avrà il culmine nell’autunno con la pioggia di miliardi a cui le aziende potranno accedere solo ristrutturando e reinvestendo in riconversione ecologica: un grande business in cui lavoratori e lavoratrici più “anziani” (over 50) saranno “sacrificabili” e avviati a corsi di formazione e riconversione per trovare nuovi impieghi più “smart”. Sarà una macelleria sociale senza precedenti, verso il capitalismo eco-digitale globalizzato, in cui la pubblica amministrazione sarà al servizio del mercato e dei profitti.

2. Stato di emergenza permanente, ma non per i licenziamenti…

Finora, lo stato di emergenza che permane ha una sola deroga: la fine dei licenziamenti e degli sfratti. È ben bizzarro quel che sta accadendo: l’ideologia della libertà si riversa solamente sulla questione vaccinale, sulla libertà di irresponsabilità, ma non è minimamente interessata ad affrontare il problema del lavoro, se non in termini molto tiepidi e mistificanti di “sostegno alle imprese”. Ecco il punto: l’intervento pubblico vale solo come puntello agli interessi privati, addirittura con aziende che hanno sfruttato il Fis (la cassa integrazione straordinaria per mesi) anche in presenza di crescita del mercato e dei profitti.

In tutto questo, l’unico elemento di attrito politico si consuma su un obbligo vaccinale di fatto, con l’imposizione del Green Pass per attività sociali (cinema, teatri, musei ristoranti, palestre) che rimuove la questione sociale fondamentale, quella del lavoro sia sul piano occupazionale, sia sul piano dello sfruttamento. Ci si appresta a una ristrutturazione occupazionale epocale, che in una prima fase produrrà una distruzione immane dei posti di lavoro attuali e l’espulsione dal ciclo produttivo di decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici; inoltre, l’introduzione del telelavoro e dello smart working produrrà, oltre ai problemi di sicurezza per la gestione dei dati degli utenti (come ha dimostrato la vicenda incredibile dell’intrusione hacker nel sistema digitale della Sanità della Regione Lazio), un aumento dell’impegno lavorativo, che ridefinirà il concetto di “orario di servizio”, introducendo una porosità tra lavoro e vita personale ben più invasiva e pervasiva della presunta “lesione della libertà” di cui alcune/i vaneggiano in queste settimane di fronte alla campagna vaccinale.

3. … e la Costituzione tra responsabilità sociale, senso di colpa e interessi confindustriali

È pur vero che ci sono questioni di ordine costituzionale, fondate su argomentazioni serie e argomentate e non su mere elucubrazioni propagandistiche, ma che come comunisti (che leggono la realtà con gli strumenti concettuali del materialismo storico e del socialismo scientifico) non possiamo pensare di risolvere esclusivamente sulla base dei principi filosofico-giuridici della borghesia liberale, su cui si fonda l’impianto (fondato sul compromesso storico costituente) della Costituzione italiana. Il principio fondamentale della libertà socialista non consiste nella libertà del singolo individuo di fare ciò che gli pare, ma di valorizzare le caratteristiche personali nell’ambito di una libertà per tutti: sul piano sanitario, è la prevenzione universale lo strumento per preservare la salute di tutta la collettività, mentre va garantita la cura gratuita a ciascuno come diritto universale.

Il Sistema Sanitario Nazionale, conquistato a suon di lotte dalle classi lavoratrici negli anni Settanta, è stato via via rimodulato, ridimensionato, frammentato (regionalizzazione), privatizzato (principio di sussidiarietà), e ha retto a malapena, collassando soprattutto nell’ambito territoriale completamente smantellato. La vaccinazione come prevenzione di massa è uno strumento proprio di questa impostazione democratica e universale della sanità, e come tale deve essere difesa e rafforzata, non negata con pretestuose allusioni alla presunta libertà individuale di non partecipare alla responsabilità sociale di prevenzione, salvo poi voler essere curati con farmaci delle stesse case farmaceutiche (per inciso, la cura non deve essere negata a nessuno secondo lo stesso principio universale).

4. La campagna vaccinale e l’obbligo di Green Pass: esistono una responsabilità sociale e un dovere democratico?

La discussione sull’obbligo vaccinale sta diventando paradossale. La vaccinazione obbligatoria è imposta al personale sanitario, al momento non imposta a nessun altro (anche per il personale della scuola vi è obbligo di Green Pass che attesti vaccinazione, tampone negativo da non oltre 48 ore, attestata guarigione da Covid entro sei mesi): in presenza di una malattia infettiva (e con rischi di ospedalizzazione e morte non indifferenti) si richiede che chi ha vita lavorativa, professionale e sociale pubblica sia protetto e protegga coloro con cui viene a contatto. Un principio di responsabilità sociale, che qualsiasi governo serio (anche borghese) non può non adottare. Il carico della spesa vaccinale è a carico dello Stato, come è giusto che sia: l’aspetto sommamente criticabile dal nostro punto di vista è che la ricerca sia affidata a enti/aziende private, multinazionali potentissime, e che gli Stati dell’Occidente capitalistico abbiano abdicato completamente a un settore strategico in nome di quel liberismo coatto che domina da quarant’anni. È l’impianto politico liberista della gestione socio-economica della società che va combattuto, non la ricerca scientifica di per sé, che va sottratta agli interessi e ai profitti privati, ma non contrastata in quanto scienza.

La lettura materialistica non indica quali siano i provvedimenti sanitari necessari, ma individua le fondamenta economico-sociali di tutti i fenomeni sociali e culturali e sancisce un principio: dire che la libertà individuale (a partire dalla salute, evidentemente) è tutelata solo se ognuno decide per sé è un principio che fonda una falsa libertà.

In paesi socialisti come Cina, Vietnam, Cuba (con la gestione da parte dei partiti comunisti) sono stati adottati provvedimenti estremi come lockdown e coprifuoco per tenere sotto controllo la situazione fino a quando hanno avviato la campagna vaccinale; Cina e Cuba hanno sviluppato e prodotto vaccini propri, e non sono sottoposti al ricatto delle multinazionali del farmaco, ma non hanno minimamente esitato a vaccinare la popolazione. Perciò, più che disquisizioni mistificanti sulla pseudo-“libertà di scelta” occorre sviluppare una campagna fondamentale contro i brevetti sui vaccini e per la loro massima diffusione gratuita nei paesi del Sud del mondo (Africa e America Latina).

La differenza fondamentale è che accompagnano queste misure con un sistema sanitario universale e pianificazioni vaccinali (anche con ricerca di Stato). Paradossalmente, occorrerebbe sottolineare che le misure adottate nei paesi capitalistici sono troppo blande e ridotte/limitate nel tempo, ma questo colpirebbe la nostra sensibilità "liberal" che, come comunisti europei/occidentali, abbiamo assimilato (magari inconsciamente o inconsapevolmente). L’impostazione culturale/ideologica borghese mette al centro la “responsabilizzazione personale”, anziché l’azione collettiva, perciò si “colpevolizzano” cittadini e lavoratori/trici (come per la sicurezza sul lavoro). 

5. Libertà individuali vs diritti sociali

È la stessa ideologia liberale (e libertaria) a sostenere che la libertà individuale è intoccabile, pur se controproducente a contenere una pandemia: per un approccio marxista, e come comunisti, dovremmo essere attenti a non confondere la difesa della libertà individuale pura e semplice (che non integrata e correlata con la libertà collettiva è un principio individualistico e egoistico) con il processo di liberazione ed emancipazione delle classi subalterne. Denunciare gli interessi di classe, padronali e di mercato, che gravano sulle decisioni politiche (organiche per il governo Draghi, più confuse, interclassiste e meno coerenti quelle del Conte II) è necessario, ma va evitato il ribellismo popolano (più che populista) fomentato ed egemonizzato dalle destre fascio-leghiste.

Più che la battaglia contro Green Pass e obbligo vaccinale dobbiamo costruire un movimento e un blocco sociale di classe contro licenziamenti e ristrutturazioni del capitale. In un paese socialista il Green Pass (o qualcosa del genere) per lavoratori che stanno al pubblico o lavorano insieme in ambienti chiusi e ristretti sarebbe doveroso, ritengo, non solo auspicabile; in un paese capitalistico non deve essere strumento di ricatto a lavoratori/trici da parte delle aziende, ma resta necessario: la pandemia non si ferma senza provvedimenti di prevenzione-protezione-controllo sulla popolazione e senza vaccinare la maggior parte possibile della popolazione.

Postilla ideologico-filosofica

L’iperliberismo, che si nutre non solo di principi liberali, ma anche della nichilistica “volontà di potenza superomistica” – lo spirito selvaggio e caotico, ferocemente distruttivo che guida la concorrenzialità dei mercati – contamina le concezioni libertarie che sempre più spesso adottano argomentazioni irrazionalistiche: la responsabilità personale, che diventa “consenso informato”, non deve scadere nel “senso di colpa” indotto, né al contrario nella liberatoria indiscriminata che rischia di fiancheggiare le posizioni di chi (senza dirlo esplicitamente) pensa che abbassare la media della vita sia vantaggioso per le casse dello Stato (eugenetica selettiva/negativa o thanato-politica) con sperimentazioni di massa.

Il problema della diffusione e dell’affermazione di una bio-politica, di un bio-capitalismo o addirittura di un bio-fascismo (in cui si vorrebbe far rientrare anche i paesi socialisti) finalizzato a controllare e sottomettere i popoli non è un delirante vaticinio, ma una realtà concreta che procede tra mille contraddizioni: è lo scenario distopico di uno sviluppo capitalistico su scala globalizzata, impregnato di tecno-imperialismo finanziario, bio-ingegneristico, eco-digitale, ma non può essere ridotto alle semplificazioni della propaganda populista.

La libertà di ogni individuo non può esistere astraendo dal conteso storico-sociale, dal condizionamento e dal rapporto di dominio che si esercita nella dimensione materiale della produzione e del lavoro: per dirla con Marx, “il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità … La libertà in questo campo può consistere soltanto in ciò, che l’uomo socializzato, cioè i produttori associati, regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura, lo portano sotto il loro comune controllo, invece di essere da esso dominati come da una forza cieca; che essi eseguano il loro compito con il minore possibile impiego di energia e nelle condizioni più adeguate alla loro natura umana e più degne di essa”[1].

Pensare a una condizione di libertà individuale che non affronti la questione del superamento del “regno della necessità”, cioè del bisogno e del lavoro, significa essere determinati da una concezione idealistica (eufemisticamente) della libertà, assumendo una posizione subalterna all’ideologia dominante. Solo “il libero sviluppo di ciascuno è la condizione del libero sviluppo di tutti”, come si legge nel Manifesto del partito comunista, consentendo “lo sviluppo delle capacità umane” e l’instaurazione del “vero regno della libertà, che tuttavia può fiorire soltanto sulle basi di quel regno della necessità” [2]. Questo argomento deve essere esteso e vale in generale: il “regno della libertà” per ognuno inizia se esiste la socializzazione della tutela della salute. È evidente che la pandemia ha svelato come le politiche iperliberiste e ultratrentennali di tagli alla sanità pubblica, privatizzazioni e frammentazione (regionalizzazione) del Sistema Sanitario Nazionale, fondate sul principio della sussidiarietà (cioè sull’introduzione di logiche di mercato e di profitto nei servizi fondamentali per cittadine e cittadini, come la sanità e salute) abbiano distrutto il principio della universalità della cura, per cui dovremo batterci nei prossimi mesi/anni affinché sia riaffermato formalmente e praticamente, ma assieme occorre difendere il principio di universalità della prevenzione (non solo per europei e occidentali, ma per tutti i popoli del pianeta, Africa e America del Sud innanzitutto) senza il quale questa e altre pandemie non saranno sconfitte.

Conclusione provvisoria

La differenza fondamentale tra una opposizione di classe (più che “di destra” o “di sinistra”) alle politiche dettate dagli interessi delle classi dominanti rispetto a una pseudo-opposizione demagogico-populista (che si maschera da istanza di classe, ma senza contrapporsi e contrastare gli interessi aziendal-padronali in salsa nazionalista, e che facilmente può virare verso forme fascistoidi, come ci insegna la storia del primo – ma anche del secondo – Novecento) sta nella individuazione del nemico sociale (di classe) e dell’obiettivo che si intende perseguire (emancipazione degli sfruttati dagli sfruttatori e controllo democratico della società, cioè della maggioranza popolare sulle classi privilegiate).

 

Note:

[1] Il capitale, vol.III, Editori riuniti, 1972, pg.231

[2] Il capitale, op.cit.

13/08/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Giovanni Bruno
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